narcisismi


Ormai scrivo senza memoria cioè senza il peso di render conto. <Vedremo> mi dico <che succederà e se si noterà qualcosa…>. Da un certo punto in ogni caso leggere non è stato più sufficiente e tanto meno necessario. Sarebbe troppo impegnarsi in certe letture adesso che non ho più intenzione di acquisire e ordinare le cose apprese e perdere i giorni a catalogarle per bene. Oggi che voglio solo vedere e sperimentare come è piacevole stare a vedere e stare a sperimentare. La ricchezza dei poveri è la pubblicità silenziosa dei loro atti creativi minimi e insignificanti. Scheggio teste di roccia per cavarne punte di frecce. Ho piccole spese. Scialo elemosine con rumore frusciante di monetine.

Da un certo momento neanche amare serve più se non come consapevolezza delle proprie buone disposizioni diffuse intorno a sé in essenze. Amare è ora una prassi di dissodare seminare fondere forgiare comporre serbare aver cura e tener di conto e operare. Ma scrivere e anche parlare liberamente è per il non più recondito fine di escludersi dalla società e porsi di fronte alla società. Opporsi alla collettività. Mi lascerei includere se cogliessi intenzioni in tal senso? No: mai ho pensato ad una inclusione e ad un accordo.

Mai consolarsi.

<Le proposizioni sono intransigenti come il corso irreversibile dei fiumi che gorgogliano: e chi scrive, a monte delle proprie proposizioni, è un taglio d’acqua nella roccia.>

Sono così vicina a me da non poter sapere se valga la pena essersi. Così più o meno Emily Dikinson. Non proprio ‘se valga la pena’: perché essere non sarebbe ‘pena‘. Mi pare di capire che non ci si ‘prende la briga’ di noi: ma, essendosi, ci imponiamo a noi stessi accostandoci a questo benedetto ‘essere noi’ più possibile. Accade continuamente involontariamente e senza capire come sia che noi si sia: in ogni caso.

Comincia con la speciale condizione mentale del neonato che non ha un fine. Da qui l’intransigenza, il taglio sulla superficie, la chirurgia e l’arte. I graffiti e il mattino rigato di suoni. Là, nascendo, quella versione di una passione prima del desiderio, differente dal desiderio e diffidente verso il desiderio.

La passione per la fondazione. Le mani che scavano con gli occhi persi nel fondo a immaginare l’acqua.

La traccia mnesica della stimolazione del liquido amniotico che avvolge il feto che nascendo resta memoria somatica senza pensiero di oggetto. Accade un’unica volta durante il parto, mentre l’acqua sparisce da noi, che quello stimolo cutaneo diffuso diventa immagine senza figura. La funzione della vitalita è pensiero detto “Inconscio mare calmo”: primo atto psichico in assenza di oggetto, traccia sensoriale di oggetto non separato da sé che diventa integrità di sé che soltanto presuppone l’oggetto. Essersi.

È la fine della gravidanza. L’io del neonato emerge all’inizio del tempo e del mondo mentre lo spazio si crea come distanza. Poi una persona verrà a dare forma alla certezza e voce all’attesa: il rapporto con l’oggetto è la relazione con l’immagine interna dell’altro separato e diverso.

Ora il neonato scrive nell’aria circostante-ombreggiando le pareti con movimenti afinalistici- la memoria del suo non essere più nell’utero. Forma di pensiero consono alle segnalazioni primordiali di graffi e fumo.

La nuova condizione è priva di una narrazione diacronica. Ora, e solo ora, si è liberi dalla responsabilità storica e dall’obbligo di dare conto di noi. È l’intransigenza dell’essere umani. Non precisamente un narcisismo e forse non ancora un da-sein. Una primitiva riflessività: selbst-sein?

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