nascite


la musica della tua nascita


Posted By on Apr 27, 2015

Ti dicevo : “Io sto dalla tua parte” . E tu: “Già… solo che non so quale sia….” Ed ecco dove l’amore non serve a gran che. Se non di per sé, diciamo come ‘pensiero’. Le decisioni andrebbero bene se fossero fuori del tempo. Ma immerse nel tempo vengono travolte e cambiate. I pensieri veloci se dobbiamo decidere sono vie d’acqua scavate tra legno e sabbia dal reflusso delle onde. I rivoli imprevisti bagnano le nostre scarpe nuove.

Sulla spiaggia vicino al delta renoso di un fiume. C’erano tronchi grandi bianchi lavati. Infissi nel mare di rena e fango portato dal fiume, sembravano ogni volta inamovibili: ma ogni stagione cambiarono posizione e disegno, e la spiaggia non fu mai uguale. Così nel dirti sto dalla tua parte so di scegliere una visione dall’alto della costa, di quando navigammo per pescare da due miglia lontano e lasciammo che la corrente ci avvicinasse e l’orizzonte costiero correva e schiariva.

Nello stesso momento ho il dispiacere di sentire che l’amore -che vorrebbe scegliere il meglio per te- sa condividere la natura dei luoghi ma non può cambiarne il disegno. Così ora io sono tornato là, di nuovo con te a fianco, nel tempo che si sente come un ‘dio’ di fronte a noi invisibile presenza che ha disposto quei tronchi bianchi lavati nudi.

Dopo anni di certezze ora scendono tra noi sogni come macchie d’ombra delle foglioline nuove e poi i frutti verdi gialli arancioni rossi maturi torridi spiccano dai rami e scaldano le dita. Stare dalla parte di chi vorremmo felice è stendere le palme davanti agli occhi ai frutti dei rami bassi aspettando che senza rumore rotolino giù.

Alla fine l’ostetrica fece scivolare una mano dietro la tua testa che emergendo dal canale del parto si lasciò accarezzare e ruotò rapida -esponendo il tuo mento ben disegnato- prima che tu con un guizzo ti lasciassi nascere dentro le nostre mani aperte: a mezz’aria, nella luce piena del mondo esterno.

La tua nascita, così scandita in una specie di musica mai sentita, non ha mai generato in me sentimenti di nostalgia.

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la procedura ‘if / then’


Posted By on Dic 9, 2013

if / then”. Procedure minime come stasera il caffè macchiato per risorgere. Un’occasione per tornare ai fasti di stamani che poi, lentamente, quasi muori di niente, di rumore diffuso e di troppa luminosità del piano del tavolo. Procedure: “se / allora”. Vedi il cancelletto dello slash. Il tratto obliquo. Una freccia deviata. La turbolenza delle molecole d’aria ne ha distratto la direzione dall’ideale, dal logico percorso. Le cose invisibili hanno un certo rapporto con l’assoluto. Gli urti delle cose invisibili contro le cose visibili sono un buon motivo per la proposizione di una procedura. La grammatica evoluta è piena di procedure. La realtà di oggetto è scoperta come soluzione della più semplice delle procedure non lineari. “Se… allora” si gioisce addirittura. Come al caffè: “macchiato..! ” Saranno tre sorsi di gusto. Quasi nessuno dentro il “Bar Caffè Sol” subito accanto all’arco che porta all’unica arteria non ancora definitivamente spirata della città dove aspetto. Dentro il “Bar Caffè Sol” solo io e due camerieri. La proprietaria è sottile, non bella ma decisamente cortese, e davvero bendisposta al proprio lavoro, in docile vigilanza che tutto fili liscio come sempre fila, in effetti. Erano le diciassette e quaranta. Fuori un fiume di gente. La bicicletta poggiava al muro di pietra. Le mani pulite erano state appena lavate e profumate. Portavo con me un frammento di realtà domestica. Mai stato senza indossare un sapore. Uscivo (esco sempre) come un’albicocca, una mandorla, un cucchiaio di vaniglia o una manciata di mirra. Mi chiamo Vetiver come un eroe di romanzi di cappa e spada. Risorgo in un’ansa del fiume di gente. Per essere in grado di farti sorridere. Chi sa risorgere dalla noia ha assai da raccontare. Racconto nel profumo di mirra e di mandorle il mistero di come si possa riuscire. La gloria del successo in un’ansa del fiume. Sono rinato anche stasera. Potrò cenare e poi fare all’amore e poi addormentarmi: perché domani è un grande giorno per me e solo per me. Benvenuta l’acqua del ricordo. Avevo circa dodici anni nello scrivere “la verità è nascosta dietro un se..” E allora di procedure non si parlava. Nel manifesto in formato 50×70 scrivevo un algoritmo minimo. Forse ero già vivo. Ora certamente ho l’intelligenza torpida e impavida che concede la manifesta gioia degli amici e dei figli.

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settembre 2011


Posted By on Set 3, 2011

settembre 2011

Il vestito nero copre bene la donna. La voce racconta: – “Nella necessità della messa a fuoco dei tuoi molteplici promontori di passione mi consumi gli occhi.” Discorre con il suo amante: – “Nella difficoltà della conoscenza di te il mio cuore ha poi preso la forma di mani.”

Le voci svelano gli affetti creando una figura a sbalzo: – “Siamo ancora una volta transitoriamente incapaci a cambiare le cose… – Insieme vediamo che questo presente è una figura in pezzi….” Sotto l’arco della porta di mura rinascimentali si crea l’apparizione. Il pensiero vive di queste immagini apparse.

La donna avanza ancora coperta di stracci che ne vestono bene la bellezza. La voce scolpisce con le intonazioni affettive: – “Solo la storia di qualche rara ricerca fa l’ immagine del pensiero come tempo inesteso non più a disposizione del dittatore di turno.”

Cantando a mezza voce: – “…. ti auguro la qualità di saper stare solo e la sorte di non averne mai la necessità di essere sempre circondato di dignitose figure di stare tra i migliori e le migliori che possono trovarsi sulla costa frastagliata e nelle conche palustri verde smeraldo dell’interno del continente…”

E l’aria sussurrata su una corda: – “….. ti auguro di avere accanto così tanto frequente bellezza da considerarla una normale forma di compagnia però senza perdere mai il senso del faticoso impegno per mantenertela sempre vicina …”

Una donna vestita di stracci ed il suo amante dicono: – “…. siamo nel calderone di un mondo cubista frammentato in figure di poveri in battaglia, sanguinanti, soccombenti, ognuno a suo modo, nella sua stamberga raffazzonata….”

Sotto l’arco rinascimentale di una antica porta delle mura gli stracci neri vestono accuratamente la bellezza di una donna alternandosi e oscillando ad ogni passo. Avanzando discorre animatamente con un uomo. La sua voce piena di spinte affettive complesse e diverse crea una figura a sbalzo…..

Molto è stato l’imbarazzo nel chiedermi – adesso che tutto ricomincia – come potrò fare a restare aperto alla meraviglia della gioia e della intelligenza altrui. A restarlo oltre la mia invidia che crescerà con il tempo mentre si incrementa la sensibilità all’immagine.

Il pensiero è tempo inesteso non più a disposizione del dittatore interno.

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invidia


Posted By on Mag 3, 2011

invidia

Quando mi confronto con i giganti non sto mai immediatamente male di invidia, come se avessi imparato, mi fossi sapientemente curato dall’alterazione immediata, diligente come uno scolaro mediocre capace di svolgere il compito in classe con le difficoltà programmate, insomma, per quello che posso affermare coscientemente, non mi viene alcun attacco distruttivo e così coscientemente comunque mi confronto coi giganti, lo faccio anche apposta per cura e verifica, per vedere se il cuore è sano e resiste allo sforzo come in una test un poco provocatorio sulla mia salute. Tuttavia lo so che non c’è verso di essere del tutto sicuri, perché la coscienza della propria sanità non è la nostra sostanziale sanità non quando si tratta di fisiologia della vita del pensiero. Altre volte sono gli amori che sono sparsi nella rete della geografia della mia storia non breve neanche lenta e inerte: a volte dunque questi ‘amori’ alternativamente successivamente o tutti insieme mi mandano canzoni e poesie e creazioni differenti dei giganti – e per aumentare il significato emotivo del senso e dell’impatto della lettera che porta la notizia il disegno le parole il riferimento al dato della creazione di un genio mettono le loro parole che spesso sono anch’esse bellissime e piene di intelligenza e assolutamente geniali per la bellezza la leggerezza la sensibilità come altri capolavori che accompagnano i capolavori che mi porgono – e docilmente e con sorrisi d’amore e gratitudine a volte mi pregano di accettare dare un’occhiata ( caspita dicono proprio così “ dai un’occhiata qui ” -di fronte all’enormità delle creazioni di una poesia o di un disegno o di una scoperta- con una lievità dolce e omicida per l’autostima di un io presuntuoso ) come a essere certe che io potessi -e dunque fossi addirittura secondo il loro eccessivo femminile criterio  felice di capire tutto quello – che poi in realtà nella maggior parte dei casi capisco davvero – e dovessi amarli quei giganti: amarli esattamente come loro li amano. E poi vogliono che io diventi così spropositatamente distante da me e dal mio umano tendere al loro apprezzamento di unicità e originalità tutto per me – fino a diventare identico a loro stesse. Nella migliore delle ipotesi penso che vogliono dirmi che potrei essere un genio almeno nell’oppormi alla disperazione di non esserlo – avendo avuto l’onestà – che non è genialità di certo – di non aver annullato dimenticato alterato e messo mai in secondo piano quella genialità di altri diversi da me. Allora io mi metto di fronte ai giganti e anche in altre occasioni diverse mi trovo di fronte ai giganti e accendo le canzoni guardo le sfumature dei capolavori riprodotti guardo attento i movimenti degli attori nel teatro mi lascio trasportare dall’inquadratura scivolo tra riga e riga dei versi e intanto tendo l’orecchio autocritico aspetto l’attacco di una mia osservazione minimamente acida una qualche sottovalutazione o una svalutazione tutta intera o un dolore – e se anche non vengono mi dico che la coscienza di sanità non è sanità nell’ambito della realtà della fisiologia del pensiero umano – e infatti ho imparato ad aspettare il sogno qualche notte che viene di seguito all’esposizione della mia anima ai capolavori dei giganti all’immagine dell’assolutamente difficile che i giganti realizzano senza fatica sembrerebbe -anche se non è mai senza fatica non è mai un cosa da niente anche se potrebbe essere stato ‘facile’ – e insomma aspetto il sogno o un mal di testa l’attacco di un virus della pelle o della faringe o chissà una piccola disfunzione – e aspetto le figure dei sogni aspetto dopo l’esposizione del pensiero e della mia anima sensibile ai capolavori dei giganti – aspetto che la vitalità prenda una direzione una forma eserciti una corrente determini l’esplicazione di una forza qualcosa un refolo di vento una traccia – di sapere che l’inevitabile invidia si è mossa ha preso campo ha scatenato la serie di avvenimenti per cui riesco a avere una notizia certa che ho una sensibilità una vitalità che si è svegliata e si esprime come negazione alterazione proposizione frettolosa imprecisione intempestività improntitudine! Per respirare l’aria limpida e leggera di una umanizzazione attraverso una mia normale reazione di odio una mia umana reazione ai miracoli che non provengono da dio. Accade o non accade come si fa a sapere – perché è perfino ovvio che per quanto uno stia sulle proprie tracce la distrazione legata ai giorni che ripropongono ulteriori bellezze costringe a non prendersi troppo sul serio o per lo meno a non perseguitare l’ipotesi della propria comunque sospettabile capacità di negare – alla fin fine- tutto. In modi diversi inapparenti e sottili e imperscrutabili come si dice sia la mente delle divinità e per giunta neanche per complessa perfezione ma piuttosto per inconfessabile capriccio.

Per contro non smetto mai di notare quante bellezze ci siano quante bellezze quotidiane anche genericamente inapparenti – e dunque mi dico che la mia capacità di odiare e negare le sfumature di bellezza di cui sono ricchi e affollati i complessi residenziali le piazze e le città che compongono l’urbanistica di lusso delle menti dei giganti – non deve mai essersi realizzata assoluta e definitiva – e questa deduzione mi calma e mi consola perché l’invidia è pericolosa soprattutto quando lede possibilità appena accennate invisibili perché ancora non sviluppate – e compie omicidi imperseguibili perché avvengono lontani dall’oceano del mondo delle celebrità dell’arte – lontano dai teatri dalle gallerie dai musei dalle sale degli affreschi dalle piazze delle cattedrali e dei palazzi – e so che l’odio è pericolosissimo quando si rivolge contro le cose che ci mettiamo vicine per rendere meno brutte le nostre case meno scure le nostre giornate più musicali le nostre parole – quando rompe la delicatezza e la fragilità e uccide i pesciolini rossi infrangendo con una disattenzione fatale la conca di acqua pulita in cui nuotavano con la armoniosa assenza di intelligenza propria della loro natura non umana sulla scrivania di una ragazzina per il suo divertimento – o distruggere il futuro negli occhi ridenti di una ragazzo che si è appena svegliato ha deciso che da grande farà qualcosa che nessuno in famiglia ha mai fatto e che per questo sarà un poco più felice del padre e della madre seppure il padre e la madre siano moderatamente acquietati e il futuro in cui avrebbe realizzato quella possibilità viene distrutto perché proprio quella mattina il padre e la madre hanno dimenticato il miracolo di quel figlio e forse anche per quella dimenticanza si sono lasciati prendere dalla disperazione si sono detti cose terribili e la madre piange e il ragazzino è preso dall’odio per il padre e non sa più se potrà essere mai migliore e sa che se non potrà esserlo il futuro non c’è più – o si oppone alla completezza delle cose pensate che riuscivamo finalmente a tacere come segreti della nostra identità che dovevamo tenere per noi per restare sani e che invece ci siamo lasciati sfuggire in una clamorosa emorragia per un terrore che qualcuno ci ha suscitato apposta per farci morire di dolore perché sapeva che il modo di farci morire era farci tradire il segreto suscitando in noi il dubbio a proposito dell’onestà che non dice le cose del pensiero perché sa distinguere il valore delle cose e rifiutare la delazione dei propri sogni.

La coscienza della propria sanità non corrisponde alla sanità della fisiologia della vita mentale perché la vita mentale ha una complessità che non è contenibile tutta nella concettualizzazione di coscienza e se non si deve negare il riferimento al concetto di ‘tempo’ come forma implicita nella realtà del pensiero – pure si deve poter supporre anche un tempo differente che sia una creazione e realizzazione del pensiero che avviene e rimane indipendentemente dalla percezione del mondo.

La coscienza ha la limitazione di essere legata ad una dimensione temporale che è una certa modalità di coordinare le azioni consapevoli della mente umana secondo la successione delle percezioni e dei fatti ricreati nella memoria in un ‘ordine’ che – poiché ricalca il proprio legame di corrispondenza descrittiva con le cose percepite e accadute fuori dell’uomo – pare la forma lineare causale consapevole e finalistica della natura del pensiero.

Ma quando la attività fisica della materia non è più -temporaneamente- in grado di ordinare i dati mentali in relazione all’ordine e alla successione degli oggetti ‘esterni’ – sembra emergere una caratteristica più profonda e più specifica della fisiologia della vita mentale dell’uomo: la capacità di generare il tempo come una modalità costante e inarrestabile del  pensiero che persiste senza attributo ( né necessità ) di ‘figura’.

Devo avere il tempo di esistere un attimo prima di coinvolgere le persone che amo nell’avventura della mia vita e ‘avere’ quel tempo sembra corrispondere al ricreare in me le condizioni originarie di un pensiero non aprioristico che può accettare l’esistenza di te come realtà di scommessa ulteriore sull’amore a venire.

Nel tempo generato dal pensiero umano forse l’odio della negazione può essere fermato ‘prima’ della distruzione della figura.

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