naviganti mattinieri


naviganti mattinieri


Posted By on Apr 14, 2015

Il mio pensiero di carta si era lasciato sfuggire la dizione ‘pensiero contrattile’. Un unico pensiero è la stessa cosa in due modi. Persone entrano ed escono dalla nostra casa e un barcaiolo pilota la nostra bella porta, che le persone hanno attraversato migliaia di volte, nel bel mezzo di una tempesta marina. La porta che apre e chiude la strada è la salvezza di potersi inabissare e tornare su senza naufragare. Il barcaiolo e il capitano poi! Loro si che sanno come si deve essere al comando: stesso sguardo stesso polso e medesima incoscienza. Certe differenze nella sciagura di un fortunale sono evidenti e ininfluenti.

Così ho trovato questa nota. Di certo l’ho scritta io non molti giorni fa con onesta partecipazione alle esigenze comunicative delle pagine di “Operaprima”. Ma non saprei a che proposito parlassi e da che cosa fossero nate quelle parole. Non so o forse non mi interessa riconoscere le cose che ho scritto già dopo poco tempo che le ho lasciate uscire via. Così è con queste. Forse le avevo pubblicate. Ma adesso sono tornate nuove perché ho perso la necessità di ricordarle. Nello stesso modo, d’altra parte, non si vuole tenere memoria contabile cosciente dei sorrisi e delle smorfie di disapprovazione. Sul balcone del giorno al bar sul giornale quotidiano (se ho tempo a sufficienza per gustarmeli ordino caffè e noccioline tostate) muovo su e giù volto e respiro approvando o, con gradi differenti tra indignazione e incomprensione spazientita, per esprimere un chiaro diniego. I bar sono una comoda platea per noi tutti e l’aria di caffè ci veste di frack neri eleganti. Le tue pupille sono nere anch’esse come fondi di caffè e il bruno azzurro violetto è il colore degli umidi risvegli degli avventori mattutini. Gli occhi delle persone non si oppongono quasi mai. Previdenti e impazienti non hanno coscienza del pericolo delle sorprese di altri occhi appena lavati e delle guance lucide di sapone. Ma non si ha un ricordo di tutti questi avvenimenti dell’anima. Chiamiamo anima, infatti, tutto ciò che in uno stato di grazia inconsapevole, noi facciamo di continuo: cioè arredare con gesti differenti, con movimenti che mimano il frusciare dei passi sulla corda del pensiero nudo, le pareti nuove della casa dell’identità soggettiva. Ci vivo di risvegli e di incontri muti. Delle intese con gli altri intorno a vasetti di arachidi e a piatti bianchi immacolati e tazze tinte di caffè brasiliano. Intese di poco: della bontà dell’ora. Della disposizione dei raggi del sole che ci fanno uguali appena fuori dalla bocca della caffetteria. Non si parla quasi mai tra le nostre file. La vita è un gioco tanto dignitoso da non poterne accennare neppure parzialmente. Una letteratura sperimentale si svolge danzando sulla punta delle dita che tengono delicati cucchiaini e girano i vortici in cui sciogliamo zucchero e panna di latte. Così penso ogni giorno. Ho la mia breve messa di ingresso. Le prime ore fino là si chiudono come una porta di legno stagionato. Girano le ore attorno all’asse verticale dei passi. Dopo verranno gli altri, i ritardatari avvolti da sbuffi di pigrizia ed erotismo. Si poseranno come uccelli di palude sul bordo delle seggiole ai tavolini minuti come si usa perché la scomodità ben studiata è un lusso. Ma noialtri a quel punto non ci siamo più, nel bar. Siamo fuori, in mare. Come un uscio vecchio di legno buono l’idea del giorno naviga e tiene le onde perché affonda e ritorna. Non è una scialuppa che tiene la mia vita di ogni giorno. È una porta che è anche una zattera. Cerco il viso di chi sente così e manco a dirlo, quando arrivano volti simili, sono locomotive a vapore inarrestabili. Uno sbuffo di fumo denso grigiodorato che sa di metallo rovente. Riassumo nelle brucianti passioni di quei momenti le mie ossessioni di ragazzino: via via le consumo. Somigliano a montagne di grano di cui mi nutro. A riserve di carbone sempre più adatto alla caldaia della macchina. Mi nutro della mia antica paura di perdere la fantasia. Se dimentico ottengo la facilità. Non l’arte, che mi resta sconosciuta come un segreto altrui, ma il sapore delle parole di cui non so più privarmi.

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