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Golconda è un dipinto di René Magritte, eseguito nel 1953 e conservato nella Menil Collection di Houston.

“Golconda” René Magritte (1953)

“If the dream is a translation of waking life, waking life is also a translation of the dream.” (r.magritte)

All’apice dell’intelligenza il falso artistico irriconoscibile. Per le vie frettolosi androidi di grande umanità.

Una ragazza ha una versione di sé nella valigia piccola. Un’episodio isolato di passione sessuale ha falsificato la felicità.

Prepara un resoconto esatto. Simulerà bugie. Il conteggio dei grani di sabbia. La successione degli istanti.

L’intelligenza è ancorata saldamente. È un faro in mezzo al mare. Non se n’è stabilito mai il valore.

Artificiale è il falso artistico. Bellezza di murales picassiani. Facciate di Duchamp. In strada marmi di Fidia.

L’aria ne è ingentilita. Le tramontane odorano di arancia. Uso del rigore stilistico contro l’inverno.

Le copie fedeli dei capolavori smentiranno l’irripetibile. L’intelligenza non è genio. Solo dedizione senza umiliazione. Si capirà.

Per queste strade la ragazza porta una inaspettata versione di sé nella valigia piccola.

Un’episodio isolato di passione sessuale ha falsificato la felicità. Che non è più disperatamente irripetibile.

Frequenti gli incontri imprevisti. L’amore impossibile alla portata di tutti. I passanti sonnambuli impavidi.

La vita sola intera. In tic molteplici. In mugolìi. Nel tendere le braccia reclinando il viso.

<Chi ama di più> sarà la domanda in voga. I rematori automatici solcheranno il fiume. Più volte in un giorno.

Io sarò coi passanti lungo l’argine. In viso i tic primordiali. Ai piedi scarpe nuove. Migranti sonnambuli.

La coscienza vigila su ogni movimento.
Negli abbracci perde la volontà. Per questo ho scritto ‘sonnambuli’.

Voglio raccontarti un sogno. Era un calcolo a memoria. Il conteggio dei grani di sabbia del mio deserto.

<Moltiplicano sommessamente, i sonnambuli, l’amore fino ad ora con quello che verrà.>

Esercitano a mente la matematica per non precipitare. Volano sulla città. Come le figurine di Magritte siamo anche Noi.

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tu, io e gli altri


Posted By on Gen 14, 2016

her

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Aver pietà di noi delle forze che ci fanno consistenti, aver pietà della luce e del buio di cui siamo composti. Aver rispetto del peso delle forze che ci tengono su, che ci tengono tutti cuore e canzoni o, altrimenti, tutti dolore ai visceri e inquietudine.

Tu sei il mio microscopio o telescopio. Mi procuri immagini dell’invisibile. Misuri le esagerazioni di cui sono fatto. E le lacune, le incrostazioni sullo scoglio che come una costa di lava mi coprono sempre più estesamente.

In tempo arrivasti, mi dico. Aggirando la montagna. Quando ancora i giorni di solitudine fluttuavano di profumo e aspettavo. Avevo già i capelli bianchi, sonnecchiavo odorando l’aria. Non avevo, prima di te, mai capito e mai rispettato davvero qualcuno, credo. Perché percepivo in maniera generica le passioni non del tutto definite nella durata, forse pensavo che fossero semplicemente inevitabili. Mi pareva che fossi affetto dai sintomi della fatalità sentimentale. È così gli altri in amore, ideali e irraggiungibili, erano insieme a me, alla conclusione, sopravvissuti alla bruciante durata delle nostre riserve di rami da ardere.

Ma nel grande era il troppo, e il poco era meno del necessario: non avevo chiaro e netto che ‘troppo’ sminuisce la grandezza e ‘troppo poco’ amplifica l’indigenza.

Poi con te avvertii ad un tratto inderogabile dichiararti la scoperta della tua unicità. Accadde ad un punto avanzato della vicende di noi. Che tu fossi unica fu una bugia (pur se voluttuosa). L’altra verità più modesta e però preoccupante era che risultasti unica per me. Ma questo non cambia le cose.

Perché dalla certezza della tua unicità sono risalito alla unicità caratteristica della identità di ciascuno e dunque all’idea dell’obbligo di riconoscere tutti gli altri. Come mezzo di conoscenza e garanzia di rapporto.

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