‘oriente’ sta per ‘nascente’


Nadežda Mandel’štam


Posted By on Apr 30, 2016

Nadežda Mandel'štam

Nadežda Mandel’štam

«Osja, amico mio lontano! Caro, non ho parole per questa lettera, che forse tu non leggerai mai. La affido al vuoto. Forse tu tornerai e io non ci sarò più. Allora, questo sarà l’ultimo ricordo di me. […] Osjuša, com’è stata felice la nostra vita infantile. Le nostre liti, le nostre baruffe, i nostri giochi e il nostro amore. Ora non guardo nemmeno più il cielo. A chi mostrare le nuvole che scopro? […] Ricordi com’è buono il pane quando compare per un miracolo e lo si mangia in due? [ … ] Ogni mio pensiero è per te. Ogni lacrima e ogni sorriso è per te […] Deve essere difficile e lungo morire da solo, da sola. Possibile che proprio a noi inseparabili dovesse capitare tutto questo? […] Non so se sei vivo. Non so dove sei. Se mi senti. Se sai quanto ti amo […] Sei sempre con me e io, selvaggia, io che non ho mai saputo piangere, adesso piango, piango, piango. Sono io, Nadja. Tu dove sei?»
(Nadežda Mandel’štam al marito Osip Mandel’štam, ottobre 1938)

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quello che non si regala


Posted By on Mar 18, 2016

Ciò che si ha perché si è costruito: il marziano verde démodé incerto su gambe di latta, il moderno androide, il mare di chiglie a stagionare, la nave nel cantiere brulicante, il catrame liquefatto dal fuoco di legna di pino. E gli ammassi d’aria, e ciò che responsabilmente amammo e il discorso sulla sostenibilità delle relazioni.

Quello che si regala e ci viene regalato: quello che fu costruito perché importante era costruire e che viene regalato perché regalare tutto può essere diventata l’unica cosa da fare. Le cose che dall’inizio furono fatte per gli altri mentre ancora non c’erano ed erano solo un’idea. Quello che viene su con le parole e non sappiamo che è restato tra le parole. Ogni altro regalo involontario e invisibile. Ciò che ci sfugge. Il non cosciente. Quando veniamo sorpresi da scrosci di pioggia. Essere insieme.

Quello che è nascosto nelle cose che ci circondano e che si può prendere o rifiutare se si riesce a vederlo: Il lavoro diffuso nella costruzione del piano liscio delle scrivanie. La macerazione della cellulosa. La foresta di pagine. Le biblioteche/piantagioni. I cuori incisi nella carta di corteccia. La rotta dei messaggi nella bottiglia. La natura marina dei neonati. L’onestà essenziale del sesso senza amore. La sciatta approssimazione degli ideologi. Il romanticismo flebile degli invidiosi. La resistenza al sonno dei pescatori notturni. Prendere in considerazione qualsiasi cosa ci riguardi senza eccezione.

Quello che non si regala: Amare. Adorare. Non svegliarla se dorme. Non svegliarlo se dorme.

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il narratore


Posted By on Dic 23, 2015

il narratore

il narratore

La vita trascurabile di un uomo a margine corre sui fili della memoria. Non fosse per il Narratore lui, l’uomo protagonista, resterebbe un legnetto leggero sulla superficie solida del mare di ferro. Ci sono spunti numerosi e un’impossibilità di certezze per ogni strada possibile. Non resta che tagliar corto e offrire: volti, mani, tempo. Ci si muove in levare verso di ‘lei’. Il piede sonante a terra e gli occhi sul suo viso entrandole in casa per l’invito a quel preciso appuntamento. La vita solitaria costringe uno a percorrere il margine tra sé e il nulla tenendosi ai cavi d’acciaio che congiungono la testa al torace. Così composta la distribuzione delle masse della figura del Narratore spinge il protagonista, su un legno agile e manovriero sulla superficie di un mare di ferro grigio e blu.

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Devo arrivare ai passi sulle pietre del centro storico alle scarpe al suono rotondo dei miei passi sotto i quali ondeggia appesa con un un filo l’ombra lunga di me più lunga di me alle otto del mattino del primo inverno gelata nervosa blu scuro sul grigio del materiale di cava rettangoli grandi accostati quasi alla perfezione e il ‘quasi’ che erano rette parallele e perpendicolari utili, sorridevo, per geometria e grammatica. Avverbi e assiomi. Infiniti pensieri si svolgevano e continua ancora questo eterno amore di non trascurare il trascurabile farci i conti servirsene quasi come (…di nuovo!) una occasione di vivere ulteriormente più intensamente il grigio dell’alba l’altro più scuro della strada il nero delle linee di accostamento delle pietre uguale al colore dell’ombra l’infinita gradazione tra cielo e terra entro la quale mi trovavo a camminare sapendo che non sarebbe mai venuto meno il mondo d’aria luce e materia in piani linee e arpeggi che facevano il viaggio della specie umana come io definisco da allora la città le persone che incontro con la voglia di riuscire a fare la loro conoscenza cosa che so che deve essere eseguita accuratamente variando di poco gli angoli dello sguardo secondo le espressioni altrui. Distogliendo lo sguardo dalla geometria del piano stradale mi incantavo sui segmenti dei percorsi di ciascuno su come quegli occhi esplorano l’aria invisibile che è in realtà solo trasparente e sfiorano avvolgono infrangono qualche volta l’area semicircolare del campo visivo degli altri poi sempre più intensamente il volume delle aspettative di tutti che vedevo bene annusando perché tutti portavano con loro la propria intimità ben evidente a quell’ora come un profumo. Il cerchio la retta le figure solide costituenti la vita societaria del risveglio di una cittadina si scioglievano nel solido complesso del pensiero non figurativo in merito alle psicologie alle norme e alla loro validazione e agli usi e costumi a come era evidente essere quei costumi il modo di usare forme e colori nel comportamento appreso ma speciale (differente) in ciascuno: un balenare di mani e sguardi, un disegnare in aria espressioni di approvazione o rimprovero, nel che lasciavano irrimediabilmente trapelare dall’interno di ognuno loro, le pretese, le attitudini, le volontà di sottomissione o di comando.

Nell’aria trasparente del mattino erano, gli altri, meno distanti. Nel mistero del tepore che si portavano addosso erano ai miei occhi più facilmente conoscibili perché mi appassionavo alle differenti rapidità e maestria con le quali traevsno i fazzoletti candidi dalle tasche o riponevano gli spiccioli lucenti prima tra le dita e il palmo, poi nei borselli di pelle scura. E io mi vedo che mi mettevo già allora a rischiar di sapere, mi mettevo a fidarmi di sapere, mi arrischiavo a esser in confidenza con me stesso, ad essere certo di aver capito. Sebbene avessi avuto subito chiarezza ed apprensione per tali presunzioni e precocità che però coccolavo dato che mi facevano più felicemente procedere. Mi consolavo: “…è un animo poetico ….” pensavo “…se anche stamani la strada tra la casa e la scuola è viva e bella come un geranio fuori stagione!”

Ma invece camminando lungo un percorso di circa settecento metri tra casa e scuola sviluppavo una mentalità in cui era naturale e desiderabile la costanza dell’apprendimento, la lotta continua alla conquista delle competenze: che è bella sulle lastre di cava del pavimento stradale (come fossi stato in un fortino verde e arancio in mezzo ai campi) … e meno naturale nelle aule ma mi parve sempre inevitabile a farmi sentire via via più adatto ad amori assolutamente in arrivo che avrebbero seguito l’ultimo. E il primo degli ultimi fu il primo e fu dolorosissimo e dopo ecco il tempo vero dove posi il lusso del per sempre per camminare libero senza posa.

La comprensione di ciò che non potevo sapere fondava il futuro.

Poi lessi che alla nascita il ragazzino ha la certezza dell’esistenza del seno e leggendo sentii il profumo dell’autore che spiegava: che si in effetti si rendeva conto quanto sarebbe stato difficile capirlo logicamente perché nessuno dovrebbe poter essere certo di qualcosa di cui non ha avuto esperienza. Rilessi in altro modo la parola ‘immagine’ e ebbi chiaro che immaginare è avere la certezza dell’oggetto ed è differente dal sapere di qualcosa per averla appresa. La capacità di immaginare è una disposizione a sviluppare certezze irragionevoli, presunzioni, disobbedienza. 

Il discorso si sarebbe fatto poi ampio come un seno di fantesche o di odalische al balcone.

Dunque mi imbattei in quella trattazione ardua su una capacità cui nessun essere umano sfugge nascendo che sta alla base dell’unica teoria della nascita degli esseri umani che abbiamo a disposizione.  Da quella premessa originò una necessità di cercare se sarei stato in grado di volgermi verso una cultura antropologica e una prassi clinica assolutamente nuove.

Ma il fatto notevole ai miei sensi è che accadde che la teoria della nascita mi parve subito ‘elementare’ quindi indispensabile: forse fu come l’immediata aderenza alla proposizione di studiare che mi capitò naturalmente nelle aule grandi della scuola. E leggendo le pagine del libro che conteneva gli Elementi delle Basi Teoriche della nascita umana forse sentivo il primo inverno i giorni alle otto di mattina le figure geometriche e le dolcezze del primo bacio e avevo in cuore il ricordo dei miei passi di tanto tempo prima tra casa e scuola, quando l’inverno nasceva con il mite rigore delle regole elementari da imparare per, mi riempivo di gioia nel comprenderlo benissimo, rendere accessibili i pensieri. 

Non è tutto: i pensieri furono coltivati da maestri in buon umore quitidiano dato che i vivi, allora, sapevano di essere sfuggiti alle stragi della guerra. Della guerra restavano invisibili nell’aria trasparente del mattino granelli di polvere di macerie sangue di stragi di distruzioni e poi goccioline dell’acqua che aveva lavato via tutto rendendo il mondo di nuovo abitabile col lavoro della generazione dei nostri genitori. Un lavoro che avevano svolto cantando quando non sospettavano di noi perché erano ancora ragazzi mentre lavoravano a rifare il mondo per noi. Avendo certezza di noi seppure non ne avessero il sospetto

Ho respirato con l’aria di allora grani di guerra di salvezza di macerie di giovinezza di guerre ricostruzioni e buon umore e mi tennero in una trasparente allegra certezza senza ragioni. Ma le ragioni ci sono e stavano nell’aria trasparente nei granelli di polvere e nelle goccioline d’acqua. Solo dopo, ma grazie a quanto primitivamente ero diventato respirando l’aria del mattino, mi fu possibile capire la teoria, l’aria nuova, i suoi costituenti invisibili l’acqua e i granelli di terra diffusi tra le parole appassionate. Tornai su me stesso come un nomade del deserto: ma appena più in là della prima nascita, e mi fu possibile quanto era indispensabile a non lasciar morire, tutto quanto fatto fino a lì, nell’ignoranza pigra insomma nell’ottusità di molti accanto a me: potei imparare la scienza che misurava con sicurezza la fortuna che mi era capitata.

Ho avuto la sorte di essere nato due volte in una ripetizione che non è semplicemente una somma.

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l’angolo del muro ad oriente


Posted By on Giu 20, 2015

La consapevolezza (una specie particolarmente impressionante di ‘presa d’atto’) di essere nati cambia tutto per un secondo: poi la superficie del pensiero si ricompone sopra il dorso della balena che è parsa forse solo una visione o quanto meno l’invenzione di un animo suggestionato. La genesi della forma specifica del pensiero umano fa parte della serie di trasformazioni funzionali e anatomiche che accompagnano e circondano il parto e il venire alla luce del bambino. Questo venire alla luce nella specie umana si arricchisce dell’emergenza di funzioni cerebrali tanto esclusive che potremmo assumere la parola ‘nascita’ umana per riferirci esclusivamente alla ‘nascita di una certa nostra attività mentale’. È una scienza nuova quella che indaga sui fenomeni dell’io neonatale dopo che si è ipotizzato che esso (l’io) sia nel neonato per natura e cioè prima di un qualsiasi intervento pedagogico esterno.

Dal 1972 (IDMEC* – massimo fagioli) mancano ancora sessantasette anni a fare un secolo dalla scoperta della genesi del pensiero: essa avviene nel momento della stimolazione elettromagnetica del tessuto nervoso corticale della retina per invasione luminosa alla conclusione del parto. La scoperta consente la ‘datazione’ dei reperti mnemonici coscienti e inconsci a partire da un momento e da una modalità funzionale precisi nella loro forma e precisamente individuati in una circostanza spazio/temporale: modo tempo e luoghi appartengono insieme all’universo fisico, alle vicende storico/sociali degli atlanti politici, e alla particolare stratificazione di immagini del mondo e di sé di ciascuno che restano a lungo e per sempre prive di figura (e che solo per questo vengono definite inconsce che non vuol dire quello cui si allude).

Il fatto che l’io sia subito alla nascita o, anche, che la ‘nascita’ sia originaria emergenza naturale dell’io fa, della ricerca psichica, una scienza differente dalle scienze umane e, della psichiatria, ‘medicina’. Il neonato peraltro si trova ad essere meglio conosciuto una volta che sia immediatamente percepito come soggetto imprevedibile di diritti, uno con una realtà storica sociale e biologica contenute da subito in un pensiero di immagini non riducibile a figura ma non per questo di ideazione priva di schema. L’io della nascita è una figura sintattica che fila da subito i fili che saranno tessuti dalla storia futura.

La natura fisica di una funzione, nata alla nascita per attivazione di molteplici stratificati e simultanei schemi biologici, determina la pretesa al diritto di una assoluta soggettività dell’identità e limita per tutti l’obbligo di uguaglianza all’area giuridica e al rispetto delle norme di legge. La psicologia studia tutto quanto resta escluso, della vita psichica dell’io, da quegli obblighi. La psicologia indaga esclusivamente i modi soggettivi della libertà cioè la competenza esclusiva del soggetto in relazione con il mondo esterno e con il proprio e altrui mondo interiore. Indaga amore e separazione nelle vite adulte per conoscere le vicende dei primi due anni di vita nella specie umana. Indaga i primi due anni della relazione bambini/adulti per comprendere la complessità delle vicende adulte di amori e separazioni.

Si fa dunque cura per cercare e si fa ricerca per curare. Le cose nella psichiatria non stanno mai separate. Si parla per non restare muti e immobili di fronte alle richieste, e parlando si scopre che aveva un senso anche solo opporsi al mutismo e all’inerzia di un ascolto che confonde ortodossia con anaffettività.

Ora sono giunto all’origine del problema, nell’area perinatale del pensiero, ad aver toccato con mano la soggettività costituzionale e irriducibile dell’io della nascita dalla nascita in avanti e per tutta la vita.

Ora con le mani libere devo cercare le qualità umane con le quali la specie affronta la morte. Essa è l’ultimo evento che, opposto alla nascita, sta all’altro lato del ponte dell’esistenza. Non sarebbe servito a niente aver tanto cercato in prossimità dell’origine se, con più sfrontata passione non mi mettessi a cercare -all’altro capo della matassa della vita- ulteriori qualità specifiche della specie che possiede linguaggio e scrittura.

La luce bianca e la luce dorata stanno agli estremi. La vita è fatta dei riflessi tra due capi di un filo che vibra come un onda e poi ci colpisce con una pioggia continua di eventi discreti: per cui sembra davvero valere la proposizione scientifica dell’indeterminazione ( di heisenberg). È una metafora, una falsità scientifica portare la figura della relazione tra elementi subatomici alla realtà macroscopica dei corpi delle persone e al moto lento dei loro ‘destini’. Mi serve per saperti aspettare agli appuntamenti senza l’arroganza della certezza che verrai, anche se poi la pazienza misura gli anticipi e i ritardi con l’impreciso orologio sentimentale.

Comunque questo accade: sbuchi all’angolo del muro che fa il taglio prospettico verticale di fronte casa. Da quella linea si forma la figura piena ed intera di te. Comincia sempre dallo svolazzare di una piega del tuo vestito che, al vento, ti precede. Guardo spesso là distrattamente, senza volere, come si capisce. Oggi ho preso la bussola. Per un caso è ‘oriente’. Dal latino ‘orior’: nascere. Vedi, anche morendo d’amore, di ‘nascere’ non si finisce mai.

(*)IDMEC= “Istinto Di Morte E Conoscenza” attualmente per i tipi de  L’Asino d’Oro 

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