primo uomo


"...SE AVESSE UNA QUALCHE RAGIONE?"

“…SE AVESSE UNA QUALCHE RAGIONE?”

Il primo uomo vestiva in nero. Elegante. Lui pure nero di pelle. Africano provenendo dalla culla dell’umanità propone, ad accrescere non intenzionalmente una già perturbante perfezione, un colletto bianco e il profilo bianco dei due polsini che spuntano dalle maniche della giacca. La sua perfezione diffusa indica avvenuto un irreversibile mutamento. Non sarà necessario dir meglio. Ovviamente si capirà che non ebbe mai alle spalle la preparazione di una cosmogonia. Quelle vennero dopo, come teorie giustificatorie della eleganza inattesa di provenienza interna. Il modo di camminare che non assomigliò improvvisamente più a quello dei predecessori. Il vestito impeccabile nacque alla nascita. Volle significare immediatamente la forma umana. In principino fu straccio annodato sui fianchi per un senso del pudore che non ci avrebbe abbandonato mai. Le provocazioni nudiste sono solo sforzi di negare la differenza con la natura animale. È che la natura animale non tenta mai uno sviluppo. Mai un apparentamento all’umano perché scimmiottare non nasce da un apprezzamento di augurabili differenze. L’eleganza del primo uomo, l’aristocratica silhouette che incede nella tundra del pensiero, è una chiara difformità, un ombra di perfezione che offende la semplice naturalità della diffusione disordinata di oggetti creati da dio. Subito difforme ho interpretato Leopardi e la natura niente affatto adatta all’uomo: “Sa, temo che non capirò mai la volontà di farsi affine il disumano che non ci vuole con franca evidente antipatia” – ho detto. E poi: “Abituato alla difformità è l’io” – dico all’altro che vuol essere amato e somigliarmi. “Lei caro signore non sa quanto poco assicuri l’accettazione, il nostro tentativo servile di sottometterci meglio possibile ai nostri odiati nemici!” esclamo. In faccia glielo dico, sul muso. Ultimamente stiro le cose lungo una piega imprevidente. Non più le madri distratte o possessive temo. Faccio caso alle facce alterate dei loro figli, che mi fanno disperare sia possibile riportare le loro psicologie distorte, alla simpatia per il mondo. Hanno volti avversi in cerca di guai che produrranno dispiaceri. Sono persone in dissidio con il mondo interiore di tante altre persone. Sono in dissidio con le persone silenziose, schive, solitarie e dimesse, poco notevoli e molto dignitose, sui gradini delle case, di fronte a finestre aperte sulle cucine profumate, lungo muri di calce colorata che incrostano le camice di lavoro e di festa. Quei ragazzi inimicati troppo precocemente sono già oggi segni evidenti del crollo della civiltà occidentale che è già avvenuto al loro cospetto anche se non si vuol vedere e si dice di temere e di voler evitare. Nei loro volti affrescati di colori acidi si intravede la falsa sicurezza di genitori che hanno perseguito conclusioni affrettate. Che restano in pose di vanità dentro certe stanze nel cuore delle città occidentali. Non si potrebbe neanche immaginare l’arsura di cui soffrono. Hanno mandato in giro quei loro discendenti perché ne avessimo pietà. Ma mi prende solo l’idea che il danno fatto sia senza possibilità di cura. È perché quei figli non permettono più l’accesso al mondo della loro infanzia. Il loro cinismo ha reciso i legami di responsabilità con il passato. Hanno assolto padri e madri disperandosi da soli al futuro.

 

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