realtà


l’aria sottile della ricerca


Posted By on Mar 6, 2017

Il pensiero rivolto alle cose del mondo riceve la frustrazione di non saper misurare una volta per tutte nessuna cosa. Un abbraccio non è mai uguale ai precedenti perché nessun abbraccio consente di sapere come si deve replicarlo per averne uno di identica appassionata tenerezza. Da questa tensione -incredula dei propri fallimenti di duplicazione- origina la matematica. Che soffre in eterno di non trovare una prova finale della propria appropriatezza. Lei, nata quasi divina, non è capace di liberarsi per sempre delle cose. Perché le cose hanno natura discreta e continua. E sebbene la realtà sia indiscutibilmente piena di fascino essa rimane intrinsecamente contraddittoria. Il numero e le cose si rispecchiano ma non si corrispondono definitivamente. Così a volte la matematica pare reale e le cose simulacri del numero. Ma poi, se si vuole scomporre ogni forma discreta dividendola progressivamente, si ottengono infiniti tratti componenti: che vuol dire che la scomposizione richiede una durata imprevedibile. Il pensiero si arresta perplesso del suo ininterrotto svolgersi all’interno di sé. Sono incantesimi fiabeschi. Come se l’imperfezione di ogni misurazione dipendesse non dal deficit di uno strumento ma dal non essere mai capaci di disporre a piacimento del tempo necessario ad una corretta nostra applicazione ad ogni cosa. Perché il tempo è ovunque ed è dunque un componente della natura di tutto ciò che è in natura. Essendo noi composti anche di tempo non possiamo distinguere il battito del cuore dal fremito e dalle vibrazioni di fibrille del tempo che vive in ogni cosa di cui cerchiamo di conoscere il valore. Così va che per gemellaggio e partecipazione qualcosa si perde librandosi in aria. La delusione di una mancata corrispondenza definitiva ed esatta tra la domanda e l’oggetto fa l’aria sottile della ricerca.

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Eppure ai tuoi inviti non rispondo dato il niente palpitare. Cerco se (dev’esser certo un male che mi prende solo me) qualcosa sia cambiato. Prima: beh prima certo correvo. Mi precipitavo. Si e comunque mai, prima, conobbi queste flemmatiche reazioni. Adesso tum, tum, tum, il cuore imperterrito plana sui campi di spighe. Mi sistemo ben disteso: un uomo/razzo sfreccio parallelo alla curvatura terrestre, le braccia stese lungo i fianchi, che sfiorano il grano. Disegno (il pittogramma di) me parallelo alla pianura coltivata.

Ciò che tiene la sfera intima di me unita alla figura esterna del disegno è la corda chiara e pulita di un’idea di legame tra corpo e volo. La mia costante aspirazione alla leggerezza.

Mi pongo domande per le tesi future: cosa ci rende cattivi? cosa ci rende stupidi? cosa ci rende paurosi?

Non mi accontento delle conclusioni che sia natura umana sottile, finalismo razionalissimo, perfidia vantaggiosa, superiorità del raggirare. Ho scoperto che questa risposta è perché si è creata una confusione (si è voluto farlo apposta?) tra due realtà differenti.

1)Una è la natura armonica della fisica cioè la trama di eventi probabili che chiamano e riflettono al proprio contorno miriadi di strutture plausibili: esse fanno le cose fisiche e le cose fisiche addensate in ulteriori ammassi fanno la realta materiale.

2)L’altra è una cosa composta da queste realta materiali che fanno le parti di ogni ‘macchina’: nella macchina le forze vengono applicate su una parte centrale e da quella trasmesse ad ognuna delle parti componenti secondo leggi di prevedibilità delle conseguenze della forza.

Niente a vedere con il sorriso di accettazione amorosa e la smorfia di riprovazione malevola. Essi mettono in atto altre forze. Difficili da misurare. Ma di quali aspetti delle due realtà sarà il potere finale è scontato.

E così talvolta disegno. Oggi chissà per quale motivo è una figura parallela che si libra sul grano per dire un legame tra corpo e volo. Per tenere accanto a me un cielo di parole e nel cielo una nuvola d’acqua che piova e tolga il peso.

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Di nuovo, la sera, restiamo silenziosi, con la testa reclinata. Diversamente da prima. Ora è segno di dedizione all’intimità nel buio. Immaginarsi figure di un quadro, simili o uguali a certe meraviglie che si erano viste e sono rimaste importanti. Quelle opere d’arte agiscono inconsciamente trasformandoci in capolavori. Le giornate sono colazioni sull’erba. Basta poco. I papaveri laccati, centinaia di unghie rosse, fioriscono sul ciglio del sentiero. Se mi lascio andare mi rendo conto di non capire la norma. Forse è una natura che mi impedisce di ‘accettare’ le cose come sono.

Avevo letto “realtà non materiale”. E le parole facevano venire alla mente la figura singola di un capolavoro. La serie di suoni, che compongono la locuzione “realtà non materiale”, è rimasta una persistente allusione. Un’icona e anche un fantasma. Adesso è evidente il vuoto che nasconde. Sono passati quarant’anni. La letteratura scientifica, scaturita dalla scoperta della vitalità del feto alla nascita, contiene la definizione di ‘realtà non materiale’ a proposito della natura del pensiero umano. Ma la definizione è confusa e incoerente, sebbene sia opinione di ‘tutti’ che incoerenze, in essa teoria, non vi siano ‘possibili’.

Così siamo rimasti silenziosi per anni. I volti accostati. In segno di riconoscenza della genialità. Senza capire che quella compostezza, uguale alle composizioni della maestà delle figure in un quadro, era solo apparente e copriva un terrore. La “realtà non materiale”, innominabile altrimenti, rimane un muro d’ombra. Agita inconsciamente. L’incoerenza, non criticabile, un’icona o un fantasma ma non più opera d’arte, fa la calma opaca della paura. “Perderai tutto. Rimarrai solo. Non sarai più riconoscibile”.

Ma il corpo ha fatto un movimento. La scoperta della vitalità ha consentito di uscire dalla casa del padre senza pensare. È stato facile affermare che, se la vita mentale ha origine materiale, allora la “realtà non materiale” ha natura fisica. Il pensiero, nato nella realtà fisica della biologia cerebrale, resta nell’ambito della anatomia endocranica, poiché è funzione incessante della attività mentale. È realtà umana che non necessita di alcun attributo ulteriore.

Forse fu la lotta contro il materialismo marxista, che costrinse a pagare un prezzo eccessivo, per il timore che si potesse lasciare in dubbio l’umanità del pensiero: si volle tentare un modo di indicarlo senza alcuna ambiguità. Ma le due parole: REALTÀ e MATERIA, avevano subìto, nella riflessione filosofica e medica, una degenerazione semantica. Nessuno si accorse che “realtà non materiale”, nel tentativo di definire una “qualità di natura” del proprio ‘oggetto’, andava a riproporre il dubbio della “esistenza” dell’ ‘oggetto’ medesimo.

Purtroppo, nella realtà della vita psichica dei ricercatori, una incoerenza terminologica che in poesia sarebbe forse un auspicabile paradosso, non inclina al sublime ma all’inerzia. La scienza implica una chiarezza tanto esasperata da essere criticabile anche dai più pazienti degli artisti.

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