ricerca scientifica sul pensiero


Il pensiero è un Motore di Simulazione. La nostra visione del mondo è una simulazione. I nostri sentimenti lo sono. Ci avviciniamo costantemente alla pelle offerta: che resta a splendere, che non sa ‘non volere’. La visione del mondo che diventa sentimento del mondo, la vibrazione del cristallo ai brindisi plaudenti, la contemplazione dei fianchi delle montagne e degli orizzonti marini, la lettura rapida come un galoppare e l’ascensione meticolosa del disegno a mano libera: questo ed altre realtà simili realizzano sensazioni e le sensazioni sviluppano la simulazione di ulteriori mondi e di un’ulteriore bellezza e cioè la spinta alle ricerche e la critica del conservatorismo nell’arte.

La massa neurale addensata nel parenchima cerebrale contiene -costantemente vibranti in un gel potenziale- tutte le simulazioni possibili. Così ci impedisce di sperare, per ora, nel ritrovamento di schemi neuro-psicologici di corrispondenza biunivoca rigida tra le premesse degli stimoli sensoriali percepiti e le prospettive di eventi coerenti.

Ma noi ci s’innamora comunque prevedendo una unica indissolubile prospettiva d’amore e un’eterna corrispondenza: simulare l’eternità è un vizio connaturato alla nostra specie. La simulazione di qualcosa che sia per sempre serve per dare consistenza alle gioie transitorie: una cosa che duri brilla nel cielo scuro delle simulazioni di mondi di baci fugaci.

L’eterno infinito determina la necessità di una fantascienza in cui, da un pianeta sassoso inospitale e altri luoghi similmente controversi, sapremo comunque fuggire. Costruiremo astronavi e messi al sicuro figli e amori e ben assicurati ai seggiolini e ben guidati da capitani spuntati chissà da dove, punteremo lontano. Il motore della fantasia consentirà la piena alluvionale del sonno anche durante viaggi guerre e naufragi. La vita resterà la campagna di conquista di conoscenze, il ‘giro’ di ricognizione senza un fine preciso nella galassia e oltre.

“Dimmi che m’ami. Che nascere valeva la pena. Che il gioco vale la candela. Che la luce accesa in cima alla bottiglia crea le ombre indispensabili.”

Non so più il senso di molte parole: ho dimenticato, via via che gli anni sono andati via da me carezzandomi i fianchi, di dare dignità sistematica alle piccole scoperte quotidiane. Crescendo approfondisco il nuoto verso le piattaforme continentali tornando mammifero acquatico. Leggo che si progettano supercomputer in grado di eseguire un miliardo di miliardi di operazioni al secondo. Dicono che saranno i moderni motori di simulazione per prevedere l’andamento dei fenomeni stocastici: epidemie, clima e pensiero.

In effetti il pensiero è casuale nella sua essenza. Ma ci assicura un po’ di pane, un po’ d’acqua e un infuso al giorno, dall’inizio. Il motore di simulazione che è il pensiero, nel proprio computare continuo, ogni tanto si volge alla simulazione di sé, di come sarebbe bello riposare su una ipotesi unica fissata nel punto di fuoco della coscienza, viva e felice nella Casa Definitiva della Simulazione Convergente.

Ma subito troppo presto e in maniera dolorosa e inopportuna, con grande elevazione di fiati e legni e timpani e voci, un lampo di fosforo affoga di luce le coperte e gli arazzi che dormivano in angoli bui. Sugli arazzi e lungo i muri affrescati, un cervo pigro si stira nell’angolo basso a sinistra, e una principessa al centro della radura si sveglia al bagliore delle lampade ad olio delle ancelle premurose, che sbucano da dietro: mentre in cielo un’astronave passa altissima lungo il bordo estremo della pittura e intanto che, lungo il fianco destro del disegno, cade una mela rossa dalle fronde verdi e nere.

Leggo una frase che dice “ora che è tardi“. Ma ho la luce e il movimento del pensiero che mi impediscono di morire di dolore. Il pensiero è un Motore di Simulazione. La nostra visione del mondo è una simulazione. I nostri sentimenti lo sono. Ci avviciniamo costantemente alla pelle offerta: che resta a splendere, che non sa ‘non volere’.

Non morirò di dolore perché già avevo scritto e compreso quello che è nella pagina. E ricomincio secondo lo stimolo dell’immagine di pochi istanti fa per variare la storia. La simulazione che “è tardi” -che vuol dire violentemente “mai più”- ha al suo opposto il gel di fluttuazioni potenziali che nascono dalla massa neurale addensata nel parenchima cerebrale.

Da qualche parte c’è una donna che si alza dal letto svegliandosi e una mela che precipita spogliata di volontà. Una luce accesa al vertice della bottiglia che crea nuove ombre di parole danzanti. Il soffiatore del vetro a Murano i giorni grigio perla di dicembre. Si ha sempre poco tempo per dare forma alla fusione che raffreddando fissa nel vetro i colori o la sola luce pura al vertice della canna insufflatoria lunga di ferro.

In amore si chiede solo la conferma di una simulazione. Si tralasciano via via le pretese di certi atti di comportamento perché gli anni fanno l’afa che ci rende quasi immobili sotto il cielo bianco della festa d’agosto. Dimmi che m’ami. Non si vuol saper altro.

Forse è soltanto che la prassi di cura ha cambiato le persone e mi fa parer facile l’impossibile, cattivi i buoni, stupidì i sapienti, arroganti coloro che si professano umili. Umili coloro che pretendendo con forza un minimo paiono arroganti. Sostengono, costoro..: “A dir che m’ami non è tardi mai.

Ma tutto il nuovo nasce dal rifiuto del conservatorismo nell’arte e del conformismo nella storia della scienza.

È noto a chi si occupa di realtà umana che tutto comincia da passare una soglia: separazione è trasformazione ogni volta ma non lo è mai una volta per tutte. La gran confusione che tutto andrà bene se non si fanno annullamenti durante le vacanze dell’analista è riduttivo. Forse non è proprio una panzana ma è attualmente insufficiente. Le simulazioni possibili sono eccessive per un unico schema previsionale.

Così mi impongo che bisognerà interpretare ogni separazione ad ogni fine seduta. Ridurre i tempi delle vacanze estive. Lasciare una continuità fluttuante di stati possibili di relazione di durate variabili. Distribuire la luce di un contro transfert meno sadico e rigido sulla galassia della durata di una vita di lavoro.

E tutto si riflette nei comportamenti amorosi: non è necessario restare per sempre vicini nella stanza. Nè porre lunghi periodi di separazione per sperimentare l’inevitabile crisi o la sua assenza vittoriosa. Perché ora sono certo che sia necessario non realizzare mai che sia “tardi”. Perché esso non è un pensiero vivo. È la riflessione di un motore di simulazione rotto che non simula più e converge sull’unica ipotesi della propria lenta estinzione.

È la scena della disattivazione di HAL 9000 in Odissea nello spazio. “Giro giro tondo…” La canzoncina rovinosa cantata della macchina demente. Il refrain che l’uomo canta quando, diventato “trottolino superbo e furbetto”(*) riesce ancora “a parlare e dire, ma non vive” (*)

Poi viene quello che turba l’umanità. Viene quello che Stanley Kubrick chiamava ‘il bambino delle stelle’. E il passato è il futuro, e il bambino è un vecchio nella scenografia ridondante dei secoli illuminati, l’astronave una camera d’antiquariato e il tempo dell’uomo simulazione in attesa di un suono. Un vagito che rompa la disperazione delle parole consolatorie: “Giro giro tondo

“Difficile. Assolutamente difficile, ma, una volta che si riesca, è più efficace. (*)

(*)le citazioni sono tratte dal primo libro di M. Fagioli. Il caldo attuale vale la negazione di non indicarne le coordinate esatte nel libro. Più o meno dovrebbero stare le prime due nei paragrafi finali dell’ultimo capitolo. La terza tra le prefazioni. 

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