riflessi


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Posted By on Gen 30, 2017

Forse nessuno merita l’infrazione splendida dell’arte che si invia per regalo di condivisione. Tuttavia nei cristalli e nelle macerie delle carrozzerie io rafforzo la certezza di una speciale intelligenza cui spedire questo quasi amore. Questi immeritati riflessi.

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“LA GIOVINEZZA ALLE ORTICHE”
copyright:claudiobadii

Dopo la crisi restano i bastoncini di legno a terra. Gli shanghai. Il reticolo anatomico dei neuroni della biologia cerebrale ha implicito che pensare non potrà essere comprendere, dipanando uno dopo l’altro gli elementi dell’intreccio, in un percorso lineare privo di eventi collaterali.

C’era la certezza di -non-so-dove- una ‘crisi’. Ho accettato di cedere alla ‘necessità’ di porre alla base delle foto le notazioni degli anni, (nascita/morte), che facevano risaltare la troppo breve vita di Francesca Woodman.

La sera di ricerca non si è riusciti a risolvere la crisi. Il modo non cosciente, che precede la coscienza, aveva colto qualcosa. Ma durante la seduta di psicoterapia di mercoledì scorso, la crisi, indicata, si era dimostrata generale: l’uno non coglieva la ‘cosa’ degli altri.

Le ore della seduta: le dita delle ‘loro’ mani passavano forti, tuttavia indecise, sulle corolle di fioriture immaginate, tirando via semi tinti di blu scuro elettrico, che erano nascosti nelle pieghe degli stami vegetali.

Erano i secondi, che fanno i minuti e le ore. E, quando ‘loro’ sono andati via, i semi sono restati a terra. E i semi erano di nuovo i bastoncini dello shangai che si gioca da ragazzini.

I punti e i segmenti, sparsi sui riquadri di cotto, componevano le durate su un’area: non più lungo una successione lineare. Il tempo appariva seminato sul pavimento, dopo lo stimolo improvviso e massiccio dell’assenza di persone che se ne erano andate via in pochi secondi che aveva attivato certi flussi sinaptici nel reticolo della biologia cerebrale.

Per quanto essa sia anatomicamente segreta e protetta, la fisiologia è quella di essere attraversata da onde bio-elettriche. In quel caso si trattava dello stimolo di una stanza improvvisamente vuota che in me ha determinato la ‘coscienza’ del dolore: percezione illusoriamente riferita (diffusa) su un corpo ‘fantasma’: la stimolazione centrale delle aree sensitive epidermiche può causare la ‘ricreazione’ di ustioni periferiche.

Una cosa della mente, inaccessibile ad ogni invasione di oggetti, diventava una serie di spine diffuse sul corpo. L’onda di eccitazione, percorrendo le strutture cerebrali, ha diffuso il dolore in un attimo. Ero insignito di un mantello nero di ortica, e il corpo si è sentito ammalato.

Dura nel tempo, e la durata e l’intensità, in modo opposto, sono proporzionali alla vitalità. Fino a che il nero diventa blu radiante e il dolore guarisce la mente: insomma in quel caso non era malattia biologica, ma azione della fisica del pensiero sullo schema corporeo.

Per cui, diciamo che il pensiero dava fuoco all’homunculus sensitivo come a una strega del seicento. In questo attualissimo caso dico che il dolore, così evocato e provocato dalle azioni mentali, era indispensabile ad evitare il suicidio della disperazione.

Sono ventiquattro ore, poi trentasei ore, circa, da mercoledì sera. Il dolore ha focalizzato la percezione di una imbarazzante inabilità che si accentua fino a sembrare fatale. Poi ha lasciato, poco a poco, che la mente realizzasse l’idea di una gravidanza a termine, e un parto.

Rapidamente è scivolato, sollevandomi dalle ambasce, il pensiero per cui, se ricordo bene, doveva essere maggio del 1982, quando scrissi la lettera di addio al mio incarico universitario. Poteva forse essere fine marzo o metà aprile quando l’invasione della luce, per la strada del mare, mi aveva inclinato a prendere la decisione? Non lo saprò mai.

Saranno stati i rami dei cespugli selvatici fioriti lungo la strada, coi loro intrecci bizzarri, che forse mi ricordarono il gioco degli shangai, e il tempo di catrame sotto le ruote che vibravano impercettibilmente ad evocare le autostrade sinaptiche dell’anatomia cerebrale?

Non sapremo mai neanche questo. Può comunque essere stato così nella mente di un giovane medico alle prese con la anatomia, la fisiologia, gli amori, le intemperanze dell’ignoranza. Tutto alle soglie dell’estate.

C’erano:

-potenza e incoscienza.

-la giacca azzurra della giovinezza.

-la neutralità impossibile.

-uscire dal gruppo dei clochard aristocratici.

-buttare la giovinezza alle ortiche.

Butto alle ortiche questi anni di ricerca. Cambio ancora. L’intreccio bello del cespuglio come un nido di cicogna sui cammini accesi per scaldare la nascita dei bambini. L’intreccio della fisiologia del pensiero porta con se il profumo dei fiori lungo la strada.

La vita mentale ha origine materiale. La frase “realtà non materiale” è una locuzione scientificamente fuorviante a proposito della natura fisica della mente. Quelle parole hanno un indubbio fascino letterario, per il resto rappresentano un’idea ed hanno l’esistenza di un fremito sfrigolante.

La scintilla dei treni su e giù per la penisola. Freccia rossa del risveglio e, precisamente, una scintilla. Le scintille ogni istante sono più numerose delle stelle visibili e dello stesso numero delle invisibili. Miliardi di miliardi di eventi elettromagnetici. L’unità di tempo è mente cardiologica e meccanica.

L’azione permanente del pensiero sa, in genere, comporre cuori e cronometri. e si può scrivere che la fisiologia umana delle attività cerebrali ha un’esistenza poetica, dunque solida e per niente letteraria. Una poetica esclusiva delle scienze esatte. La sua bellezza è non avere alcuna necessità di validazioni filosofica d’essere ‘realtà’.

La modalità relazionale della psicoterapia, grazie alla consistenza fisica dei processi ideativi, può operare sugli stati funzionali corrispondenti agli affetti di rapporto. Essi furono nominati, durante gli anni di sviluppo della scienza psichiatrica, transfert e contro/transfert.

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“Il Riflesso Di Me In Te Lucente”
©claudiobadii
per
OPERAPRIMA
L’onda scivola inarrestabile tra le dita e lascia sulla pelle l’ombra dell’acqua: la cosa che non c’è più si fissa indelebile nella mente ma è una cosa differente: la sensazione cutanea e la funzione di percezione non sono ancora pensiero ‘umano’ – poiché registrano l’esistente senza attribuzione di qualità altro che fisiche. È umana la generazione dell’idea dell’ombra a partire dalla traccia sensoriale. Ciò che è ‘umano’ è l’affetto, che legandosi arbitrariamente all’azione passiva dei sensi, conferisce alla realtà attributi specifici, e lega indissolubilmente la realtà del mondo materiale all’io dell’uomo.
L’amore è lo studio perplesso dell’arbitrarietà delle attribuzioni. Ti amo è un massimo di intrusione psichica nella regolarità indifferenziata delle cose. Il mio amore per te, che non si poté certo decidere, mi risulta evidente concupiscenza di conoscere l’anima mia nel riflesso di me in te ‘lucente’.
Studio la fisiologia del pensiero: esso ha la caratteristica del benessere originario prima di (senza) essere amati. Questa caratteristica è comprensibile solo se non ci si confonda sulla nascita, quando il legame arbitrario -che l’uomo stabilisce con il mondo-  ha una forma originale e specifica: esso, in quell’unico caso, non si genera trasformando una sensazione a/specifica in pensiero figurato. In verità il pensiero alla nascita (l’io) esprime ogni volta (dunque in una nascita differente per ogni individuo) una delle infinite variabili della vitalità.
L’identità degli esseri umani è specifica perché è arbitraria. L’origine materiale della vita mentale è una traccia della carezza che la realtà fisica dell’acqua ha lasciato sulla pelle del feto: arbitrariamente nasciamo e sorridiamo. Venne l’ombra, lo sbadiglio, la luce traversa e l’inchino, venisti tu e pensieri a proposito di te, che non avevo ‘deciso’. Mi legai a te come mi ero legato alla luce, alla natura della costa, alla curva della strada per il mare, agli occhi buoni di un uomo lontano. L’io si legò a te che eri natura di realtà materiale del mondo.
Nel pensiero che ti riguarda non c’è riflessione filosofica, semmai qualcosa come il profilo infinito della campagna, poiché l’identità umana è con grande evidenza una cosa frastagliata. La figura dell’essere umano che traversa i campi ha i movimenti inconfondibili dell’io che, originato nella realtà materiale della biologia cerebrale, poi si è legato alla realtà fisica del mondo esterno, restando ‘umano’, reagendo alle percezioni dll’universo, con parole di meraviglia e geniali silenzi.
Ci si innamora legando l’io della attività mentale autonoma, alla percezione fisica della figura umana fuori di noi, con una potenza non del tutto sentimentale: esattamente, bisogna dire, con la prepotenza con la quale il neonato si stabilisce nel mondo legandosi alla certezza dell’altro. Questo ‘altro’ o forse, addirittura, quella ‘certezza’ sono qualità congenite della specie che si pongono alla base delle possibilità, estreme ed opposte, del linguaggio scientifico e della musica.
I poemi cercano di opporsi alla imprevedibilità della quale celebrano la magnificenza. Siccome non si decide né l’amore né il suo oggetto eccoci a scomodare gli dei. Sarebbe meglio che noi esseri umani ci parlassimo e ci interrogassimo continuamente sui nostri gusti inespressi, sul nostro rosso preferito e su tutto quello che frigge in padella durante la distrazione. Sarebbe bene in ogni caso immergerci vestiti in mare fino al collo in gennaio, recitare la tabellina del tre e del sette e del nove fino a che non ci manchi il fiato e allora caderci tra le braccia con la scusa del freddo e della stanchezza.
Ma in realtà caderci tra le braccia per il peccato inconfessabile del desiderio: il legame tra la certezza dell’io e la ‘divinità’ che attribuiamo al mondo esterno. Oggi, amore mio, non c’è niente da disegnare, il bianco è sufficientemente arbitrario, è il mio amore per te, il riflesso di me in te ‘lucente’, la concupiscenza di conoscere il mondo intero, a partire da te. Come sempre….
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