scegliere


le pietre sonanti di Palestina


Posted By on Dic 27, 2014

“Flowerish more” dice la suonatrice di viola palestinese intervistata sul perché si sia dedicata all’arte in quel mondo di guerra e di sassi. Mi par di capire la risposta che traduco così: “È per ricordare che ci sono le valli nel mondo e non solo le montagne che nelle valli si studia come in una vasca di pietra si fanno i bagni più riposanti nel tempo che le bombe non cadono”. Persone di questa natura, questi musicisti imprevedibilmente appassionati, vengono definiti ‘pietre sonanti di Palestina’ dalla giornalista che ha realizzato il servizio. Alla fin fine senza una ragione, solo per simpatia, sto dalla loro parte piuttosto da qualsiasi altra di tante. Non ho mai ragionato dopo una scelta. Non è mai stato per me stare ‘o di qua o di là’ come si impone di solito. Sempre si è trattato di abitare in un luogo del mondo, anche mondo di cultura, con il mondo rimanente e prevalente attorno alla ‘parte’ che mi ero scelto. In questo so di essere stato privilegiato dalla mia natura, che mi rende comprensibile molto di tutto, e mi toglie la malevolenza della rabbia di non saper immaginare. Così posso sempre trovarmi una poltroncina o una seggiola -anche nel bordello o nell’osteria o nella hall di un grand’hotel- su cui riposare circondato di persone di ogni differente rango senza ‘estraneità’. Persone e amicizie un poco più simili a me ne ho anch’io alcune che sono confortevoli covi di arbusti nel sottobosco. Non nascondigli per appostamenti, ma appartamenti per pastori dispersi per laureati informatici e altri simili alberi stravaganti. Avrei potuto rischiare, arrampicandomi appena qualche metro, la vita di un qualunque barone rampante restando sulle chiome. Però non è successo dato che parecchi mi hanno tirato giù dall’intrico della presunzione. Resta che, sia prima che dopo quel disboscamento salutare della mia arroganza, mai sono riuscito a capire la linearità. Ultimamente, per l’età credo, mi sono sempre più legato a questa antipatia per la semplicità come ‘valore’. Mi ci sono legato di una passione senile ultima e ribollente. Così nel turbinoso sentire riesco a approfondire la magica complessità del dispensabile che si esplica in passi disaccorti. In riva al mare in gennaio mi riprometto dunque molteplici passi ancora ascoltando il mormorio di sbarchi mitologici ad ogni ora del giorno e della notte. Ricordo i ‘nemici’: il sangue cattivo, il cuore nero, il settarismo inconfessabile, il dedalo senza speranza della semplicità. In quel labirinto inospitale privo di luce non è possibile mai un ‘maggior fiorire’. Perché il buio frana sul legno e spegne il suono delle viole. Il viaggio della scelta riproposta avvicina certi amori ed altri ne allontana. E  l’esperienza di esilio affila la lama, per procacciarsi le bacche e staccarle dal fusto di ogni ramo. È materiale resistente. E anima necessaria. Annaclaudia domandava, nelle ore in cui io preparavo questo articolo per stamani, se è solo sua la sensazione di avere sempre il cuore altrove. Fosse anche lei una ‘pietra sonante di Palestina’… una che pretende quel FLOWERISCH MORE, quel ‘maggior fiorire’ …. senza il quale non resta al pensiero niente di buono da pensare.

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