scoperta e nascita


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“GRAFFITO”
©claudiobadii

Mi prenderò la libertà di confidare in noi. Tu ci hai descritti. Definiti. Io, senza neanche una parola di avvertimento disporrò di te. Tu sei la presenza intellegibile. L’amore, voglio dire, è quel tipo di capacità che si può avere di porsi di fronte all’altro che, improvvisamente, si sente capito, di non dover spiegare nulla. Si può non averla questa capacità di alleviare, intanto, tanto di quanto prima pesava agli amici ai commensali agli ‘altri’. Gli altri, alle persone dotate di una certa capacità appaiono comprensibili sempre. Questi che hanno la capacità hanno uno spazio intimo nel quale i cosiddetti ‘altri’ possono riposare le loro ossa rotte. Quando siamo profughi dagli scontri di piazza contro la polizia del dittatore e quando siamo profughi dalle torture della polizia segreta dei rapporti privati. La polizia segreta dei nuovi strumenti di controllo poliziesco, i Facebook, i WhatsApp, i socialnetwork, come si chiamano i moderni luoghi del narcisismo collettivo.

Serve una qualità di grandiosa modestia. Far sentire gli altri legittimi. Il grande male, la tragedia diffusa, la polvere di gesso che copre tutti… è la ‘certezza’ della propria illegittimità, il senso di precarietà, i numerosi sospetti a proposito di sé nel momento che si comincia a riflettere su noi stessi.

E’ stato necessario studiare, prepararsi, essere previdenti faticando quando erano grandi le forze. Abbiamo studiato lungamente. Abbiamo scovato, traversando dalla teoria psicoanalitica freudiana disperata e parziale alla nuova scoperta della nascita, poi guadammo la prassi terapeutica il fiume dello Stige, l’interpretazione della realtà psichica, l’annullamento della realtà materiale, il rifiuto delle scuse coscienti per il sapere dell’inconscio che, però, faceva dimenticare tutto. Dunque troppo. Gli analizzandi mangiavano le focacce di pane dolce per dormire e non uccidere più. Ma non era ancora il tempo della loro vita, perché il transfert era idealizzazione e loro -nel sentirsi ‘bene’- invece erano ancora fragili, ipersensibili, irritabili, neuroastenici, deboli, impauriti, isterici. E non essendo ancora il loro tempo di vivere restavo fermo anche io nella relazione di scambio, senza nessun margine di ‘resto’, senza nessuna altra possibilità. Non era, voglio dire, nemmeno il tempo della mia vita. Il contro transfert risentiva dell’obbligo di accordarsi sapientemente al transfert. Era impossibile, di fronte alle loro evidenti difficoltà (a capire a vivere a trovare la forza a superare l’isteria a superare la fragilità a superare il loro odio verso di me che li rendeva nevrastenici) che io potessi avere la calma per vivere ‘normalmente’ … ed il contro transfert era solo disciplina di lavoro, difficoltà, inquietudine, paranoia… “Poi ce la fanno a farmi fuori…”

Decenni di parole e di pause, ogni volta sette giorni. Avevamo fatto tanto per dividere il tempo in frazioni non decimali per accordare il ritmo delle pause e degli incontri alla luna alle mestruazioni alle fasi calanti e crescenti. Al sangue. Trovavamo con le mani cieche quel sangue secondo un sapere che veniva dal nomadismo delle dita sul seno materno profumato dei primi momenti. Fasi crescenti e calanti. Le imposte aperte e poi accostate per fare giorno e sera secondo il sonno reciproco del neonato e della donna. Lontano dal mondo della produzione del padre. Abbiamo studiato per trenta anni. Aprire il libro. Chiudere il libro. Fase crescente, gli occhi sono saracinesche, persiane, che calano si serrano fanno il buio artificiale per sognare una comprensione, per chiudere le braccia attorno a te e fare l’amore. Per chiudersi a te e lasciarsi succhiare il latte come non ci fosse altro.

Lo studio dei libri, delle teorie, della scienza fisica, della scienza letteraria, della critica sociale, della politica, erano il setting: la sistemazione delle cose nell’universo esistente. Non ho ricordi differenti da quel procedere, ogni giorno, avendo intuito contro/intuitivamente ‘qualcosa’. Non ricordo niente altro. Come un amore di passione che non ragiona anche se non diventa bramosia e, pur volendo la carne e la saliva, tiene la distanza e l’idea di desiderio come certezze inestinguibili.

Studiare i contenuti. Poi si arriva alla linguistica, alla neurofisiologia, alla neurobiologia, alla certezza della origine materiale della vita mentale. Le dita sulle pagine fanno sempre il nomadismo come si era cercato. Le dita tracciano, muovendosi sulle pagine, il disegno del reticolo epidermico della cute sulla ghiandola mammaria che è irrorata dal calore. Lo studio ha questa sua legittimazione di desiderio, ma non c’era più, in quel tempo, la madre vista stando in piedi di fronte a lei. Nella regressione che doveva togliere l’isteria che è irrealtà, si perse la visione della madre intera. Si andava ai milioni di anni. Alla paleoantropologia. Se non avessi studiato anche quella branca della scienza dell’uomo avrei temuto che fosse una regressione pericolosa. Le parole che nominano le aree pulite del sapere mi rassicuravano che era possibile.

Dalle teorie mi sciolsi per arrivare all’impotenza assoluta del pensiero non razionale. Persa la visione della madre intera tornato ai milioni di anni dicevo parole senza senso. “Veglia senza coscienza”. (Dove altri dicevano immagine inconscia non onirica, che forse intendevano tutt’altro da quello che io credevo volessero esprimere..). Ma io non volli scomodare più la seta usurata dei discorsi altrui. Mi facevo le ossa con le carezze alla voce delle donne sconosciute. Fisica, scienza sociale, paleoantropologia, linguistica…. Per la pazienza di altre donne. Che concedevano le infrazioni e non si fecero mai ‘legge’.

Grazie a molto di questo che è solo sabato pomeriggio torno fino all’antropologia ultima, quella dell’evoluzionismo attuale. Ecco la mela rossa che, vada come vada, lascia affondare i nostri denti bianchi. L’evoluzione non ha un andamento lineare. Le mutazioni vantaggiose crollano. Mutazioni controproducenti emergono e progrediscono. Gli ominidi, lenti nella savana e appena sufficienti sui rami, sono riusciti. Saranno due milioni di anni fa. Imprevedibile. Non ci si sarebbe scommesso. La legittimità figlia della improvvidenza. Il successo di non essere annullati e spazzati era steso ad asciugare sulla via della resistenza (c’è un articolo e un disegno in proposito nel blog..). In equilibrio precario lungo la linea confinaria. In equilibrio precario di un sabato pomeriggio di due anni fa. Per un sorriso.

Il controtransfert adesso è una scelta di marginalità a presidiare i confini solamente, a controllare nulla. A guardarti telefonare certamente ai tuoi amori senza voler sapere. Tanto lo so. L’ho sempre saputo e ti ho amato comunque. Diversamente, senza quella bellezza che ti rendeva orgogliosa, silenziosa, misteriosa, traditrice, non avresti avuto nessun fascino. Io lo so che voi donne considerate amore solo questo coraggio che si deve sapere, e saper immediatamente dimenticare, la vostra bellezza. Di saperla solo quando ci offrite di succhiare il seno in silenzio. Poi dobbiamo essere stupidi e lasciarvi. Io ero fatto per questo. Perché avevo sempre tenuto in segreto la necessità di pensarti dentro il miele dell’universo appartenente al buio dei tuoi segreti luminosi. Così ti ammantavo. Così ma in modo che tu non vedessi. C’era una probabilità minima di riuscire. Una ‘vita migliore’ è un’ipotesi contro intuitiva nel migliore dei mondi possibili che l’amore pretendeva di esaudire. Resto come ero, abbastanza povero, con te sulle dita. Ti lascio scivolare sulle falangi. Sei un’Araba Fenice che scompare nelle aree cieche degli spazi nascosti e ricompare sull’orizzonte dei polpastrelli. Io sono una specie di prestigiatore. In verità mi muovo lentamente attorno ad un atomo d’elio fissato al centro della visione per non lasciar cadere fuori del campo del mio interesse neanche una delle scintille che spruzzi. Mi avvito sul perno di te, che inchiodi le mie mani in un punto non casuale in aria.

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una gioia immeritata


Posted By on Mar 31, 2013

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scoperta e nascita
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Prima di tutto bisogna dire che è una gioia immeritata. Questa parola lega due eventi che salgono insieme sul confine dell’evidenza. Tale confine corre lungo il dorso aguzzo di una cordigliera, la spina dorsale costituita da una faglia tettonica che si è fatta catena montuosa.

Cosicché i due fatti salienti, evocati dalla certezza cha questa felicità mi sia capitata con poco o nessun merito da parte mia, letteralmente sbucano su come ‘dal nulla’ o, meglio, dal cielo di sotto, da uno spazio misterioso che sta ‘dopo’ la costa rocciosa.

Da quell’universo di porpora ghiacciata -che vola su a precipizio e scatta con una accelerazione bruciante dalla linea del traguardo della cordigliera- compaiono lievemente in anticipo sulla nuova luce l’ingenuità delle scoperte scientifiche e la nascita dei figli.

Nel momento della comprensione e della sorpresa soave serve una certa modestia e non accalcarsi in piazza. Una modestia che ci eviti la fretta servile e l’ingombrante arroganza degli accorrenti della prima ora, che sono sempre i peggiori poiché in genere non sono di fatto i primi, ma solo attentatori, che vanno a guastare, con precipitoso anticipo, una sperata immaturità.

I tempi devono sovrapporsi da diverse provenienze e fare le correnti e i turbini e gli alisei omerici e il nostro maestrale. I tempi devono fare il cielo, gli strati dell’anatomia del mondo tridimensionale e sommergerci cosicché abbiamo nostalgia gli uni degli altri, tanta nostalgia da inventare il richiamo il nome l’avvertimento l’ordine la dittatura e infine l’implorazione e la scienza, il discorso elegante del procedimento delle scoperte. Figli e conoscenza ruotano dentro bolle d’aria su uno sfondo di schiuma dorata.

Siamo tutti costituiti di cordigliere e di schiene rocciose e tutti sentiamo le catene vertebrali correre e dipanarsi dentro di noi quando diciamo che un brivido e una corrente e una sferzata ci hanno traversato bruciando. Mille porcospini accolgono l’amore improvviso di un bacio mentre noi arricciamo la pelle e ci troviamo a soffiare dal fondo, in un attimo, tutto il vapore bollente della vita fino a li.

Sulla punta delle dita i figli e le scoperte sul palcoscenico di fronte ai ripari nel balcone montuoso salgono lentamente verso il soffitto dell’universo senza che si abbia bisogno di alzare lo sguardo. La libertà che lasciamo ai destini altrui ci fa assumere posture umili.

La libertà di chi ci circonda e che con quella libertà ci travolge è una vera e propria umiliazione per un bel po’ di tempo. E l’intelligenza per comprendere la natura di questa speciale forma di umiliazione cui ci si riferisce, intelligenza che alla fine arriva è anch’essa gloria immeritata.

Immeritata è la gioia dell’ateo che in esultante solitudine riesce a godere del mondo e degli amori senza nessuno da ringraziare poiché sua è l’intelligenza e interiormente contenuto è l’amore invisibile e silenzioso e buio fisico c’è nella scatola del suo cuore e buio come la notte c’è nella sua testa all’ombra estiva dei tigli.

Non potendo un incredulo ringraziare della gioia che gli nasce in mente essa non ha merito se non in lui che la concepisce. La gioia della generosità incondivisibile accompagna la nascita e le scoperte scientifiche che ci conferiscono certezze. Ma il ringraziare escluso lascia soli i nati e gli scopritori.

L’immeritata gioia di te che vieni a trovarmi è dedicata a te che in me assumi toni forti di colore. Un colore più grande delle parole.

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