sineddoche


penicillina


Posted By on Apr 19, 2011

penicillina

C’é il mare, una spiaggia lunga come la disperazione dei poveri, la gioia famelica senza fine, la sconfinata poesia di giornate che hanno il loro centro a quaranta gradi delle due, e la passione per chiunque abbia attraversato la strada provenendo dal paese. C’é la frontiera tra la strada e la spiaggia – chissà quante ce ne sono uguali – e tiro in ballo coloro che sanno di che si tratta, e che dire degli occhiali scuri per nascondere il desiderio e fare finta -impassibili- di fronte alla figura che passa sulla riva, e non voltarsi superbi e ribelli – ‘me non mi avrete’ come in un cartoon di avventure e eroismo. Poi c’é la sete, il sale, le punture, tutto l’armamentario dei giorni senza ritorno, e della morte in agguato, del giorno che si esaurisce oltre il muretto alle spalle prima della strada, dove riporre la luce e la sabbia e gli sguardi, che non sai se li ritrovi quando tutto torna a posto guardando la giostra illuminata – identica a quella vista anni fa sulla costa del mediterraneo settentrionale. Nella mente c’é tutta quella forza muscolare e quelle figure che si rompono e si ricompongono continuamente, la ricerca costante per tenere insieme il calore dello sforzo dei muscoli e le parole, c’é ancora sempre il racconto quotidiano delle flessioni di tutto il busto sui remi, per portare fino alla riva un bacio pensato un miglio al largo. Si suppone che nessuno degli amori  marini contenga la definitiva risposta e che c’è da augurarsi ben altro che possa arrivare a turbare la coscienza. Frattanto, nel pieno del caldo, si sonnecchia tra le odi di sonno e il tintinnio delle posate dei ristoranti. Il sonno dura decenni, quasi tutta la vita, il sonno ha uno svolgimento indulgente, il sonno -quel sonno- ha l’ impunità e ci fa prendere la deprecabile iniziativa di lasciar perdere tutto come succede adesso all’afa d’estate. Nel dormire, molte cose ci accadono: ci sono da svolgere le attività intellettuali per l’educazione dei figli, c’é da realizzare l’attività di ammirazione incondizionata per tutto quel mare, si deve trovare la convinzione della assoluta preminenza delle attenzioni indispensabili verso ciò che si deve conoscere che proprio è escluso che si debba ignorare. Nel sonno si deve camminare, recitare poesie, innamorarsi e dichiarare l’amore, e poi cessare tutto l’amore, e ricominciare a tessere il tappeto, e mettere i fiori al bordo delle cinque, passeggiare coi libri nelle mani, e ci sono le figure delle mani piene di rughe e di spine e di aghi e di ciclamini e di ferite, e ci si guardano le mani piene di tracce di scrittura e di carbone e di regali mancati e di silenzio color grigio scuro e violetto. Ci sono frange di coscienza che spariscono, e poi il nero della materia senza più coscienza, e il precipizio, e la contrazione dei muscoli delle gambe che si perdono nel vuoto, e poi il volo facile, l’idea illusoria di tutto, e una totale irresponsabilità e la mitologia del soggetto – ‘me non mi avrete’ di nuovo, come sempre, alla spiaggia, nello stradello che scende verso la riva, – e il mondo che precipita nel disinteresse assoluto alle spalle, per via di tutto quel sole e quel caldo e quella vitalità della materia infuocata, che fa il sogno, l’onda radiante dell’espansione, dove si intrecciano passioni sostanziose, mostarde succulente, polveri antiinfiammatorie, blandi espettoranti e pillole antibiotiche che risultano miracolose, come le scopate in un buca di spiaggia, mentre tintinnano ancora le posate nei ristoranti, tintinnano sempre perché le passioni sessuali si svolgono nascoste allo sfondo di un eterno neorealismo, si realizzano in modi sfacciati ed immorali di lasciarsi fare tutto – in tutto quel centro del mondo che sono i quaranta gradi delle due di ogni giornata di mezza estate – mentre di certo siamo in netto definitivo contrasto con tutta questa perdurante affezione attuale per ciò che ha esclusivamente natura di coscienza e ragione, e che si affaccenda a rendersi la vita intollerabile. Per perdere il tempo, tutto il tempo che c’é da perdere per evitare l’altro, il linguaggio, la ricerca e alla fine esclusivamente per non tener conto dei baci che si portano da un miglio al largo dove li abbiamo pensati.

A volte la ricerca sul pensiero consiste nel portare baci pensati molto al largo sul mare, portarli a chi potrebbe anche non esserci, o non volerne mai sapere.

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il silenzio della parola


Posted By on Apr 6, 2011

il silenzio della parola

Esatte scenografie delle intimità ostinate del pensiero. Programmi di mondi perfetti e differenti. Il risparmio delle parole. Le moltiplicazioni dei volumi muti del mondo di dentro perfetto senza spreco. La fontana di sabbia. La ridefinizione delle identità nella prova vocale della recitazione. Noi. Il senso della preferenza d’amore nella dialettica delle marionette oltre la balaustra. La guancia accostata alla spalla. Il riposo sulla pietra azzurra affacciata sui vulcani. Il pensiero verbale muto che splende. Il crollo sfolgorante di una civiltà intera. Il travagliato operare chirurgico per ricostruire l’esattezza del margine. La pulizia. I calcoli attenti dei metabolismi dell’anima affascinata. I piatti di luna. Le dieta ipercaloriche per l’amore. Il colore indicibile degli astri durante la luna di miele. Tu ed io a camminare sicuri  in mezzo ai campi  coperti dalle ombre degli anni avversi. Certi giorni. Il mutismo del pudore.

‘ ….sei quella che ha scelto di tacere…’

La tua ostinazione programmatica a tacere. La tua ostinazione programmatica a tacere che fa il niente delle parole. Io che al cospetto della tua ostinazione programmatica a tacere divento diverso. Tu che di fronte a me che divento diverso alzi gli occhi al cielo. Tu che alzi gli occhi al cielo e fai cambiare il cielo ai miei occhi. Tu che pronunci il mio nome ed io che cambio se pronunci il mio nome. Tu che guardi il mondo in silenzio con un sorriso misterioso e pieno di commozione. Il mondo intero che cambia sotto il tuo sguardo di tenerezza. Il mondo bambino. Il tuo sguardo silenzioso sul mondo. La tua ostinazione programmatica a tacere che ogni volta fa il niente delle parole. Quel numeroso niente che fa la tua comprensione femminile del mondo. Il mondo coperto dal tuo silenzio. Il silenzio che è progettare mondi.

‘….sono la fontana di sabbia al centro delle città…’

La fontana di sabbia al centro delle città costruita con tenerezza e compassione quando volti gli occhi al cielo di fronte a me che cambio troppo lentamente e preghi dio di darti la capacità di aspettare fino a quando saprò raggiungerti nelle piazze piene di sole. Una costruzione che tiene la mia idea di te al riparo. La Città del Riparo ha acqua che gorgoglia e canta nella piazza al centro della mappa del progetto di noi. La costruzione perfetta del Grande Riparo. L’urbanizzazione della tenerezza che ti prende nel guardarmi mentre cambio al cospetto del tuo silenzio. La Città del Silenzio e le città infinite del mio silenzio. Le mie reazioni alla tua perseverante tenerezza e la proliferazione del tuo silenzio ostinato. La moltiplicazione dei miei progetti di città perfette, di hangar necessari ad ospitare intere flotte di aerei di pace. L’esatta pressione che piega i pennoni d’acciaio e crea le convessità della volta alle cupole dei Magazzini degli Imperatori. Io tutto un progetto di me nei tuoi confronti riparo motori scassati nelle piazzole di sosta.

‘…confidiamo che l’identità possa essere il silenzio delle parole mai pronunciate a proposito delle nostre reciproche intenzioni d’amore…’

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