singolarità


il sentimento del mondo


Posted By on Mag 30, 2016

Stati d’animo è la realtà. Per lo più. La vaga presenza di altri è di certo indispensabile ma deve stare insieme alle relazioni entro le quali si esercita e si verifica. Un topolino bianco, una cavia, si aggira nel rettangolo e non ci sono suppellettili e divisori all’interno. Ecco che ci siamo: solitari ciascuno che nel dire noi dice io sconosciuto a tutti: perché io ho un ingresso privilegiato a me stesso, un accesso dall’interno che nessuno al di fuori di me ha. Ognuno dunque entra in se stesso da se stesso e poi osserva l’umanità attraverso questo primitivo stato d’animo: i suoi pensieri sul mondo diventano il mondo, il sentimento della realtà diventa (il disegno del)la realtà. Le scritture alla moda dei tempi sono i sacrari pieni di segni incrociati. Il libro dei monoteisti ha inaugurato la grande stagione infinita. La genesi di un inizio dal non essere precedente ha segnato sul deserto o su un monte o sotto una costellazione o sui graffi di una pietra piatta e pesante… e anche ha intuito e obbedito (al)la necessità di una nascita e di una origineNoi siamo, ciascuno per sé ma anche rivolto a tutti gli altri, la nostra e la loro croce: la grande X incognita riproposta nei punti interrogativi: “mi ami?”

Il mio preciso punto di rosso, il mio rosso preferito: ecco il sentimento battente. Io sono il cuore del problema. Noi siamo il rettangolo della vita e la circostanza del discorso. Mi pongo un nuovo impegno di durata: il tempo sarà stato percorrere il perimetro. La libertà dal tempo sarà il camminare sul pavimento d’aria e il respirare il volume celeste sopra di noi. Il tempo si innalza sopra la base e fa volume. L’amore unisce le tre dimensioni in una sola e misura una successione diversa, relativa. Dopo di te niente sarà più come prima si dice sussurrando di vergogna: perché le distanze e le durate saranno capaci di variare le misure delle cose e le attese e i ritardi al variare del sentimento che torna e ogni volta che torna non è mai uguale e, letteralmente, nel tornare, si discosta. Tanto che tornando a tradursi in una cosa aggiunge quella cosa alla realtà che diventa diversa. Perché la differente cosa cambia il mondo e poi il cambiamento del mondo si riflette in un nostro nuovo sentimento del mondo. E tutto tornando ricrea tutto differente da prima e ci cambia: poi si comprende la differenza tra la memoria che è ora funzione di registrare tracce e il ricordo che è un sentimento: una fantasia generativa di cambiamenti.

Così tornando da te la trasformazione del mio sentimento all’ombra del colore rende tollerabile il sentimento di casualità di cui soffrivo.

Lo spazio diviso per il tempo diventa spazio nel tempo e poi diventa noi. Meno di noi è improponibile. Ma noi può variare e contenere il caso in una impaziente peregrinazione della ricerca. Si insiste ad andare su margini, su balconi, e su terrapieni: tutte forme di una terra di nessuno. È il pensiero fisico che si forma sull’orizzonte degli eventi, alle pendici dei valori relativi variabili per cui la frazione del rapporto tra noi e il resto resta possibile. Ci si aggira alla immediata periferia della città della luce nell’aria dove arrivano i riflessi, in scintille, della centrale elettrica e il profumo delle friggitorìe di cibi take/away.

Il sentimento del mondo è la realtà e insieme è la certezza dolorosa dei suoi margini sfumati e incerti che ne contengono la densità e l’attraente consitenza. So che solo tu, nel consentire la costituzione del rettangolo di rapporto che ci è imposta dalla natura umana, puoi aiutarmi a sostenere tutta questa imponente massa di incerte valli e di sfumati orizzonti. Parlo al sole come con te. Per riposarmi pensandoti ogni momento che non ci sei. Perché non si arriva mai da nessuna parte.

La relazione è (e non può essere altro che) il suo proprio attuale risultato.

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singolarità


Posted By on Gen 8, 2016

luce, calore, forma.

singolarità

(Ho guardato la foto della parete spoglia con la presenza delle cosa sparite e il suono sinfonico abbagliante delle pennellate di luce. Ho colto la geometria rigorosa dei segmenti paralleli del termosifone da cui si irradiano i cerchi concentrici di un campo di calore infrarosso. Non si resiste a certe cose. E si tenta di dire quello che sta accadendo davanti agli occhi e quello che fa accadere in noi. E sembrerebbe a volte che riuscire a esprimere quelle cose cambia prima noi che il mondo esterno.)

Il punto è pensato come vertice della vista prospettica. Ma nello spazio tridimensionale questo punto LÀ IN FONDO non c’è. Il punto che si disegna sul piano, il buco del vertice, il punto di fuga nel foglio non corrisponde a qualcosa in cui il mondo che vediamo si esaurisce ed esce di scena.

Uno spazio tridimensionale su un foglio non ci sta. Lo stesso vale per quello che viene definito un ‘buco nero’ dai cosmologi. Dunque: lo sforzo immaginativo richiesto per comprendere implica che dovremmo pensare di costruire un cubo di materia solida e chiederci dove potrebbe portare un’addensamento al suo interno per poter affermare che non si tratterebbe certo di un ‘buco’. Ovviamente non è un buco e non porta da nessuna parte. Il fatto è che l’universo è composto di (almeno) quattro dimensioni perché bisogna aggiungere il tempo che è risultato essere una realtà fisica. Ma allora (seppure sia scorretto) tanto vale pensare che l’universo intero sia fatto di spazio/tempo. Si capisce che, come era per il punto di fuga della prospettiva, in un universo tridimensionale non è possibile avere alcun mezzo per raffigurare lo spaziotempo. Le metafore cui ricorreremo saranno non tanto consolatorie approssimazioni, ma proprio deformazioni causa di errori di comprensione. Allora lasciamo perdere la raffigurazione e scegliamo l’immaginazione per pensare in questo modo: un buco nero (uno dei miliardi di buchi neri nell’universo fin qui pensabile) è composto di qualcosa che è al confine dello spaziotempo, non è cioè soltanto uno spaziotempo di grande densità. Il suo confine è stato definito ‘orizzonte degli eventi’ e questo può aiutarci perché ci ricorda che, siccome gli eventi sono le cose che cambiano nel tempo, i fisici ci suggeriscono che questa formazione imprevista è una ‘condizione’ dello spaziotempo cioè un EVENTO cioè UNA COSA CHE SU QUEL LIMITARE COMINCIA AD ACCADERE’ diversamente.

Dalla nostra prospettiva di esseri tridimensionali sapevamo cogliere la natura del tempo solo come oggetto esterno che non ci riguarda. O come contenitore in cui si muovevano i nostri orologi. O come sensazione psicologica tanto soggettiva da non poter essere espressa con parole. Il tempo era e restava uno stato d’animo, un accadere di noi a noi stessi… Questo senso irrimediabile dell’accadere che siamo noi è perché siamo anche noi spaziotempo e possiamo quindi avere un’idea della costituzione dell’universo: ala di farfalla o pianeta. Stupore o dolore incomprimibili, che nessuna metafora può veicolare che restano origine di multiformi metafore di una medesima cosa. La natura fisica della realtà. Di tutta la realtà.

La fisica è poesia.

Però alcuni geni hanno saputo portare questa realtà differente a livello di pensiero non solo poetico. Sono entrati nella realtà dell’universo da una porticina posteriore. Da dietro le quinte della realtà fisica del mondo hanno scrutato e raccontato. Hanno detto: giunti all’orizzonte degli eventi il tempo si ferma e ciò che va oltre non manda notizie di sé.

Noi da qui si comincia a capire che questa loro posizione cambia tutto, che ora abbiamo un problema di linguaggio. Si capisce perché: perché il nostro linguaggio è fatto per il nostro modo di vedere il mondo. Si è evoluto per descrivere un mondo tridimensionale e si può concludere che sia un linguaggio limitato, anch’esso tridimensionale che per esprimere lo spaziotempo non ha i mezzi. Anche se ha coniato la parola spaziotempo altri mezzi non ce li ha ancora.

Si pensa che la forma poetica offra un suggerimento, non di più. Ma alcuni geni hanno saputo spingersi a pensare che lo spaziotempo parlasse da solo e si esprimesse attraverso il linguaggio che essi lasciarono libero. La matematica aiutò costoro.

Noi potremmo adesso supporre che il numero non sia semplicemente una astrazione come si dice, quanto la conseguenza (o la forma) di una trasformazione nel modo di pensare le relazioni tra gli oggetti: sia interni che esterni. L’uso del numero e poi dei simboli matematici consente la visione di una sintassi radiante in forma di calore infrarosso.  La mente rinuncia alla figura per l’immagine mentre la consistenza dei legami tra i componenti la realtà si rafforza. La logica è la potenza delle formule di leggi fisiche che aumentano la nostra libertà  di movimento. Mentre fissano risultati inequivocabili di pensieri strani che fanno volare aeroplani pieni di avventurieri, altrove ci si chiede se la matematica abbia una realtà sua propria o non sia che un mezzo, un modo di pensare che non ha riscontri nel mondo.

Questo modo differente di esprimere le relazioni tra le cose mentali (e non) genera comunque relazioni ulteriormente possibili tra le cose e in più indovina e anticipa le leggi per ulteriori voli, più rapidi spostamenti, telescopi più lungimiranti.

Galilei: l’universo è comprensibile e svelato in linguaggio di matematica e geometria. Fu una buona intuizione.

Ma oggi si capisce che il suo significato diventa vero solo se si aggiunge che la matematica e la matematica delle nuove geometrie (anche quelle pluridimensionali) è, per adesso, l’unica forma di linguaggio che esprime il pensiero cosciente NON VERBALE della visione della costituzione spaziotemporale della realtà.

Così il buco nero è un EVENTO spaziotemporale DENTRO UN EVENTO spaziotemporale. Non è un luogo isolato nello spazio in un certo momento tutto suo del tempo. Egli condivide lo spazio con l’universo e copia il suo tempo sul tempo del mondo che c’è. È dunque esso stesso spaziotempo ma ha assunto un certo modo di ACCADERE. Dal buco nero NON SI VA PIÙ IN LÀ lungo una linea e oltre un piano. Ma neppure si va magicamente in un altro volume laterale o AL DI FUORI DI QUELLO NEL QUALE IL BUCO NERO SI SAREBBE FORMATO.

In vista del buco nero si deve cominciare a pensare in modo diversamente intelligente. L’universo accade continuamente in modi differenti. La differenza è coesistente in un tempo che non esclude quasi più nessuna contraddizione perché la sua consistenza è di natura sintattica e grammaticale più che semantica.

L’universo ed ogni sua più piccola frazione si somigliano come un grande frattale: tutto È UN MODO DI ACCADERE CHE SI MOSTRA IRREVERSIBILMENTE CIOÈ INEQUIVOCABILMENTE IN OGNI MOMENTO IN OGNI SUO PUNTO. NON UNA VOLTA PER TUTTE. MA TUTTE LE VOLTE  CHE VUOLE.

Di fronte alla foto delle cose sparite dalla parete e risonante di luce finalmente arrivata fino a noi immagino che come ogni altra cosa che si percepisce e poi diventa pensiero, non abbia principalmente un valore diacronico: piuttosto vuole assomigliare, e dunque evoca, la forza alla base della conoscenza dei fenomeni e del fenomeno stesso della conoscenza: è la necessità ESTETICA DELLA SCOPERTA, il bisogno di bellezza della FORMULA: il sogno tanto caro ai matematici. La foto è tutto questo ma è anche chiarezza della FORMULAZIONE DELLE FRASI che è l’oggetto del lavoro dei PARLANTI.

Così si racconta che la gravità non è una forza ma una GEOMETRIA. L’attrazione è una deformazione dello spaziotempo. E ci si avvia a percepire le sfumature di significati opposti e coesistenti. E si può anche scrivere che la narrazione dell’universo fisico è del tutto e solamente poetica o non potrebbe essere, e che per questo le persone solo in apparenza si ritraggono intimidite dallo sforzo di capire di più: in verità si oppongono con tutte le loro forze al cambiamento possibile del mondo e del pensiero.

Se mi muovo nello spazio, come io lo vedo e soprattutto nello spazio i cui limiti sono quelli della mia (scarsa) capacità di immaginare lo spazio medesimo, vado in qua e in là lungo una “curva” e resto, in maniera consolante e rassicurante, sempre visibile. Ma nella gelatina spaziale bisogna comunque aggiungere il tempo e allora devo dire che in quel volume quadrimensionale la visibilità non permane universalmente possibile, e che ci sono punti in corrispondenza dei quali seppure è garantito che non si ‘esce’ in termini convenzionali, tuttavia si subisce una trasformazione. Questa trasformazione, laddove riguarda i cosmologi, non comporta, lontani come siamo dagli eventi galattici estremi, nessuna alterazione sensibile della nostra natura fisica. Ma la comprensione e cioè l’ammissibilità di (la capacità di immaginare) quei fenomeni implica una trasformazione dello stato fisico della nostra mente. Il sapere di un modo della realtà che è un accadere, e di ‘oggetti’ come differenti e non numerabili ‘modi di accadere degli eventi’, è una catastrofe conoscitiva, una acquisizione e una rinuncia. Un fisico contrario alle ipotesi einsteiniane, quando dovette piegarsi all’evidenza della conferma sperimentale della teoria della relatività generale, disse di aver assistito ad un TRAGICO TRIONFO.

Che lo si noti o no, siamo anche noi essenzialmente ‘spaziotempo’.

Un buco nero è la ‘singolarità’ che forza la geometria spaziotemporale relativistica oltre i propri limiti di attuazione e di plausibilità. Ma non fino al punto che non si veda la singolarità medesima porsi all’esistenza. Tutto accade, nei pressi delle scoperte, sempre più velocemente. Così tanto velocemente da indurci a pensare, in prossimità di quell’accadere, ad una ipotesi di nuove ‘catastrofi’.

(Catastrofe può voler significare ‘rovesciamento’….)

Noi abbiamo pensieri catastrofici in proposito di noi stessi se dovessimo trovarci ad essere attratti in quelle condizioni fisiche nuove e ignote. Tuttavia è per questo timore che ai confini delle grandi rivoluzioni scientifiche bisogna portarci le scolaresche. A verificare modi nuovi di pensare poiché la comprensione collettiva delle scoperte impedisce il ripristino dell’ignoranza.

L’addensarsi del pensiero al flash dell’intuizione richiama angeli in forma di frammenti di universo che sfrigolano rombanti in un coro di ammirazione e perplessità. La musica forte è stata detta: amore che muove il sole e i corpi caldi. Fu il modo di accadere di uno sforzo poetico titanico. Ora è osservare le stelle col nostro amore a fianco ad ascoltare la musica armonica delle sfere aristoteliche in confidenza con la matematica la geometria e il pensiero dei filosofi della natura. Come tutto il resto anche l’amore accade e non è più che si possa emarginare come un oggetto esterno da prendere o lasciare o che non ci riguardi.

Cadere: ci viene detto che cadere nel buco nero sarebbe definitiva dimenticanza del prima. Che la natura spaziotemporale che compone la gelatina dell’esistente subisce, sull’orizzonte degli eventi, la singolarità di variazioni imponderabili e stabilisce una linea di irreversibile differenza. Simile a quanto accade ai geni che compongono capolavori nel mezzo del rumore delle feste. E simile anche a quello che capita nella follia: che alla gioia oppone un modo ‘altro’ di pensare, una inconsistenza, forse una singolare modalità che assorbe il modo alla base della funzione e assorbe il mondo in un se onnipotente e illimitato.

E questo altro problema però ferma il discorso su un dato più sicuro delle derive metafisiche e poetiche: è la termodinamica che ci consola un poco col suo mondo di leggi che dice che nell’universo il tempo ha il verso della degradazione termica. C’è una scala delle temperature indifferibile. Lo spaziotempo porta con sè il caldo e il freddo. L’accadere di cui si parla non sa districarsi dall’entropia. Vuol dire che non si va avanti e indietro a piacimento e che le cose hanno un costo. E che le catastrofi non sono solo le passeggiate di un esperimento di pensiero.

Per questo resta valida la ricerca, nei luoghi preposti alla psicologia. Affinché nel passaggio tra stati differenti della vita psichica, fino alla acquisizione di quella condizione che consente le scoperte e la conoscenza, si possa assicurarci il modo di portare con noi gli affetti, la capacità di misurare continuamente ogni variazione sentimentale, per avere sempre un’idea delle gradazioni termiche dell’emozione in gioco.

Ho guardato la foto della parete spoglia con la presenza delle cosa sparite e il suono sinfonico abbagliante delle pennellate di luce. Ho colto la geometria rigorosa dei segmenti paralleli del termosifone da cui si irradiano i cerchi concentrici di un campo di calore infrarosso. Non si resiste a certe cose. E si tenta di dire quello che sta accadendo davanti agli occhi e quello che fa accadere in noi. E sembrerebbe a volte che riuscire a esprimere quelle cose cambia prima noi che il mondo esterno.

Poi…. allora…. forse…..

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