sonno


nascita, sonno, rivoluzioni


Posted By on Apr 2, 2017

Una rivoluzione non si è mai vista, perché una rivoluzione non finisce. Per sua natura si estende e si estende, ma poi finire vorrebbe dire quieto ritorno e reazione. Per questo, delle rivoluzioni, si colgono gli albori: poi solo un delta frastagliato di evenienze politico/sociali, che paiono solo quel che sono: uno svanire e la risacca e conchiglie ai nostri piedi. Rivoluzione simultanea di volo e nostalgia del volo, di vita dell’uomo e percezione del mondo fuori dall’uomo. Nei racconti, al calduccio dei focolari e sui solai di macerie tra sopravvissuti, molto dopo, la fantasia -prima delle cronache storiografiche- ricrea il tessuto temporale nelle veglie di racconti. Ritornano, con la voce, il rosso, il sangue, la bandiera. L’eroe, il fumo delle palle contro i palazzi del tiranno, l’ansia di giustizia. Certe parole forti paiono idee innate nell’essere umano, tendenza e capacità di immaginare: cioè tenere insieme molte cose differenti nell’astrazione in numeri suoni e parole. Suoni e note, segni parole e scrittura.

Posso intuire che rivoluzione è un’idea  innata che corrisponde alla nascita dell’io inconscio dell’essere umano che non sa rappresentare la propria fine. La nascita del pensiero umano alla nascita non ha l’angoscia di morte. Molto semplicemente, ad una osservazione clinica di trent’anni, posso ipotizzare che una rivoluzione sia quasi immediatamente, fiduciosa certezza del sonno.

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“hasta la victoria

Se la memoria fallisce la successione degli eventi, il passato cambia. E se ci sarà stato un unico testimone la sua testimonianza cambierà in eterno la serie causale che porta ad un presente che é effetto inalterabile di storie con significati opposti.

Ci accordiamo dunque per dare consistenza alla vita psichica che costruisce, con gli accordi tra le persone, le macchine della propria credibilità. Però le epidemie, le nascite, le unioni e le dimenticanze, le morti e le malattie, e ogni altra fatalità compresi gli amori inattesi creano aree di discontinuità. Ci volgiamo attorno smarriti a lungo.

Poi un giorno abbiamo l’impressione di illuminare alle nostre spalle con un’intuizione di un nuovo significato il faro di luce che improvvisa ci illumina. Il passato cambia sotto i nostri occhi che lo guardano e che cioè, con lo sguardo ne creano l’esistenza in quella forma e gettano su quel passato i raggi luminosi della sua giustificazione. E allora la luce del passato giustificato e perdonato ci benedice e ci perdona. Il figlio prodigo.

Noi ci voltiamo e vediamo la sorgente di luce che dunque all’improvviso, nell’atto che la percepiamo, comincia ad esistere e illuminandoci ci legittima. Facciamo cioè una storia adatta ad ogni presente per quanto inatteso o addirittura presunto impossibile. Le scoperte creano pensieri di estraneità, ma l’anomalia dell’amore e delle calamità rivela una forma di noi ugualmente plausibile, perdonata da pre(cedenti) giudizi

Ho adesso un’idea di esseri umani differente, innocente, leggera: figure piane, forme derivate da grumi di acquarello che smuore su tela assorbente e lascia tracce non lineari, aree di materia sublime, segni del progresso di una espansione che inglobano il tempo nella irregolarità della disposizione del colore.

Le aree di pigmento che si dilatano lentamente in modi casuali accostate le une alle altre con margini sfrangiati ma inconfondibili timbri cromatici figurano un’idea di procedimenti indescrivibili. Il ricamo della tessitura di acquarello è vagamente, per esempio, la vicenda della pioggia inondata che si asciuga al sole sui campi.

L’esercizio di osservarne le disposizioni ci fa apprendere la formazione degli epiteli e delle masse degli organi, ci aiuta a rappresentare la diffusione di elementi molecolari sui substrati connettivi, e la stratificazione complessa di piani cellulari che costruiscono i parenchimi tridimensionali ci ricorda le terre dense di campi fertili che esplicano in ogni punto l’apice della propria funzione generativa.

La geologia è anatomia sugli acquarelli epiteliali. Montagna dell’anima l’encefalo ha il vertice di pensiero in ogni cellula della propria massa. È in ogni fibra del cuore, rovente, la forza. Coraggioso blu e paura nera sono sotto il diaframma. Il rischio della cadute e la potenza del salto stanno nel bacino. Il ricordo è figura del sogno nel sonno, e immagine senza figura nella veglia.

Si dice fantasia di sparizione quando il passato è ciò che non è più perché viene neutralizzato nella attività amorfa della biologia cerebrale. Interviene nella biologia di substrato la vitalità che è la funzione specifica della specie umana che consente di mantenere l’integrità dell’identità individuale durante le transizioni nelle quali il pensiero si ritira nei nidi biologici intracranici senza immagine né figura. E poi rinasce come idea di possibilità ancora sconosciute.

Addormentarsi e svegliarsi, agli estremi di buio e luce, richiedono ogni volta tutta la vitalità che abbiamo a disposizione, perché su quelle frontiere si svolgono le due attività fondamentali per la vita del pensiero: – fare le figure del sogno nel sonno che è dopo aver rinunciato alla coscienza per dormire, e – continuare a pensare durante il giorno quando è necessario rinunciare alla figura e restare svegli, per fare le immagini che ci salvano dal nichilismo della ripetizione coattiva.

Cosi andavano le cose nel gennaio del 2017, ad anno appena cominciato, noi già alle prese con un eterno passato che stentava a finire. Con la vitalità tra le mani: una massa di inchiostri e pennini dai quali, via via, disegnavo figurine stente. Per non morire. Per sorridere. Capivo (mi sembrava di capire) che bisogna accettare il ridicolo come forma di opposizione.

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l’uomo che porta un fiore


Posted By on Nov 21, 2016

Ciò che ho fatto sono io. Anche se mi pare che avrei fatto diversamente, talvolta.

Che vuol dire che almeno per l’esperienza che io ne ho il fare è per sua natura contraddittorio e il soggetto lotta continuamente per esprimere quel che è possibile in certe circostanze che dico difficili perché il mondo naturale e sociale non sono là per noi.

La difficoltà da superare è il senso di una amarezza o dolore o solitudine determinati dal sospetto dell’abbandono. Temiamo di non poter mai essere noi. Che se saranno fatte quelle cose cui tendiamo, l’essere noi nelle cose che si fanno, quelle cose, cioè noi, saranno difficilmente tenute in gioco e rispettate.

Cosicché per molto tempo ognuno è stato solamente uno che rendeva evidente attesa o impazienza o esitazione o cautela in ogni cosa e il fare era traversare o dirigersi o tendere di chi tenga diritto un lungo stelo fiorito mentre dirige se stesso sempre un po’ più in là.

È, ciò cui tende, simile al fiore in cima allo stelo che sorregge: del quale soltanto intuisce la forma perché esso è in equilibrio verticale sulla sua testa e per non esserne travolto nel camminare ne può cogliere solo i bozzi delle fondamenta, le concavità e convessità del bulbo e gli aggetti delle terrazze slanciate a raggiera dei petali.

Camminare è iniziale esitazione e successivo sviluppo ad ogni passo che si esprimono in disegni incomprensibili sul momento e poi, a distanza di tempo, mostrano che più che essere stato raggiunto un luogo o ottenuto un oggetto, essi, luogo e oggetto, sono stati raggiunti come fossero svelati proprio nella forma di un perdurante movimento di equilibrismo tra esitazione e sviluppo che resta in atto.

La storia di ciascuno e di tutti continua fino a successive parziali conclusioni che un attimo prima sono sempre invisibili e poi compaiono e subito si dileguano.

L’io cosciente ha la forma della nostra percezione dell’esperienza alternante di sonno e veglia.

La conoscenza del mondo si apprende con l’arte della fantasia che tiene la continuità attraverso: -la coscienza della veglia, -la coscienza del sogno, e -l’incoscienza assoluta del sonno senza sogni.

La vita marina della biologia encefalica umida e pulsante, che per necessità di riposo ci rende inerti e assenti e indifesi, è il fianco che esponiamo al freddo e all’oscurità della non conoscenza, o come limite della conoscenza.

L’evoluzione come si è imparato a pensare, tende alla sopravvivenza della specie per moltiplicazione attraverso l’azione impulsiva della riproduzione sessuale.

Ora sembra che l’evoluzione mostri di perseguire anche e contraddittoriamente il progetto di una fisiologia del benessere, di una norma di sanità.

Ad un certo punto dell’evoluzione come la si è appresa, è nato un soggetto che ha mostrato disprezzo della vita e della sopravvivenza ed ha ritenuto di poter limitare le conseguenze riproduttive della attività sessuale e, curando le malattie del corpo e opponendosi alla fatalità storica, ha ascoltato i risvegli, ammirato il sogno nel sonno, considerandone l’universalità.

È stata l’intuizione di una fisiologia che ci si doveva garantire?

Allora forse l’evoluzione si mise al lavoro per proteggerci il sogno consentendoci, con artifici geniali, di traversare indenni l’inermità altrimenti fatale del sonno.

Abbiamo tentato di realizzare società amorevoli che facciano la guardia durante il giorno contro azioni di rabbia e di invidia che perdurano numerose. In più costruiamo ripari non del tutto aleatori che ci proteggano dalla violenza passiva della natura.

Manca del tutto, nella cultura, la ricerca se ci sia una tendenza evolutiva alla felicità come fisiologia e che rinunci a lasciare in mano agli dei certe forme di sviluppo provvidenziale per cui l’evoluzione non sarebbe altro che il destino di una specie eletta.

Possono esserci in atto una serie di espressioni evolutive di specie che, ben nota nelle sue disgraziate espressioni prevalenti, tenta di proteggere la fisiologia del sonno più che la propria riproduzione ad ogni costo?

C’era una persona all’entrata di casa stanotte. Stanotte la civiltà è tornata a proteggere il mistero che protegge chi dorme.

Da sempre, all’idea di un altro che ci accetta e legittima la nostra assoluta debolezza di fronte al mondo, chiudiamo gli occhi per fare il buio che ci consente di dormire senza angoscia della nostra fine.

Da sempre ipotizziamo, in uno strano esperimento mentale, che la biologia possa ritrovare nel sogno una strana forma di ‘coscienza’ che non è ‘non-essere’ e che è ‘conoscenza’ dalla quale dipende ogni giorno che torna.

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