stregoneria


grazia della modestia


Posted By on Ago 3, 2011

grazia della modestia

Di mattina d’estate deve essere lo stimolo della ricerca a porre l’attenzione su una vecchia pellicola famosa e penso ormai ritenuta inservibile nella sua pretesa attività di denuncia. Però le figure di arte sullo schermo sono affascinanti. Il colore ingrigito provoca la passione assai più di certi capolavori impressionisti. O più degli smalti urlanti. Orwell ha terribili colori segni ingrigiti dal presente segni di un presente vecchio per via di quella corsa all’innovazione che si basa sull’alterazione ossessiva di tutto. Orwell mostra lo scheletro del totalitarismo. “Teoria e pratica del collettivismo oligarchico” – “L’ignoranza è forza”. Si trova nel grigio ottuso una potenza di opposizione. La provocazione schiacciante dell’inerzia dà la resistenza. Sento le parole recitate dall’attore abbracciato a Julia: ” Chi si aggrappa alla verità anche se è solo non è pazzo.”  Ascolto le parole programmatiche del Grande Fratello  “Scopo della guerra non è la vittoria ma la distruzione costante di tutto quanto prodotto”.  ” Il regime di potere si basa sulla povertà e la violenza contro i più deboli.”  Tutto si ripete da sempre e fallisce da sempre ogni opposizione. “L’acqua è fredda… non c’è più petrolio”. Gli amanti appena usciti dal sesso nel freddo con la prospettiva -che non temono- della fame e del freddo. Poi alla resa dei conti della conoscenza l’arresto e la prigione. Guardo i fotogrammi e so che tutte quelle opzioni si sono realizzate attualmente in modo evidente e globale. “Voi siete morti!”- la psicopolizia. Siamo l’uomo e la donna dopo il sesso nudi nel freddo della stanza aggrediti dalle divise nere che la regia propone come forza della negazione e poi dell’annientamento. La malignità organizzata del potere è sempre un monologo alla fine del discorso. Il crash sempre preceduto dalla grande svolta della parola ‘verità’ all’apice della accelerazione. Il progressivo migliorare senza una trasformazione è una accelerazione violenta che non tiene l’aderenza poi ci si sfracella nel campo. Quando nel discorso si nasconde la prospettiva del quadro che va dal buio alla luce parte il proiettile che ci ucciderà prima o poi. La rettitudine della corsa prospettica da noi al punto di fuga trasporta noi nel punto di fuga e veniamo uccisi dalle nostre speranze esplose nella canna di fucile della miopia. Il tempo lineare è un operatore della psicopolizia: ne abbiamo soltanto bisogno per ritardare la conoscenza secondo l’idea corrente del pensiero: l’illusione che il processo mentale si svolga nello spazio e arrivi solo quando è deteriorato ed inservibile alla propria maturazione. Aah! la bella idea consolante che il pensiero invecchia nè più nè meno dei gerani sul davanzale e sfiorisce non appena raggiunto il punto di rosso più intenso. Deve essere la ricerca che continua senza paura ad affrontare e smentire la tristezza e il pessimismo. Il tempo non ha la realtà fisica di una cosa che conta accumulazioni e sottrazioni delle qualità inerenti vestiti smaglianti e gramaglie. I pensieri che sono fatti di tempo sono immagini create nella mente non figure che si lasciano intravedere come una visione del dopo nel fondo della stanza.

Da minuti continua nella finestra accanto a questa dell’editor di testo lo svolgimento scattante delle figure dai colori ingrigiti ma affascinanti sullo schermo. Il colore diffuso che fotografa il tempo come usura provoca attivamente una passione superiore a quella provocata dalle tinte impressioniste. Più degli smalti urlanti dei poster della Rivoluzione con le bandiere che garriscono spinte dal vento che soffia in faccio agli eroi come una benedizione divina. La rivoluzione non può mai vincere perché quel vento che spira sui volti degli eroi non è una metafora o una allegoria: è proprio l’abbaglio mistico di chi credeva di essere armato di una teoria definitiva sulla verità. E’ il manifesto della violenza ‘legittima’ scatenata dalla riduzione alla misera. La rivendicazione dei diritti senza alcuna teoria sulla violenza dell’assenza e dell’annullamento porta all’omicidio contro i giusti. Le vittime atterriscono suggerendo di una ribellione impossibile.

“Papà mamma voi due siete in lotta dentro di me” si dice nel film ‘L’Albero della Vita’ ed è difficile non disperdersi nelle parole affascinanti che pretendono la commozione. Lo si fa. Ci si identifica con chiunque abbia pensato quelle parole per metterci di fronte ad esse isolati nelle poltrone accoglienti ad ascoltare che non siamo soli e abbandonati. Ogni volta che la commozione arriva da svariati e differenti luoghi di natura e significato disparati -tanto che non saprei raggrupparli in schemi utili allo studioso del mio comportamento- mi chiedo se la teoria della nascita ha valenze filosofiche che cambieranno o meno il pensiero e insomma determineranno una definitiva e irreversibile trasformazione della civiltà o della cultura della civiltà. In realtà mi chiedo se – in relazione agli avvenimenti determinati da certe asserzioni potenti del pensiero dei geni – potremo sorgere ed alzarci dalle poltrone per andare alla strada sui bordi e i marciapiedi e il ciglio piangente di erba bagnata e ridente di margherite e violette. All’erba addolcita di un campo in riva alle coltivazioni di un contadino reduce dalle grandi guerre. Sorriderci a vicenda come fosse naturale assistere al mattino e al crepuscolo con qualche scusa.  Andare sul ciglio per applaudire appena si intravede la polvere alzata dai bolidi in corsa – laggiù – all’inizio del rettilineo. L’inizio del rettilineo è alla fine del nostro sguardo volto indietro. Dal punto più lontano alla fine del nostro sguardo – nel punto di fuga della prospettiva dei ricordi – nasce il desiderio. Da là arriva il futuro tanto velocemente che ci sopravanza rombando e scivola via con effetto doppler. Con la musica di un cambio di tono per la differente pressione del tempo evocato dalle masse in movimento nasco dal buio pensavo alle corse dei bolidi. Era il tempo in cui il resto dell’impatto dei suoi occhi fiammeggianti era una carezza sul dorso della mano mentre spariva oltre l’angolo della porta. Una fata che si tuffava nella mia abbagliante ignoranza.

Era il tempo in cui l’ignoranza evocata dal desiderio soddisfatto nell’amore – si fondeva e si scontrava con l’ignoranza suscitata dalla complessità di una teoria sulla nascita umana e sulla realtà medica della vitalità che sono forza di una fisiologia da ripristinare. L’ho sùbito e sempre ritenuta la migliore teoria possibile. Studiando dentro l’università apprezzavo che quella fosse davvero una teoria essendo il resto rutti accademici. Aveva ed ha la grazia della propria trascurata proposizione quasi di chi non dà importanza alla propria accettazione. Aveva la potenza di legame delle parole con le parole che riproponeva -dietro l’incoerenza apparente- il disegno rigoroso dei frattali. L’ estetica della meraviglia di fronte al falso disordine della casualità dei movimenti caotici. Ma continuai a pensare a qualche cosa di più e solo ora mi chiedo se fosse previsto. Se è mai previsto che ci sia un futuro oltre la meraviglia. Stamani osservavo Orwell sullo schermo -quel suo 1984- e dico che stamani dovevo essere depresso per quel tempo. Chissà quanto quello stato d’animo è legato a queste domande. Se è vero che qualsiasi teoria verrà letta e decifrata secondo le nostre proprie vicende e la comprensione della sua originalità sarà solo se essa susciterà in noi una originale possibilità di restituirci la nostra storia: errori in testa come pennacchi sul cappello dei gendarmi.

Mi chiedo sempre se – nella teoria migliore che io abbia mai trovato a proposito delle possibilità umane e del futuro della civiltà e della cura delle distorsioni del pensiero di certi ammalati – ci sia anche la modestia come uno statuto implicito originario e inavvertibile, Per essere capaci di tollerare il fatto che sempre dopo l’amore avevamo sentito che ricominciava tutto: noi – la solitudine – l’immagine di lei distratta che vola nel buio – e il gusto di essere un poco soli a ricominciare la vita sospesa dall’amore. A riprenderci e ricominciare anche il tempo arrestato dalla comprensione condivisa delle mani sugli occhi e delle labbra sulla pelle che ci rende potenti d’aria ed inesistenti – per felici ore -sul piano della realtà sociale politica e pratica.

Nella poltrona calda ed accogliente di oggi non è che sappia rispondere. Perché anche una teoria -prima di tutto- sono le parole di qualcuno che ha voluto (lo volesse o meno) che ascoltassimo quanto aveva creduto che andasse ascoltato. La sua presunzione può essere smisurata ma essa dovrà vedersela con la nostra modestia. La misura è la grazia. La grazia che siamo certi esista nelle cose e nei comportamenti se -nel poco che con essi si afferma- si determinano mondi. Se si realizzano fessure aperte su mondi. Le smisurate teorie sull’uomo devono vedersela con la modestia della riduzione alla poesia cellulare. All’allucinazione quantistica che non risolve nulla perché seppure il pensiero è materia tuttavia non è semplicemente fisica che obbedisce alle leggi. Perché la fisica non obbedisce alle leggi. O meglio: le leggi della fisica non sono leggi dell’obbedienza. Le teorie sull’uomo sono teorie sul pensiero continuamente ripensate.

Ma non c’è altro che ciò che esse fanno nel pensiero e non c’è altro da dire: se non che -ciò che sono- è ciò che diventano nel pensiero differente da quello di chi volle che ne tenessimo conto. Assistiamo a pretese. Non è proprio totalitarismo tuttavia è una diffusione di atmosfere violente sotto mentite spoglie. Una mattina di agosto la mente cerca, nel grigiore di una previsione esatta, la potenza della resistenza che non divenga promessa o rabbia. Che si apra alla grazia di altri. Per non restare sempre soli. Ho trovato il lieto fine perché ho voluto trovarlo per non restare triste. Ho trovato tra le cose che sapevo da tempo e avevo messo da una parte (‘Non si sa mai’ – mi dicevo ) la favola del mantello fatato (*). Non si sa mai, appunto, altri proiettili cercassero e riuscissero a trovare la strada delle nostre case nonostante il cambio di indirizzo.

Ho trovato il pensiero che tornava come un gatto magico sul tavolo. (**)

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tutta la vita in un minuto


Posted By on Mag 1, 2011

tutta la vita in un minuto

“La pista é circa sei metri per dieci, lei è sul lato lungo, ci sono tavoli tutto intorno, e in questo momento non balla nessuno” (‘Profumo di Donna’ –tango-)

Arrivato al limite del ballo, avendomi oramai ridotta alla donna allacciata al danzatore cieco, quando oramai eravamo due amanti perduti nel tango che si lasciano guidare sulla pista dal profumo dei corpi maschile e femminile, mentre spudorati e inarrestabili  cedono l’uno all’altra, hai affermato sussurrando con prepotenza che la certezza di noi è solo suggestione, che dalla realtà materiale dei corpi tenuti allacciati dalla macchina attrattiva della musica nasce il pensiero umano, che esistiamo esclusivamente in relazione allo spazio libero dello sfondo – e alla materia delle cose animate ed inanimate semplicemente esistenti  o addirittura vive da sempre immobili o in costante movimento di fronte intorno e accanto. E’ stato dopo il sesso che hai concluso – quasi liberandoti di me come fossi una ciambella della colazione al miele non del tutto ben cotta nel forno – che siamo consistenza di relazione con tutto e che è evidente che il tutto comprende anche l’invisibile  di fronte e alle spalle e che siamo comunque sopravanzati dal sogno, dalla savana, dalla prateria, dai rami degli alberi di natale, e da molte altre differenti cose fruscianti alle nostre spalle. E’ stato mentre – ancora accucciata sul cuscino alle tue spalle mi lisciavo i capelli tra il medio e l’anulare della mano sinistra e tu sembravi osservare la luce alla finestra del primo maggio ed il ventre non si era ancora convinto che tutto era davvero accaduto tra noi – che hai recitato come una preghiera a memoria che siamo anche tutto quello che incombe come luna dietro al nostro avanzare e che ci precede come un sorriso delle muse originato dal fondo di una grotta. Mentre conto con le gambe tremanti i passi di questo ballo come una donna allacciata ad un danzatore cieco che percorre la ferrovia luccicante del suono rigoroso del tango, affermi che siamo visione non solo frontale del mondo, che non siamo soltanto previsione di un procedimento lineare del pensiero, che siamo volti contrapposti che si guardano, ma che siamo anche tutto questo rumore di fondo -fatto di scoiattoli muse poesie e frontiere superate leggero e costante appena descritto che ci accompagna- questo rumore che siamo e che costituisce un secondo cuore invisibile che noi a ben ascoltare possediamo. Ora di fronte alle tazzine del caffè, senza sapere su quale strada della città si affaccino le finestre delle stanze dove abbiamo dormito dopo la scena del tango, sappiamo di avere due cuori e per questo siamo suggestioni complesse, siamo le porte del cielo e del sole, il vortice degli uragani, le piogge battenti, le correnti calde, le lagune lontane, i fasci di luce calda dei fari, la ripresa del ritmo del sangue dei sopravvissuti alla morte, il levarsi di fronte alla spiaggia di tutto quanto abbiamo amato e saputo, che siamo tu ed io, che vuoi comandare ed io lascio che tu lo faccia, che ti amo mentre vai con il pensiero alla ricerca della origine materiale del pensiero. Adesso che l’altoparlante sofisticato suona di nuovo la musica di stanotte penso che io sono tua complice nel tango e nella ricerca, che il pensiero cosciente è che non voglio essere altro, che non so la verità sull’immagine di donna e di uomo e della loro relazione. che con i miei due cuori posso solo parlare per me e parlare per me è sapere di te. E’ rimasto il profumo di te nella stanza, provo a muovermi appena in assenza della massa del tuo corpo che riempiva lo spazio, lo spazio svuotato di te fa l’immagine del pensiero e recito come dicessi una preghiera imparata e memoria che siamo motrici elettroniche sulla ferrovia che traversa i sobborghi poveri delle città, ci muoviamo silenziosi con la potenza della macchina retorica della reciproca simpatia, che in quello che dici io finalmente posso avere la restituzione di me che muovo la macchina potente del mio desiderio, che il desiderio mi lega al tuo modo di pensare e che quel tuo modo di pensare è quello che sei. So che hai ragione a tuo modo, che la tua è una ragione indifendibile, un pensiero senza una causa che lo protegga alle spalle, so che è vero che non siamo altro che suggestioni e ti imploro restami vicino tu che disegni il mondo con il coraggio di fuggire dall’umiliante assenza del poco a costo di restare del tutto incomprensibile.

Se non avessimo sviluppato il linguaggio, non sarebbe necessario dire le cose controintuitive, illogiche e irragionevoli che contrastano la luce come l’ombra. Se non avessimo sviluppato le parole e i loro legami – nel discorso – non sarebbe possibile tracciare intenzionalmente la linea scura della scrittura e indagare e definire in formule eleganti di numeri e cifre di costanti cosmiche la fisica della luce e del buio: essere certi, in più, che tutto questo accadeva via via che il linguaggio diventava più complesso e ricco perché ci avvicinavamo, col pensiero, al mistero dell’origine del pensiero medesimo dalla realtà materiale della biologia. Il chiaro scuro delle parole scritte corrisponde alla realtà fisica delle fluttuazioni dell’energia che non diventa mai il non essere di una inesistenza anche quando realizza il non materiale della realtà astratta dell’immagine. L’immagine è la funzione appassionata del pensiero, che descrive, con pressioni variabili di inchiostro sul foglio, le azioni della materia che costruiscono il mondo così come noi alla fine lo percepiamo e lo amiamo.

La suggestione ci costringe a comprendere un pensiero che si riavvicina alla propria derivazione molecolare, e nell’essere sempre più astratto – per rendere la fisica della funzione del sogno evanescente fino all’immagine della materia senza figura – riesce ad evitare il poco di una mancanza umiliante perché non crede all’origine delle cose dal nulla.

Detto tutto questo, sarà comprensibile l’idea che, giorno dopo giorno, ‘noi’ facciamo all’amore con la ‘tragedia’ che tutto è un dialogo di persuasione e stupore. Nel retropalco di una commedia shakespeariana siamo artisti che sintetizzano nell’energia del sesso – seppure talvolta affrettato – la retorica senza peccato della seduzione che s’è operata dal principio, e che adesso si mette in scena, per restituire, al tempo, i secondi necessari alla finzione della vita in forma di racconto. Con la premessa del nostro innamorato ballare, possiamo dire liberamente che la vita non è mai stata un racconto, che lo sanno tutti, che quella del percorso dell’ascesa e caduta è una favola da gesuiti oscurati dall’odio. Non è un dio a provvedere al nome ‘labbra’ regalato alle labbra. Stamani, primo maggio, ho voglia di affermare ‘Amore Mio’ che i santi di moda sono modelli di sartoria, figure di delatori a spiare lo stropiccìo dei passi del mondo all’ incrocio tra la taverna e il casino. Rifiutiamo un ‘pensare’ che sia ‘così per fare’ e cioé in fondo per non indagare sulla rabbia sfogata nelle trine ai polsi e nelle marsine usurate di velluto rosso stinto. Nell’accoppiarsi fugace – da ombre, quali siamo, di figurine senza un posto definito nella società – denunciamo che la narrazione è un’illusione posta sopra ad una unica forma di esistenza, che è una esistenzaa che non scorre , che non scorre perché è permanenza di una realizzazione neonatale di pensiero. E’ umiliante la mancanza di fantasia, il terrore conformista a sovvertire la logica, l’impotenza di realizzare il movimento della mano che resta immobile di fronte al capezzolo tinto di azzurro, del volto che non si volge verso la supenova che si è accesa nell’angolo orientale del cielo. E’ umiliante lo sguardo inebetito dei fedeli rivolto  al balcone  mortale, all’irrealtà della santità, la totale assenza di sensibilità che accetta come normale  il processo di  beatificazione del morto.

Lontani dalle piazze vivo di nuovo la festa inavvertita accanto a tutti gli altri, e il movimento distratto dei passi senza una meta, fa riasuonare, non so quante volte, il motivo della canzone senza parole che ballammo insieme strettamente abbracciati. Mentre il pensiero torna alla propria origine materiale, la musica somiglia al disegno degli anatomici, e io vedo comporsi, nell’ordine rigoroso di una recitazione perfetta, le tue labbra che mi hanno appena sussurrato di non dire certe cose. Ti dico che sono convinto che, soprattutto adesso, siamo solo suggestioni e che è specialmente in giorni come questi che dobbiamo fare strage di beatitudini, e nventarci un paradiso di canzoni. L’intelligenza è il linguaggio che torna all’origine biologica del pensiero, fa l’astrazione grazie alla complessità cui è riuscito ad arrivare, fa la delicatezza del movimento del corpo nell’aria, come quando mi avvicino a te con capriole diverse, faccio il buffone e il saltimbanco, il bastardo e il filosofo da strapazzo, il servitore, l’asino d’oro e l’amante saffica, il gracidio assordante delle rane lascive, quando realizzo di essere un capriccio inventato dal tuo pensiero, e resto in equilibrio tra la parola ‘cultura’ e la risata ironica che quella parola suscita sempre.

Tu e dio. Tu ed io.

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all’aria del cielo e del sole


Posted By on Apr 15, 2011

all’aria del cielo e del sole

La sirena, che non ha mai parlato all’aria del cielo e del sole, che mi teneva costantemente per un piede al fondo – come fosse normale – è quella vitalità senza la quale non c’è una reale umanità, con la quale si sta trattenuti alla base come prigionieri e si respira, talvolta, ma non secondo il piacere bensì secondo la conoscenza, il sapere ciò che è necessario. Ho imparato a cercare forme di vita nelle figure. Per scegliere, tra metafore e realtà, le seconde. Le scoperte mediche lasciano il corpo allegro, si viene su dal buio, ci si scuote, si cammina ed è comunque giorno e musica e rottura delle armature, come una mano nei capelli, la spiaggia vellutata, gli occhi promettenti della donna appena conosciuta, o l’amore irragionevole e certo dei figli. Farsi da sé la ragione, al ritorno sui luoghi di sempre, a rinnovare gli accordi, a modulare le clausole inevitabili, pensando ai passi lunghi quando arriva il giorno dell’appuntamento, per sostenere te e me su un fazzoletto di terra, su un palmo di mano, sulla montagna brulla apice della testa di un’avaro. Girare il volto verso il muro bianco rovente, con la certezza che quel calore precede tutto, e che prima del pensiero – prima delle cose coscienti nella mente che chiamiamo ‘pensiero’ – c’è una sicurezza radiante, una carezza, un suono di passi, una voce che canta del tutto incomprensibile, come quel calore del muro quel giorno di sole.

Quel giorno di sole che è un ‘ricordo’ però non proprio un ‘oggetto’: semmai una delle azioni possibili della mia vita psichica che adesso ad un tratto finalmente si genera e somiglia più che altro a gambe docilmente intrecciate e ad altre cose che hanno in comune la potenzialità di accadere per cui certe volte eccole là inattese però riconoscibili. Così eccomi al cospetto di infinite cose da dire che non sono oggetti pensati ‘prima’ e dire l’idea che ‘ …le cose da dire sono azioni sonore e gesti espliciti della recitazione dei tempi umani successivamente ricondotti alle linee guida delle maree…’ Mentre scrivo di variazioni di un impasto di materia cosmica, di mondi stellari fuori di me, e di trasmigrazioni continue e continui nomadismi delle funzioni  della galassia cerebrale, non c’è nessuna confusione tra esterno ed interno poiché l’io narrante reclama continuamente la luce, l’inchiostro, il bianco della carta, e lo spazio vuoto esterno dove gettare i fogli mal riusciti come giocattoli rotti. Se anche, per la distrazione dalla realtà attuale circostante, dovessi escludere l’attenzione ad ogni rumore esterno, il soggetto resta così tanto e così assolutamente inopportuno da poter essere esclusa la sua caduta in un qualsiasi calcolo finalistico.

La sanità del pensiero non coincide con il piacere proprio della soddisfazione dei bisogni.

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alberghi di lusso


Posted By on Mar 4, 2011

alberghi di lusso

Nei corridoi degli alberghi di lusso numeri d’oro su mille e una porta. Vita della mente cosciente  -il risveglio- cigola sui cardini del pensiero del ricordo del sogno. Il cuore della notte e’ una nascita circondata dai figli.

Il corpo un oceanica  irresponsabilità sotto il cielo. La fisiologia il banco delle sardine, che attraversano il mare rapide come non si sa che. Le camere lussuose hanno nomi. A passo veloce ne snocciolo il rosario nel ricordo.

” Oggi. Alba. Novecento. Volo. Cinema. Dirigibile. Ferrovia. Dire di Amarti. Rivoluzione. India. Linea Costiera. Linguaggio. Così Sia”

Stamani si bussa alla porta. Le enumerazioni hanno una loro eleganza. Evidenziano la vita della mente senza la pesantezza dei verbi. Il pensiero e’ astratto perché nulla vi accade. L’agire -suggerito dal verbo- altro non è che una elegante furberia. Conta, precisamente, solo il legame tra le parole.

La vitalità dell’idea determina il modo della successione. La prassi e’ amore delle mani e dei volti che costruiscono. E si accordano, per costruire di nuovo. Ma non è lo specifico della fisiologia della generazione del pensiero.

Il linguaggio appartiene alla categoria dei fondamenti. Ma il verbo è una cesta di arance sul marciapiede di fronte, e fuori, dall’edificio. Il verbo venne molto tardi nella donna e nell’uomo. Fu l’astrazione a decidere l’esistenza della felicità.

Tardi i verbi dettero origine ad una democrazia tumultuosa e stracciona. Star bene, svegliarsi nella notte senza peso, appartiene all’egoismo universale, alla categoria delle esigenze, al ‘prima’.

Anche se non si vuole, felicita’ e’ un pensiero dittatoriale. Che sta prima della rivoluzione dei linguaggi, che avvenne per stemperare gli eccessi di significato. Percorrendo i corridoi degli alberghi di lusso,distrattamente,nasce la convinzione.

Che il pensiero religioso è una strategia maligna. Che va considerato a parte. Esso, nel portare la felicita’ oltre la morte,  tenta di dimostrare l’irrealtà del discorso umano. Togliendo legittimità all’origine del tempo, che è alla nascita di ciascuno, e ne fonda l’unicità.

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bad girl


Posted By on Mar 3, 2011

bad girl

Alla fine si è deciso. L’azione del pensiero ha determinato l’attivazione delle aree motorie. Gambe, mani. L’agente forse era un desiderio. No, era determinazione. Una immagine che cambiava. La discrepanza tra due condizioni del pensiero ha fatto la tensione per il movimento.

Stanotte si fa un poca di strada accanto, un poco di marciapiede, coi nostri monili di sabbia. Con le catenine di comunione. Mi intendo di poco, sangue mio. Di pochi colori e poco di pitture. Di pochi respiri e niente di baci. Sono il trasfusore. Potresti regalarmi a me? Puoi?

Chiedo per stabilire una differenza. Non siamo al sicuro fino a che dura l’uguaglianza, non lo siamo. Se devo bere dal tuo latte non possiamo essere uguali. Comunque, nel mio vestito migliore, andrò a veder sorgere il sole da occidente, stanotte. A mettere le cose a posto. Anche senza te.

La mancanza di te, che fa il mondo asimmetrico, e’ una garanzia di stabilita’ del desiderio. E’ notte e sorgono tempestose aurore. I fenomeni magnetici dell’aurora boreale sono creature liriche sul mare.  Ho le dita accese. Vivaldi è una torcia. Fai un flauto di me!

Volano parole. Tu fai volare parole. Io sono immobile e silenzioso. Siamo in accordo senza antagonismo. La ricerca è tra astrazione e irrealtà: sempre. E le parole volano come pugnali. Bisogna restare alle assi di legno. Folli di desiderio. A fidarsi – e non solo a fidarsi. Dì tu.

Pensiero astratto quello che vedi sullo schermo- e le mie parole scure – ed io. Uno non è che una cosa di particelle accese dalla realtà dei campi di energia. Che tiene tutte le parole insieme: mattoni. Per dirti che tu fai me -vivo- nel pensiero. Il film, nel frattempo, ci acceca tutti e due.

Attratto dalle immagini divento protagonista di una identificazione.  Mi confondo, e nel desiderare te voglio essere te. Rischiando la confusione della mia identità. Rischia anche lei, d’altra parte l’integrità del proprio corpo. E’ una seduzione la cinematografia.

Tutto quanto è necessario a non rischiare la pazzia del desiderio senza la vitalità, del pensiero senza rapporto.

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ciò, di cui non si può parlare.

Ciò, di cui non si può parlare. Un muso allegro. Una zucca non tutta vuota. Quel poco che. Oppure. Fuori dalle vetrate colorate l’adorazione di Matisse per la propria poltrona. Virile potenza della sua vecchiaia mai sola. Apprezzo sempre più il riservato edonismo, l’intransigente silenzio, le fruscianti ballerine delle ragazze che volano sul selciato.

Rosso Matisse oh beh! Sei l’ombra danzante di te. Il tuo avatar un punto tra mondo e equilibrio. Ti dico, che gli amori tanto appassionati -così tanto che li definimmo ‘impossibili’- invece accaddero, e sono gli unici a non aver perduto il loro nome. Ora è tardi io brindo con il caffè dolceamaro, al coro muto delle quattro, agli io addormentati che da un po’ -sullo schermo- non aggiungono parola.

Alzatomi, la mia e’ una passione non sveglia -ancora- e la barista stilla tenerezza sui miei occhiali inutilmente scuri. Così, poi, imparo ad amare anche le bariste grondanti chiarezza, nuvole di schiuma, e aurore, a mattino avanzato. Sorseggio la tempestività del caffè, fatto espressamente – quell’io intimo e segreto che la nostra voce conosce meglio di noi.

‘ Tu, solamente tu, non ritorni più…’ al giradischi antico. I piedi che si muovono sul pavimento di mattoni. Abbracciato ad una torrida temporalità, a fine mattina. Hanno pubblicato un librone d’arte, che mette insieme due cose strepitose, come fosse arte anche l’accostamento. Matisse-Jazz. Non si può resistere. Ciò, di cui non si può parlare. Ecco il senso della frase.

Nel librone ci sono tante di quelle cose, che non lo aprirò. Era soltanto che andava comprato. Il dovere di appassionarsi a ciò che lo merita. Una forma di onestà, non una correttezza giuridicamente inappuntabile. In fondo, è a causa della mia sensibilità. Non voglio distrarmi dalle bariste, e neanche -in verità- dalle ballerine, con ballerine ai piedi. Erotismo. Inapparenza.

Si fa, quello che si fa di bello, per chi capisce. Si fa quello che si sa. C’è chi si rende conto, davvero. Matisse seppe rendersi conto che tutto non sarebbe rimasto disatteso. Tutto fu compreso. Lo spazio soprattutto. L’astrattismo delle linee. L’astrattismo non è che la loro purezza. Fotografato mille volte nella sua poltrona che era ‘astratta’ perché, suvvia, come poteva dipingere da là?

Certe pagine del libro, di uno dei due volumi del libro, sono doppie – e da aprire delicatamente. E’ una sofferenza, la semplicità: devastante. Un ignoto ben conosciuto. Ciò. Di cui non si può parlare. C’è. Davvero. Poi sei libero. Ci sono aneddoti di lui. Pensieri e narrazioni ammirate. Ci sono le cose sui sogni delle persone. Quell’aria confidenziale. Uno ne muore, in verità.

“But in the life of every man there is always some Thule lying dormant, some latent dream wich one day impels him to go journeying.” C’è una foto, 30×40, a pagina quarantotto. Una barriera, in basso -a un decimo di altezza. Il mare fino ad un terzo. Il resto è nulla – cioè cielo. Uno, di tre gabbiani, resta in basso a sinistra, sulla barriera. Non appoggiato sulla balaustra, però.

Gli altri due stanno nel terzo superiore del niente. E, mentre uno resta -annoiato- nella pagina quarantotto, il terzo, che vola nell’angolo destro in alto, entrerà certamente nella quarantanove. Ne ha tutta l’aria. Non ho abbastanza ricchezze per comprare quest’altro libro. Quello nel quale il gabbiano abbia completato il suo volo. E’ quello che significa restare spettatori. Ciò, di cui non si….

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