tu mi annoi


” Tu m’ ”  – Marcel Duchamp – 1918 
Ecco: Duchamp Marcel è spesso pre verbale. Ci arriva dalle parole coscienti. Dal pensiero cosciente scende giù traversando a spirale. Scende attraverso alcuni ‘piani’ di pittura. Non è corretto interpretare sapientemente. Ci si inganna, scrivendo dell’ombra, mentre vogliamo starcene in panciolle alla luce della chiarezza. La sfumatura, dal buio ai grigi, ha una costituzione fisica di bellezza assorta e incerta. Essere non cosciente è un modo molto ben delimitato. Negli esseri umani necessita dell’abolizione del movimento volontario e dell’iniziativa o degli spazi ben congegnati per l’amore e l’arte. A volte si riesce nella iniziale impresa terapeutica raggiungendo una fumosa ma non più stremata normalità. Tuttavia è chiaro che portare il non cosciente alla coscienza è il fascio di luce del faro sul mare blu muto e abissalmente scuro. Non vedrai più la notte spettacolare che ti aveva fatto tentare la conoscenza.
Non vedrai più gli stracci puliti di cotone blu notte sulle spalle atletiche della piccola fiammiferaia che, sfuggita al proprio destino fatale, si è poi fatta le ossa nuotando sempre tanto che ne sentivi il fruscio spumeggiare sull’acqua e avevi voluto indagare in proposito. Per via del ricordo dei sogni si fa un gran tentare di portare l’inconscio alla coscienza e forse -seppure il fenomeno distrugga l’immagine per ottenere la figura- è un bene. Anche se cosciente e non cosciente sono attività mentali di natura diversa certo l’una natura riflette sull’altra. La coscienza inventa parole e cerca la fondazione del mondo e fantastica di riuscirci definitivamente. Il sogno continua la posa dei cavi sottomarini per tenere in rapporto le sponde opposte dei continenti perché i giorni galleggiano sulla piattaforma continentale separati da lunghe ore di sonno. Si cerca nell’arte. Non tutto va bene. Non tutta l’arte va bene. Duchamp, Modigliani, Giotto, Picasso, Carrà. Questi mi sembra sì, che vanno bene.
Disegnano l’esattezza di impressioni fondamentali. Gli imprinting. Penso ai pensieri segreti d’amore degli esseri umani. Alle nostre fissazioni amorose differenti per un nonnulla dall’ancheggiare sculettante e neutrale dell’oca di Lorentz. Mentre ti abbraccio come uno scimpanzé in calore sono felice di non tradire l’umanità. Poiché posso dire che è ‘come se’ fossi qualcos’altro e confrontandomi mi distinguo. La capacità di approssimazione crea l’infinito tempo e gli asintoti che sono l’idea di avvicinamenti solo probabili in luoghi lontanissimi del ‘piano’. Ognuno di noi è un esercito di milioni di soldati in costante avvistamento reciproco.
Studio la fantasia degli uomini di genio che prima inventano i numeri per contare le cose e poi si lasciano sedurre da voler contare tutti i numeri. La percezione conta le cose del mondo fisico con l’assegnazione di cifre. L’arte del pensiero compone le cifre che riposano sulle tavolette di creta e ottiene cifre naturali, intere, razionali, irrazionali, reali… I geni rischiano: stanno eternamente tra l’attrazione dell’ascetismo e la concretezza di una  logica di grande semplicità. Sottili esercitano la resistenza scrivendo dimostrazioni di estrema eleganza. Il pensiero è così denso e sintetico che nelle loro biografie -persino nelle più clamorose- domina l’estetica del silenzio. Essi sono estremisti perché scoprono continuamente nuove funzioni del pensiero che evitano loro il disastro delle complicazioni.
Nella scienza psichiatrica non c’è tutto quello che serve al rapporto interumano entro il cui ambito si svolge l’azione terapeutica. Soprattutto non c’è quasi (?) nulla di quello che serve per l’estremismo paradossale di qualsiasi reale comprensione delle finalità. Non sai mai dove si dovrebbe ‘arrivare’ né quando si debba fermarsi davvero. E’ dunque possibile che tutto questo sia perché manca il coraggio di dire che solo la genialità, che è sempre diligentemente sottratta all’auspicio della norma, può essere posta come fisiologia della funzione psichica e dunque coerentemente come finalità della cura? Data la presunzione delle domande io sempre ti sorrido perché non sei mai stata un amore apprensivo e mi hai lasciato cercare senza fine restando silenziosa in un’ansa della costa finché non avessi scoperto che quel tuo silenzio non è mai stato assenzavuoto e neppure distanza e distrazione.
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