un soggetto per i propri pensieri


"senza un nome da noi conosciuto"

“senza un nome da noi conosciuto”

Sta nella tua mente la frase che contiene il mio nome.” (*)

La tua mente è la grande frase che tiene, tra le parole tue libere e imprevedibili che la compongono, tra quei suoni possibili di parole, anche il mio nome vero. E leggere e studiare rappresentò sempre imparare a cercare per trovarla sempre la composizione più adatta ad ogni singola frase quando servirono e furono necessarie e addirittura indispensabili le frasi che esprimessero i movimenti complessi e delicati del pensiero più profondo che chiamiamo ‘animo’. Ma che una di tutte queste frasi avrebbe un giorno contenuto il mio nome necessario alla formazione di un pensiero intero che esprimeva l’animo intimo di qualcun’altro: forse, questo, non ero arrivato a pensare. Non è il nominare uno nel discorso corrente. Non è chiamare il figlio o l’amata dal piccolo altoparlante del telefonino che affaccia sulle sue strade di cielo.

È quando l’idea di qualcuno, il suo nome, è entrato a far parte stabilmente dell’impasto mentale: un ingrediente del pane quotidiano. Dacci oggi il nostro pane quotidiano che contenga, tra le altre sostanze, le molecole di cui sono fatti i nomi di persona, perché senza quei costituenti del pensiero le nostre frasi, anche quelle in cui un nome non compare (che sono la stragrande maggioranza) resterebbero sentimentalmente neutre, incapaci di coprire la geografia del vivere.

Studiavo i concetti. Le persone coi loro nomi erano esclusi dalle necessità di apprendimento. L’altra o l’altro staranno, mi dicevo, nelle dichiarazioni d’amore e simpatia che ci saranno occasionalmente rivolte e che reciprocamente ci scambieremo.

Solo oggi penso che si può verificare qualcosa di diverso: che un nome -che così frequentemente entra a comporre un piccolo cespuglio di parole in fiore nel pensiero corrente di qualcun altro o altra- germogli diffusamente nella pineta sgargiante cosicche il sottobosco ne assuma i colori: verde bottiglia delle foglie e rosa acceso di petali larghi di fibre striate (corrugate, perché sono selvatiche). La magia è che non sei più ‘tu’ -in me- ma il tuo nome. Il suono generico di ‘te’ diventa quel suono complesso che ti attribuirono alla nascita, che è una parola non comune, segno di un’intenzione di dare una vita differente da quella dei nomi degli oggetti non umani, al suono che indica la natura specifica di una persona.

Allora oggi, per grazia dei tanti loro nomi, sono circondato di esseri umani. Di suoni differenti da quelli che l’intonazione psicologica acquisisce nello studio dei saperi di scienza e letteratura. Vedo, ascoltando i nomi, che il mare di espressioni infinite che abbiamo per occuparci del mondo, quando ha il soggetto perché ci siamo finalmente innamorati e il ‘suo’ nome è all’interno della frase grande della nostra mente, è il canto di una ragazza che si sporge dalla terrazza su una strada. Cantando (la mente che pensa) chiama: è la densità del soggetto, l’essere padrona e schiava piena dei nomi degli uomini sui quali il suo canto cade dall’alto del palazzo per l’aria mossa. Quei nomi numerosi sono il soggetto (oggetto sottomesso ma anche padrone) del canto di lei, che tutti ascoltiamo in religioso collettivo silenzio. E il canto è quando noi cerchiamo di dire di qualcuno: quello che è per averci toccato e cambiato. Nel bene e addirittura -e di più- nel male.

Non è un generico indifferenziato pronome dell’altro come era fin là. È il suo nome proprio: è la parola che indicava una cosa ed è diventata viva quando si è rivolta ad una fisionomia. È l’acuto all’apice del canto della specie, la piazza ampia delle riprese del respiro lungo la via melodica del coro genealogico: il nome delle persone diventa vivo solo quando entra nella mente delle persone dove sale all’apice dell’onda espansionistica e poi rotola in una molecola d’acqua di mare al fondo dell’orecchio esterno, sul tappeto vellutato dei timpani.

Il nome mio solo quando vive nella frase della tua mente fa di me un soggetto. Il nome di coloro che amo nell’animo silenzioso -che porto sotto la giacca nell’opera viva della chiglia toracica- fa di loro i padroni sottomessi all’amore. L’amore non è più solo per la composizione corretta delle frasi, ma specialmente passione dittatoriale per la pronuncia corrispondente all’affetto.

I nomi degli altri nella nostra mente, e il nostro nome nella loro mente, possono darci la comprensione che la vita mentale (i ‘pensieri’) hanno un soggetto quando esso, che è il loro padrone è anche quello che esprimendosi si lascia vedere e dirigere, comandare alla definitezza dell’abbraccio. Innamorati fermiamo la furbizia e il vortice delle parole inutili per dannarci nella pronuncia silenziosa del nome di una o più persone amate. Il soggetto è una realtà affettiva specifica che abbiamo assunto nel vivere insieme agli altri e nell’accettare la loro intima vicinanza sottomessi orgogliosamente dalle onde della voglia di evocarne il nome.

Il soggetto che ‘siamo’ sa narrare l’effetto che gli altri, i nomi degli altri, hanno avuto su di noi fino ad ora. Ed ora finalmente abbiamo appreso il loro nome: i suoni corrispondenti ad una presenza buona. Il soggetto dei nostri pensieri è un nome che fa scampanare verso il fuori di noi il valore e il senso impressionista della relazione in atto. Se si moltiplica per tutti i nomi che, seppure non con la medesima potenza e con forze decrescenti, però sempre ci ricordano i volti degli altri, possiamo avere una vaga idea della complessità variabile della nostra vita per le strade delle città.

Quando leggo “Sta nella tua mente la frase che contiene il mio nome” so che si racconta di giornate buone quando passeggiare per via è essere accompagnati dal canto di una ragazza su in alto ben salda oltre il parapetto di un balcone tra nuvole di gerani. Figura di donna, nuvole e fiori non compaiono nella frase e tuttavia il ‘soggetto’ riesce a immaginarli indispensabili.

* (09/09/2015– smalto bianco su legno – panchina di un parco pubblico – autore ignoto )

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