Venere


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“L’AMORE NON SI MERITA”
©claudiobadii

Le mani dei giocatori di carte. La velocità dei tram a cavalli. Avvocati pittori. Mettiamo un po’ tutto quel che si può. Dopo tutti questi anni uno è libero. Non necessariamente altrettanto amato. L’amore non si merita infatti. Se c’è un’ingiustizia vera eccola. Amare chi non merita d’esserlo. Eppure. Una parete intera è dedicata, così com’è, a certe ‘passioni’ murali. Al piombo (di un invisibile grigio splendente) nella composizione chimica della pasta dei colori. Si impara leggendo e disegnando, mentre né si comprende benissimo ciò che si legge, né si riesce precisamente a tracciare le linee nere sul bianco. Si impara, come respirando, nella stanza appena dipinta proprio con quei colori al piombo che dunque ci intossicano. Guariremo poi, perché adesso c’è altro cui pensare, ci sono cose nella mente che vogliono essere dette.

Guariremo poi! I metalli capaci di fissarsi alle cellule, come gli elementi radioattivi, esercitano le loro azioni negli anni di febbre, quando ‘febbrilmente’ si legge chiusi in noi e si cercano forme di parole non del tutto scontate e di case abitabili. Durante la vita subiranno, gli uni, il loro dimezzamento. E gli altri saranno ‘spazzati via’ dai loro depositi dalle cellule bianche del sangue. Talvolta si guarisce, se non erano in eccesso in noi. Di fatto: l’emivita della conoscenza acquisita resta ‘passione’ per gli altri, che dovrebbero essere dove li aveva collocati lo studio e nella cui esistenza comunque confidiamo. Si diventava migliori per la certezza che esiste l’altro. Non necessariamente si confida, a meno di non essere idealisti, che tutto quanto appena detto possa essere compreso.

Respirando il colore invisibile mi sono intossicato di bianco panna. La vista e il tatto sui libri e i disegni sì acuivano. L’intolleranza si acuiva. L’arroganza si acuiva. Si appuntivano le frecce di legno nelle pinete. Ancora continua la decadenza radioattiva. Ancora pienamente si illuminano pareti di luci disseminate. Ho disposto il cielo sul rettangolo scabroso del muro bianco. Nel mezzo della notte, mentre non c’era più nessuno in città, ci siamo trovati tu ed io. Potevamo stare nudi data la solitudine. Se non si è fatto è per aver appreso che la continenza è differente dalla repressione: sappiamo lasciar perdere. Il lusso del lasciarci mancare sempre un ‘di più’.

Tu sei arricchita dalla continenza che ti separa appena dalla facile presa delle parole del mio amore. Epicuro rende appena discosta la bellezza, toglie le cose che non vuole ghermire. Epicuro si fa le unghie, taglia le lame dei rasoi. Edward Mani Di Forbice sta imparando a crescere. Piange per riflettere la lucentezza delle lame nell’idea mentale del dolore. Rende quasi ‘inutile’ il massimo di bellezza.

E’ rimasta nella mente Venere. Gli alberi sono nel soggiorno. O forse Venere è in una tela appoggiata al muro del giardino. Ho dedicato un pannello ad una parete, una superficie estesa piena di singole lettere che qui sono tratti di bianco. E’ una parete il muro del soggiorno e quello esterno che dà sugli alberi. Non era importante quale fosse il lato da cui scrivo. La nudità da un lato è il corpo luminoso che annebbia lo sguardo e fa la neve che assorbe i pensieri verso l’alba natalizia dei giorni di dicembre. E’ anche l’altro lato che si confonde col primo, quello della natura degli alberi, della natura fisica delle trasparenze e delle ombre delle cose immobili.

Sono libero di lasciarli oscillare e interferire. Di starti lontano senza mancare. Finalmente. Come sempre.

 

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