vestire


'Mediterraneo' Franco Fontana

‘Mediterraneo’
Franco Fontana

Ero elegante nella camicia celeste. Sotto la giacca chiara di tessuto leggero. Era elegante il mio corpo mai elegante. Il viso sfociava al delta del colletto aperto. Era una giornata fluviale. Il giorno fluiva in un torrente di luce. Bianca e celeste. La giacca panna una nuvola nel cielo della camicia. Il torace era una chiglia riversa ad asciugare all’aria. La natura fisica delle cose rappresentate corrisponde nella mia mente ad ‘oggetti’ inestesi. Funzioni attive in ammassi incomprimibili.

Il dittatore distribuiva razioni per la sopravvivenza ad uno su tre di noi, a due su tre, a tre su cinque, a tre su quattro. Per l’imprevedibilità nessuno poteva essere mai sicuro di essere sfamato per continuare a vivere. Due zero e un uno. Uno zero e due uno. Tre uno e due zero. Tre uno e uno zero. Nel sogno c’è un codice binario. Il codice binario manifesta una generica vitalità della funzione del pensiero onirico.

In me che ascolto si genera il pensiero involontario di un ricordo che ordina la memoria delle cose sotto nuvole in cielo. Sono una giacca e una camicia eleganti.

Poi sono passati a raccontare del leone che non aveva ucciso il ragazzo adolescente. La sopravvivenza di chi non fu divorato. La vita di chi non fu dimenticato. E il contrario: il dominio della natura non umana di essere mangiati. Il potere bizzarro degli uomini di negare il nutrimento. Il celeste e il bianco non sono dunque più solo ingenua alternanza.

Sei fuggito all’aggressione. Corri a casa. Il bambino neonato già così forte ascolta. Si nutre di te coi suoi occhi non appena sei nella grotta. Sostenti la sua vita con quel pugno di acqua e farina. Ancora tutto della specie è in penombra. La società politica si sviluppa in agglomerati di canne fango e foglie. Sopravvivono alla creazione divina sul margine della foresta.

Mi chiedo quali furono i passi dell’innovazione tribale. Guardo gli stracci sui fianchi di donne e uomini. Coprono con presunzione di eleganza. C’era già allora molto oggi. La camicia celeste ha una ‘V’ rovesciata al colletto. Ma aperta com’è ne ha un’altra che guarda su. Verso volti che hanno fisionomie fertili.

La nuvola chiara della giacca accoglie il pianto. Il colletto aperto scopre la gola che suscita un desiderio e provocherà le macchie di tempeste amorose. Ne resteranno occasionalmente  tracce di rossetto.

Ci sono, intorno a me, cose irragionevoli di grande bellezza.

Quando metto accanto il celeste e il bianco mi pare d’essere elegante. Ed io che mai potrò essere elegante mi vesto di certi non casuali colori per evocare sensazioni che ingannino la chiara coscienza di ciò che non ho.

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