camille claudel


In realtà di fronte alle forme arrotondate, sensuali di una scultura, sentiamo a volte il bisogno di accarezzarla, di toccarla (….) per sincerarci, in un qualche modo, di avere a che fare con qualcosa di vivo, con cui possiamo fisicamente entrare in contatto – come se sentissimo di essere di fronte a ciò che in fotografia è chiamato una ‘posa’ , quell’immobilità dell’istante per sempre fermato, fissato, che vogliamo interrompere.

Così non è davanti alle sculture di Camille Claudel, perché subito percepiamo che ciò che magicamente sembrò interessarla fu la possibilità di dare l’idea, attraverso la materia, di un movimento che continua, che non può essere arrestato, di una durata che ha avuto un prima e che avrà un dopo, e che dunque è destinata ad animarsi, a vivere di altri momenti.

In fondo, andando oltre i limiti della materia. Camille andò oltre i limiti del corpo (…)

Davanti a  “La Valse” sentiamo di contemplare qualcosa che è simile ad un brandello di vita, a una materia che ha imprigionato dentro di sé tutta la vitalità dell’esistere, cosicché ancora possiede la capacità di muoversi, di roteare dentro il tempo, facendosi dunque tempo.

(Sandro Parmiggiani “Camille Claudel : Anatomie Della Vita Interiore”   pagina 14

ed. Skira – Milano 2003)