forma fluens


forma fluens

PROLOGO

” Il tunnel a spirale

La passerella lascia la strada e si inoltra nell’aria della valle, sempre più alta, poggiata sul traliccio di travi d’abete. Termina con una piccola rotonda sospesa sul vuoto, quasi esattamente al centro di due ponti che le passano, uno sopra l’altro sotto, sghembi. Entrambi incastrati tra le spalle opposte delle montagne traforate da due gallerie che che si lasciano sparire dentro, e sparire, i binari del treno. Questo appare improvviso e ci scorre sotto, sul ponte inferiore. Giallocromo arancio verde  blunotte biancobianco, tutti i colori dei vagoni scorrono in fretta, trasparenti. Le motrici sono adesso sul ponte superiore  seguite da tutti i medesimi colori. Sul ponte inferiore intanto i vagoni continuano la loro corsa opposta. Per un poco entrambi i ponti sono pieni di vento di suoni di movimento. Siamo al centro di un nodo rapido colorato e sonoro. Una grande meraviglia allegra e infantile, meravigliosamente liberatoria, nasce e resiste fino a che l’ultimo vagone è scomparso. Nel silenzio assoluto che segue le gallerie ridiventano buchi neri che rompono la linea delle montagne deserte. Due ponti, soli, si rivelano incongrui e gracili.

Se al ritorno sfiori con le dita le antiche fotografie tradotte nel metallo e l’abete liscio del corrimano ti resta una nostalgia senza parole come la scoperta della perdita dell’infanzia. E’ necessario allora parlare ancora e ancora di quello che abbiamo visto e provato per risentire, anche se sfocato e già confuso, lo stesso piacere. E fartelo rivivere se non l’hai provato. Mi venivano alla mente i figli goffi del principe ittita che contemplano la loro trottola ritta sulla punta, e sublime ma non incongrua la Vittoria di Samotracia, e il povero Marinetti e tutto il resto…”-Ruggero Pierantoni- Banff, Alberta, Maggio 1985

CAPITOLO PRIMO

” Un taglio all’eternità

Lo descriveva attraversare il palcoscenico, riluttante, obliquo, e sedersi al piano. Seguiva un momento inesprimibile di silenzio e quasi di angoscia, di piccolissimi movimenti propiziatori. Poi cominciava, per non fermarsi che al suo termine definitivo e previsto, il tempo udibile della musica. QWuesto ritratto che un critico ci dà di Arturo Benedetti Michelangel ricorda il mito sempre presente dell’inizio del tempo, di quel misterioso passaggio, frattura o catastrofe, tra il tempo della vita usuale e quello ordinato e ineluttabile del discorso musicale. E’ una condizione psicologica incerta e istantanea, di profonda instabilità e  oscurità che viene aiutata da un formalismo linguistico simile alle “aperture” nel gioco degli scacchi. Nel suo saggio sulla creazione del tempo udibile Rowell (1981) parla di ‘mosse di apertura’, gambetti e simili convenzioni. Anche se nell’opinione di Arthur Schnabel  ‘il genio si rivela solo alla quinta battuta’ è proprio l’inizio che segna il trapasso percepibile da una condizione ad un’altra. Ogniqualvolta un uomo inventa una cosmogonia, per dovere per angoscia o per allegria, non può che rifarsi all’esperienza che egli ha dell’inizio. Dell’inizio di qualsiasi cosa, e cercare di renderlo più ampio e definitivo, il più svincolato possibile dagli accidenti della vita, il più ‘iniziale’ possibile. E si imabtte subito nel problema centrale: il tempo c’era già, prima di tutto? Oppure è cominciato con il tutto? “

Non andrò oltre. Questa domanda è il pretesto per proporre una serie infinita di nessi tra scienza e arte . Quest’uomo sa moltissime cose ma in più ha la scoperta che il ‘pensiero’ è  ritrovare – ogni volta diversi – i legami necessari a non lasciare morire più tutte quelle cose ‘sapute’ nel tempo.