chi donna non è nato

Posted By claudiobadii on Ott 3, 2013 | 0 comments


Essere mendicante attorno al brulicare delle innovazioni urbane. Dentro la bollitura tecnologica incalzante riposare la mente toccando con la punta delle dita la fronte alta delle divinità domestiche. Ho scelto subito che conviene. Mi conviene. Ogni momento arriva come un ospite atteso che è adatto alla mia età. Non devo faticare attorno alle definizioni a memoria. E la perdita, della stessa memoria, mi porta il vantaggio dell’amore al riparo delle ombrose tende. Il bazar delle marmellate si protende avanti. Il nesso era stato che il balcone è il seno materno. Una volta ‘mortale’ adesso non più solo mortale perché non più sempre solo materno. Erotismo.

Ma posso permettermi l’azzardo dato che sono certo che non è maschile la fantasia di una realtà esterna in continuo amplesso sessuale. Metafore di tal genere so che tengono vivo specialmente il pensiero femminile. Pensiero che è ‘modalità di pensiero’ e si rallegra di sé assai più del gioco di guerra e di conquista del riflesso sull’acqua del volto di chi donna non sia nato e che a quel volto irriconosciuto anela. Da qui l’astio che distingue i compagni delle signore e ragazze. Compagni al loro braccio che siamo transitoriamente e vicendevolmente prima o poi tutti. Possiamo affermare che un essere umano astioso diventa comunque maschile.

La spinta all’erotismo è umana. Poi, per ragioni complesse ma non insondabili, la rabbia dell’incomprensione che distrugge i disegni del progetto politico primordiale fa il maschio. Resta ad ogni distruzione rabbiosa una preponderanza della differenza esclusa. Tale differenza viene messa alla porta da quanti sono privati di possibilità di comprendere di più. Femminile viene definita ogni raffigurazione colpita dall’ostracismo. Tuttavia di rimando si generano nuove figure di femminilità ogni volta che nella mente degli esseri umani esclusi non si rompe l’ideale dell’altro attraente.

Seppure delicato, per quanto lieve sia il pensiero umano, alcuni hanno accesso al magazzino delle invenzioni d’amore fisico, ed altri non hanno tale accesso. La preferenza aprioristica di un genere rispetto all’altro è equivoca. Tale equivoco non è erotismo. Anche se troppo spesso quanto sa di materia osservata viene scambiato con le avventure dei tappeti volanti cioè gli aerei amori cui l’eros conduce. Vicinanze mancate perseguitano la distinzione tra i generi. Per adesso si dice sia gentile esser donne e scomodo e inattuale restare il resto dell’umanità. Io sono parte di quel resto. Per questo so che una realtà esterna in continuo amplesso sessuale tiene vivo specialmente il pensiero femminile.

Sviluppo la qualità di una certa disattenzione rispetto a quanto dovrebbe disperarmi: che non sapremo mai, noialtri, di noi medesimi questo amore per quello che non siamo. Scrivo, da donna, come conoscessi il ventre anatomico e la poesia della struttura dei tessuti profondi: “La nostra scienza è questa ignoranza delle sottili vene di calore e luce delle quali siamo incapaci di articolare figure migliori che quelle dei manuali. Disegnando fissiamo il noto. Le donne velate ridono. Le donne sanno velarsi per cose differenti dagli agguati.” Comunque conosco il dato che la letteratura è un agguato e una mendicazione. La mendicazione come per esempio la si legge da Elias Canetti ne “Le voci di Marrakesh”. La mendicazione unica di cui valga parlare, la doppia mendicazione di miseria e cecità.

Da donna scrivo come avessi un ventre femminile: “Capire avviene dentro un sentimento insinuante di spossatezza e precisamente dentro il sentimento dei sensi mossi durante la caduta del corpo in angoli di accoglienza. Noi siamo finalmente a casa tra i ciechi. Finalmente noi ragazze sappiamo esprimere come, evocando i sentimenti di riflessione nei muscoli decontratti dalla soddisfazione dell’inappagabile altrimenti, si riesce a centrare il mondo sul forellino dove il compasso si è appoggiato per inscrivere nella circonferenza numerose istanze -che chiamiamo ‘figli’ e ‘futuro’- senza distinguere i corpi che nasceranno dalle frasi in gioco già oggi.” E poi ho la chiarezza a proposito dell’agguato dei mendicanti ciechi.

Essi che mi liberano di me donandomi una invisibilità che non è mai non essere. E’ una folla di indovini mitici. Tiresia moltiplicati in grani di polvere. Non protesterò. Perché ho evitato la sorte di una degradazione termica. Il ritorno della comprensione dell’amore ad un equivoco ottocentesco. Colgo l’erotismo del blu notte nella visione solidale tra esclusi come sono ciechi di Marrakesh. Appena qualcuno, chiedendo, ci ferma è ogni volta ‘per sempre’. Divento femminile e penso “Chi ama di più è il cieco. Quello ammanta il proprio oggetto di ricchezza.

Avevo occhiate di adorante desiderio. Dai due lati non si sapeva alcuna misura. Gli inviti originati dalla sproporzione funzionavano come il sorgere e il tramontare del sole. “Quando torni. Quando ci vediamo. Vieni. Aspettami“. Tendo la mano oltre il foglio. Non ha niente da offrire chi scrive. Ci riduciamo da far pietà. La stima e l’ammirazione dei lettori incarnano ogni volta la distanza di gesti di corrispondenza. Ma restiamo lontani. Chi teme la eccessiva letterarietà di queste affermazioni chiama esagerazione ciò che non è altro che soglia sull’erotismo femminile. Una promessa. Il mendicante  cieco assicura e promette di restare povero come è.

Possiamo anche non dare nulla. Non misureremo in una sua ulteriore disgrazia la nostra misera avidità. Capisco una donna che non può misurare l’entità di quello che propone nel sesso se non con l’aumentare della propria miseria. Quella miseria è precisamente, se chiedete a loro, femminilità e sensualità che restano incomprensibili dal momento che aumentano con il darsi. Avvicino chi è simile nella quotidianità di lasciarsi sempre convincere. Ma il sempre non riguarda conclusioni qualsiasi né generiche convinzioni.

Ogni momento arriva come un ospite atteso che è adatto alla mia età. La perdita della memoria mi porta il vantaggio dell’amore cioè precisamente avanzare protendendo i tentacoli sensoriali della mia cecità per raggiungerti e sfiorare e tenere a lungo il silenzio e la temperatura del desiderio al riparo delle tende ombrose. “Ti amo. Mi manchi. Ho bisogno di te.” Più che altro imploriamo. Non è un luogo della mente cui si arriva ‘paradossalmente’. Implorare non è un estremo. La scelta del termine trasforma la realtà mentale di chi ascolta. Il soggetto della nascita grida e implora l’oggetto che possa confermare una cecità transitoria. Il soggetto non teme di chiedere una presenza. Esso non ha dubbi. E’ un amante ideale.

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