Posts Tagged "conoscenza"


La stazione è affollata. Gioco passando tra la gente. Respiri, un profumo, il trench elegante appeso al braccio, il pendaglio lucente di un bracciale. Ricordarsi di mettere la diffusa attenzione, l’idea di distrazione iperestesica. Mettere disposizione al grigio.

Ho l’iperandroide nella valigia piccola, tra un maglione azzurro elettrico e le pubblicazioni di cucina molecolare.

La presente sfida post/oceanica mi arrossa le guance come una vergognosa allegria. La via del ritorno è nuova. Niente di quanto si può immaginare. Il differente pensiero sollecita le iniziative. Ricordarsi di mettere facoltà necessarie in un progetto di esseri umani almeno dignitosi mi distoglie dalla prevedibilità. Nel rifare una persona meglio che sia possibile affondo assorta nel mare di una sintassi funzionale così estesa da non vederne i confini.

Ordino una pasta con uvetta agli occhi neri di una cameriera sedicenne completamente assorta: è evidentemente animata dalla propria dedizione e da una tra le a me ignote forme di estasi chimica caratteristiche della pasticceria.

Il super-quasi-uomo nella valigia assorbe forze dal campo psicoscenografico generato dalle levitazioni ondeggianti della piccola Giovanna d’Arco del bistrò. Una rondine sotto la pensilina perlustra fulminea i tetti bruni dei vagoni. La rondine ha muscoli indomabili.

Ricordarsi di mettere funzioni di loop per la ridondanza dell’estasi adolescenziale e la riproduzione del movimento alare dei rapaci domestici.

La stazione vibra di annunci. Scelgo alcune parole che mi riguardano. Destinazione, ora, binario. Sono un macchinario sperimentale. Capisco che la sensibilità estrema non è cosa semplice. Non c’è modestia della afflizione. Non ci sarebbe nessuna morale nel tornarti pentita.

Devo ricordare di mettere -nell’übermensch che si sta sviluppando secondo le linee del progetto dentro la mia valigia- la pretesa della dismisura.

Nel clamore di arrivi e partenze, sotto le volte antiche di una stazione di questa cittadina atlantica, il più piccolo segno per sapere di me e delle mie future destinazioni, è evidentemente impossibile da cogliere se non in mezzo all’infinità di tutti questi segni. Sulla scala inesauribile della superbia sta la possibilità di esaurimento della più mite delle mie pretese.

Inutile pensare che il poco volere risulti da povere intenzioni. La coscienza della propria modestia è una arroganza peccaminosa.

L’androide, in costante ascolto, sviluppa i complessi dell’estetica obbligatoria. Sperimenta il nero di fondo. Insieme realizza da solo i muscoli di acciaio per i momenti di solitudine. Mi ricorda di descrivergli con tratti sintetici l’impenitenza la spudoratezza la compostezza e le ragioni antiche del pudore. Mi ricorda che serve tutto e il suo contrario.

Mi calma mentre mi siedo sul velluto del posto numero tredici terza carrozza accanto al finestrino area fumatori. Si muove piano. Mi addormenta scoprendo la serie di vibrazioni più adatte. Da solo ha trovato la genesi del sonno. Sapeva?

Read More

inclini alla conoscenza


Posted By on Feb 7, 2015

E=mc(al quadrato)

L’affetto dei segni consente l’espressione del pensiero astratto delle formule che è linguaggio non verbale versato in una traccia d’inchiostro sui fogli. La matematica è affidata ai segni quanto è vero che la cifra per antonomasia è zero. Cinico capostipite scalda la serie dei successori. Atterrisce o consola gli ipersensibili seconda che paia loro un addio o un’ombra. Siccome la cifra è segno poi sempre è la forma che caratterizza i teoremi. La comunità degli influenti lascia prevalere -nel giudizio di legittimità delle dimostrazioni- la loro ‘bellezza’. Gli influenti sono un’aristocrazia. Leggono formule proprie e altrui e, recitando, con la mano sul cuore, giurano sulla verità e dopo ancora redigono le ipotesi conseguenti e architettano altri palazzi e erigono campate di colonnati come corolle ordinate sui fogli ruvidi da disegno. Talvolta anche scarabocchiano capolavori sui tovaglioli di carta delle osterie. Una formula è l’immagine irrazionale di una evocazione ed è il primo (ed unico) dovere di costoro che sono noti come matematici, cioè per etimologia ‘inclini alla conoscenza’. I matematici si sono scelti da soli meriti e difficoltà e avendo superate le seconde brillantemente dopo hanno riscosso il merito preventivamente speso e senza più debiti hanno indossato la presunzione che da sempre calza i loro superiori pensieri come il decoro calza a pennello a un onest’uomo. Privi di santità ma a braccetto con l’universo, si sono designati a guardia del paradiso. Stabiliscono l’angolo di divergenza tra quantità ed entità. Scrivono una C e un piccolo numero 2 in alto alla sua destra. Leggono: “C al quadrato”. Indica una quantità che si ottiene come numero derivante dalla moltiplicazione della velocità della luce per se stessa. Potrebbero scrivere il numero, se quello fosse rilevante. Ma pare che sia rilevante tener conto di altro. Scrivere “C al quadrato” indica che quella certa realtà fisica, in natura, esercita una potenza di interdizione o di facilitazione la cui efficacia ha l’armonia riflessiva di un numero moltiplicato per se stesso. Non è più la velocità dunque che accende la lampada del genio nella formula, ma l’azione mentale di quella certa moltiplicazione. Il ‘quadrato’ della velocità della luce in natura non c’è perché la luce non corre al quadrato della propria velocità. Però massa ed energia di ogni esistenza fisica stanno tra loro in una relazione reciproca legata ad una misura multipla di C secondo il suo ‘quadrato’. La legge espressa nella formula risulta insieme 1)-ordinata: nel riflessivo ampliarsi di C tanto quanto le è consentito secondo un multiplo preciso del valore che la esprime quantitativamente e mai diversamente da quel modo esponenziale ‘quadrato’… e 2)- provocante: perché quella composizione di sé con se stessa, secondo potenze del proprio valore, non necessita dell’ordine monacale di una successione di cifre essendo “C quadrato” precisamente il brusio di un monoposto ad elica che vibra dentro la nuvola di acqua sale grassi e proteine della funzione fisica cerebrale per evitare l’orrore di un chiarimento impoetico che è l’orrore anche dei matematici: come sarebbe pesante a chi dorme spiegare la quieta incoscienza del proprio sonno. La formula ha un centro un andamento una forma: insomma un equilibrio interno. La quantità che si ottiene ripetendo mentalmente il numero della velocità della luce tante volte quante ne indica il numero che rappresenta se stessa lega le variazioni reciproche dell’energia che ogni oggetto acquisisce o vede ridursi alle variazioni in più o in meno della propria velocità. C al quadrato, in tal caso sottratto alla formula einstaniana, indica che esistono modi di disegnare l’estetica di un’idea. Esistono modi per fornire indicazioni di rilevanza, dedurre le frecce vettoriali delle inclinazioni sulle mappe mentali, redigere fogli d’istruzione dei cambi di passo del procedere quotidiano. Le formule che esprimono le leggi di relazione tra oggetti fisici forniscono, insieme ai loro enunciati riguardanti le reiterazioni di eventi tra realtà di natura ‘oggettiva’, istruzioni per procedere nella comprensione delle formule medesime. La formula evapora dalla superficie del solido del mondo per restare idea di buon funzionamento del pensiero a proposito delle relazioni tra le cose ma anche tra le qualità interne a ciascuna cosa. La formula non esprime una lista del lavoro da fare per ottenere il risultato di un calcolo. Essa è la carezza sui capelli che ci invita a riposare la dolorosa contrazione dei muscoli mimici. È indispensabile perché ci stanchiamo assai per tenere disciplinate intere legioni di leggi e teoremi dove conserviamo segreta la delusione per l’eleganza evidente di un mondo naturale che poi resta privo di senso e morale. Così ogni formula -purché abbia assunto sufficiente bellezza- deriva da un impegno contro natura a lavorare duro per realizzare composizioni di levità a partire dall’insensata meraviglia di un mondo muto. La lieve articolazione dei componenti delle formule si contrappone alla disciplina -da non augurarsi a nessuno- che ne permette la scrittura. Le formule matematiche esprimono procedure che dal presente della loro individuazione  ed espressione risalgono il tempo fino all’origine comune ad ogni ricerca: cioè fino all’instaurarsi irreversibile nel pensiero dell’iniziativa di andare contro il fatalismo entropico della natura fisica del mondo. Vengono in mente le parole di non innocenti racconti:

“Take care of the sense and the sounds will take care of themselves.” (*)

(*)basterà copiare la frase e poi incollare su un motore di ricerca per togliersi la curiosità. O non farlo e tenersela. Tradurre e poi pensare a quello che possiamo capire: finalmente privi di riferimenti riprendere a camminare sulle proprie gambe essendosi ricomposta la frattura grazie al trapianto di tessuto osseo. Imboccare la via della guarigione dalla depressione di pesanti e servili ossequi. Al genio di turno.

Read More

nulla: no thing


Posted By on Ago 12, 2014

imageDi per se un pensiero non è conoscenza. Il nulla dal quale si creano le cose della natura esiste? Nulla è una parola di smalto lucido che ha la realtà della natura fisica del pensiero. ‘Nulla’ come generazione psicologica di linguaggio verbale è una realtà di pensiero. Ma non è conoscenza nel senso comune di designare una realtà ad essa corrispondente esterna alla sede encefalica. Addirittura: se volessimo imporre tale corrispondenza dovremmo tentare la distruzione fuori di noi senza mai ottenere il nulla di cui si ipotizza.

Essenza della pazzia: la mente perde gli affetti e compie azioni intenzionate a fare il nulla riuscendo, durante il delirio, a portare la distruzione nell’esistente e, in forma di fantasticheria asintomatica, a negare la natura fisica della realtà. Nella pazzia del delirio e dell’allucinazione il movimento e la meccanica delle azioni della neurologia cerebrale vanno oltre i confini di scarsità e rarefazione. Un super-io dittatoriale impone di realizzare la pulizia e la neutralizzazione assolute. La mente può ‘pensare’ la natura spirituale della mente. Il pensiero, da conoscenza, diventa credenza.

È il trionfo della pulsione che non ha figura. Però poi la vitalità che non ha immagine imprigiona la pulsione nei tratti della scrittura rendendola innocua. Il linguaggio che -nominandola- smaschera la ‘pulsione’ è la forma evoluta dell’antico pensiero del ‘nulla’.

Read More

lei…


Posted By on Ott 27, 2013

image copia

DALL’INCONSCIO ALLA CONOSCENZA
©claudiobadii

Fa gli esercizi. Studia a memoria le definizioni. Una scala di assiomi porta alla montagna. Un sottomarino sfila verticale e istantaneo addosso ai coralli. Un epidemia: la funzione del pensiero è virale. Sono tuo schiavo e la mia mente riproduce te. Non c’è più un argomento da questo lato. Solo l’asimmetria della fermezza e il lume dell’inerzia possono chiarire. Nelle foto satellitari la stella è una regina solitaria. Potrebbe essere una allegoria dell’ideazione. L’agglomerazione alla base del pensiero fotografata con il fisioscopio a emissione di sogni. In sciame mi affollo su di te per ricomporre i quadranti atomici del disegno. Il pensiero verbale non esaurisce tutto della consapevolezza. Altrimenti chiunque sia sveglio sarebbe un buon interlocutore. Il linguaggio del pensiero non verbale è infantile. E’ un linguaggio di chi nella veglia non ha coscienza. Per questo studia a memoria. In modo che anche le cose più romantiche divengano definizioni. Le più appassionate il letto di cartone degli homeless. Per capire gli altri bisogna aver cambiato il nostro rapporto con il linguaggio verbale. La ricerca la conclusione la scoperta il riposo il non riposo l’inquietudine il sonno lo spreco energetico il risveglio l’avventura del tacere. Il braccio violento della legge della conoscenza arresta l’ingenuità. L’ingenuità è invidia. Dall’annullamento non si arriva alla conoscenza con le buone intenzioni. I bravi compagni di scuola si perdono. Bastasse, essere volenterosi, invece è addirittura un ostacolo. Imparo a memoria così alla conclusione della giornata passata sul libro ripeto tutto distrattamente. Mi sono riposato poche ore fa su una fetta di pane burro e marmellata. Nella mia voce che ripete parola per parola le tre pagine della teoria non c’è quasi più recitazione sentimentale. Ho perduto ogni sfumatura. La scoperta detta nel discorso scientifico è uno strato di suoni noiosi ripetitivi un tappeto di pioggia. È meno bello di prima. Ma se bastasse la coscienza chiunque fosse sveglio sarebbe un ottimo compagno.

Trasmissione chimica. Scariche elettriche. La vita fa il pane. Osservavo incantato la lava della pasta che inghiotte le mani della donna imbiancata riflessa sul marmo del tavolo di cucina. C’è una dignità ignota della donna. Chi donna non è nato può amare senza capire. Essere certo che la conoscenza arriva solo alla fine. Dopo che la coscienza resta solo uno stato di veglia. Egli ha in mente cose ripetute che erano state imparate a memoria per trascurare il fatto che aveva sempre dormito tra i cartoni. Nutrito dagli scarti dei discorsi appassionati d’amore di scienza e di politica. Avevo succhiato a memoria quello che non capivo. Mi restava la nenia di endecasillabi senza più senso scientifico o amoroso. Gi scarti sono cose senza le loro presumibili qualità di fondo. Lei è un po’ come me: spoglia la comunicazione. La veglia senza coscienza è consentita dalla vitalità che toglie l’enfasi comunicativa. La possibilità di escludere l’ideologia della quotidianità. È quando esco dal lavoro e mi ritrovo sulla porta di casa di fronte a te senza sapere come ho fatto. Ma non importa che io ricordi la strada. Quella la so a memoria. Non è niente che conti. Così confondo te con la complessità delle scoperte. Parlando delle cose di tutti i giorni. “Inconsciomarecalmo” ha il ritmo di quello che ci diciamo sorseggiando l’acqua dai bicchieri. E in silenzio guardandoti gustare la salsa rossa di pomodoro mi viene in mente che la fisiologia del pensiero si diffondeva -appena stamani- sulla visione del mar Tirreno. Sono convinto -per l’amore che porto a quella infinita apparecchiatura subito oltre la linea della spiaggia- che attraverso la percezione ripetuta della sua imponente indifferenza e vastità il mare ha messo le sue mani nella pasta biologica della mia struttura cerebrale e alla fine ha influenzato il mio modo di essere.

Di certo il modo come viviamo le nostre giornate è la memoria di noi del primo anno di vita che si ripete ogni notte tra figure di persone e di cose e di panorami naturali. I sogni e le nostre giornate gli uni e le altre da sempre differenti e ‘incomprensibili’. E’ questo rispecchiamento tra realtà e sogno che la spinge a non smettere di cercare. Ultimamente, come dicevo, ha aggiunto di imparare a memoria quanto non capisce.

Read More
mutismo naturale

mutismo naturale

All’articolo “anche le parole derivano dalla materia” lori risponde, il 20.02.2013 alle 0.02, diffusamente. Io mi lascio prendere dalla proposizione se rimango nella materia essa è infinita che mi risulta ben chiaro, una proposizione che è un’immagine. L’immagine contenuta nelle parole mi rimanda al pensiero pre verbale dell’idea.

“Il ‘problema’ ancestrale è la fusione tra le diverse rappresentazioni dell’infinito (tempo, materia), se rimango nella materia essa è infinita, indeterminata, in movimento, ma non è eterna e non è indistruttibile.”

Il pensiero pre/verbale dell’idea cui sono rimandato si esprime come commento al commento, la risposta in forma di articoli ulteriori che chiamo “non può essere reso cosciente” e “non può essere reso cosciente (2)”

La nascita di ciascun individuo della specie implica una conoscenza non cosciente della specie, invariata nella specie dalla sua nascita. Tra coscienza e conoscenza, il territorio aperto ai suoi confini misura ignoranza, indeterminatezza, sfumature, cromatismi, variazioni timbriche, evocatività linguistica, disegno grammaticale, fascino, repulsioni graduali, discernimento implicito nei processi. In specie: implicito discernimento del processo di formazione della mente. Una disciplinata espressione dell’umanità.

Il pensiero umano ha determinato il crollo delle barriere e dato origine ad un sistema aperto dall’ansia di decifrazione delle leggi naturali, appena si è tentato di fare il letto della giurisprudenza per dormire sonni un poco più tranquilli del solito. 

Interminabile la ricerca nel sistema aperto così creato, per l’intervento di un interesse come quello del commento.

“Finché siamo dentro la materia” essa non si pone come interrogativo penso. E siamo noi insieme allora, quando nel contatto epidermico si genera l’idea di una sessualità. Quando si genera la fondazione di idee corrispondenti e poi si genera la verbalizzazione dei suoni delle cose. 

Basta che si accetti che non si generano ancora necessariamente e conseguentemente le parole. Ma se vengono non sono quelle che ci si aspetterebbe come una risposta coerente. 

“Questo poco mangiare, questo allontanare la conoscenza dalle labbra, dai morsi potenziali dei miei denti bianchi, per allontanare il discorso dalla coscienza degli occhi e portare tutto di noi in me, come idea preistorica. Idea di elefante muto che ricorda tutto.”

Read More