Posts Tagged "felicità"


Lascio la spiaggia. Il letto bianco. Il sonno. Al risveglio non è finita. Le onde di eccitazione hanno sussulti di risacca.

L’agire sui miei sensi è stato tanto efficace e sicuro e instancabile da risultare quasi beffardo ma senza offendermi: parola mia!

Sulla duna le mani accendevano i fuochi stellari. Non tutto il cielo consumammo. Ci siamo lasciati una riserva astrale per il dopo.

Appena sveglia: “Se i corpi celesti erano immobili, e i fuochi stellari un’invenzione…. la felicità si può replicare a piacere con artifici?”

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scelte


Posted By on Gen 15, 2014

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“CZECHOSLOVAKIA. Slovakia. Stredni Slovensko. 1958”
©Joseph Koudelka

Mai attualità. Esilio come scelta. Narrazione con i frammenti e narrazione di frammenti. E’ un viaggio spezzato. SCOPERTA E RICONOSCIMENTO DELLA SCOPERTA COME QUALCOSA CHE ‘SI SAPEVA’. La scoperta della vitalità da parte di M.Fagioli esposta nei suoi libri e poi manifestata come capacità di comunicazione e prassi di relazione con la ‘norma’ psichiatrica e culturale, ha stravolto il paesaggio generale negli anni dal 1971…. È passata traversando: dunque ‘obliqua’ e ‘traversa’. Non ci si è FATTA INCONTRO. Non ci ha SOPRAVANZATI. Si è svolta di fronte ai nostri occhi muovendosi in uno spazio PANORAMICO. Non so dire se fu ‘bella’ o ‘buona’. L’immagine è di una cosa che ci ha travolti. A tratti strappati via. Non ha proporzioni che si possano acquisire con una intuizione. Non può essere còlta con un approccio sbrigativo. L’arte che fa i miracoli non basta a chiudere i conti con quell’evento che fu IDMEC.  L’artista fa la scoperta. La prospettiva è scientifica suggerisce che il riconoscimento è a carico degli scienziati.

Il mio lavoro si centra sulla realizzazione di una persuasione. La foto del panorama ne fa parte ampiamente. Dunque, nella ricerca dei mezzi per la psicoterapia, anche certe fotografie hanno una grande rilevanza. Non è un caso che nell’articolo precedente abbia cercato di suggerire una istantanea delle collina sacra al Popolo d’Irlanda (popolo del quale, per l’appunto, avevamo appena tessuto le piacevoli vesti col riconoscerne i geni poetici nella pagina: ”Ricerca sulle parole per la psicoterapia nell’Opera Poetica di Seamus Heaney…”). La foto ora in questione schiaccia il cielo, cioè ne riduce la porzione sullo schermo. E’ un accorgimento tecnico/formale ‘retorico’. Ma non solo e non proprio. Retorico è una definizione ‘invidiosa’. In ogni opera artistica ci sono percezione, intuizione e scoperta. La foto appare ‘retorica’ se ci si limita a vederla come oggetto DOPO che l’artista ha ‘operato’. La terra guadagna la perdita di cielo e si addensa: una forza opera l’attrazione dello sguardo addosso alle cose. Indispensabile, non retorico, il miracolo artistico è sostanza della scoperta. Scienza è i lavoro, secondo una elevata capacità pratica, di chiarire tutti i punti altrimenti oscuri DELLA scoperta.

Mentre la scoperta ha traversato il mondo noi abbiamo camminato a-traverso i panorami, che la scoperta batteva in direzione irreversibile. (Penso al gran benedire e maledire in forma di reazioni scientifiche e giornalistiche). Ma qualsiasi interpretazione, che sia stata data secondo un orientamento storico, pare oggi ambigua o cattiva, anche. Posso solo pensare a piccoli granchi sulla spiaggia di giugno, visibili perché scoperti da un’onda più decisa. Operai in coro.

Persone in realtà di lavoro collettivo. Se si eccettua il tropismo, quelle voci (cori) sono forme societarie. Cosa UNISCE? Si dice sia la scoperta. Ma la scoperta questo non lo dice. La scoperta non dice niente di quello che si è poi detto della scoperta.

Sono andato nella città portuale sul mare. A vedere foto del mare. È dunque inutile? Il mare è là, oltre le finestre del padiglione abbacinante. Cosa unisce? La tratta ferroviaria per arrivare qua dalla quiete quotidiana? La VITALITÀ necessaria a fare chilometri per una foto in un museo? È questo il movimento percepito come ‘me in moto’? E’ ‘movimento’ specialmente quel ‘TRAVERSARE’ in direzione dell’irreversibile? Cosa ‘fa’ l’essere stato nel museo sul mare per vedere le foto del mare? E’ quello che unisce? Cioè, che senza unire in un accordo, però fa uguali i visitatori, accorsi dentro i parallelepipedi irregolari bianchi della mostra, a guardare il mare nelle foto sebbene subito fuori il museo ci sia, dormiente, un mare estremo e infinito?

Vedo nel museo, nelle sale mosse da ondate di aria, i granchi scoperti dal riflusso dell’onda come sono restati nel ricordo: immobili a sostenere idee e domande. Una potente condizione di vago interesse che si posa sul mondo ….dovesse accadere qualcosa. Ero là al museo come sulla spiaggia ed ho visto i visitatori/granchi e me, tutti insieme, durante e dentro la massa di un istante di perplessità.

Poi la coscienza è tornata a muoverci tutti e farci parlare insieme della EVIDENTE bellezza. Mi sono distratto e, vigile ma senza precisa coscienza, ho pensato che il tempo attraversa la storia. Esco. È da qui che sono in una specie di racconto di frammenti. I movimenti operai. Le realtà collettive.

Gli operai che percorrevano le strade della capitale ATTRAVERSANDO la città. È un coro di granchi perplessi, a giugno, di fronte a me sessanta anni fa. La mia vita scorreva, era un treno di giorni sulla tratta ferroviaria delle prime vacanze. L’esercito dei granchi nudi al sole fu, ed è, il tempo che attraversava lo sguardo. Due linee che si tagliano. Il sintomo di quella cesura emergente è una cicatrice che disegna la parola “me”. Me di fronte all’esercito di granchi che in coro mostravano lo stupore d’essere stati scoperti: il loro cielo di sabbia era sprofondato all’insù, nell’universo trasparente dei rivoli d’acqua del mare. Dunque il ‘mio’ cielo, l’altro cielo (quello ‘vero’ che stava su di me con una enorme dimensione di profondità) si schiacciò ed ebbe meno rilevanza nella organizzazione percettiva ed io pensai alla bellezza.

Così è adesso che vedo la foto di Joseph Koudelka intitolata “CZECHOSLOVAKIA. Slovakia. Stredni Slovensko. 1958” nella quale il cielo è tagliato, a vantaggio della strada di terra dell’argine di campo, e che ha sulla destra del ritratto la massa di due animali che tirano un carro, ma in realtà essi sono la mano di dio che scoperchia i tetti delle case degli uomini mentre dormono, e scoperchia anche i loro corpi spazzando via i piumoni tiepidi con la potenza dell’onda che sorprende i granchi nella loro migrazione sul bagnasciuga. Uomini e granchi intonano un coro muto di esilio. Sogni e tropismo si fondono. E’ la domanda sulla natura UMANA. Abbiamo avuto i cori. Va’ pensiero ascoltato anche quello le sere di studio quando il riposo è mettere insieme la musica e la storia dei popoli.

E’ la ricerca di giustizia -il ‘sacrosanto diritto di giustizia’- che fa mormorare assieme le persone che diventano uguali nelle tratte ferroviarie che li portano tutti ad attraversare una città a chiedere rispetto? E noi diciamo che ‘attraversano’ le città, ma in realtà essi ‘percorrono’ ordinatamente le strade delle città per il loro verso. Diciamo che ‘attraversano’ perché forse quel movimento collettivo è un coro che si mette di traverso alla storia. Sono buoi potenti che portano il loro tempo in piazze e strade, e più tempo hanno impiegato ad essere là, e più ha pesa la massa delle loro richieste, la moralità della loro opinione. E’ la storia che viene attraversata dal tempo. Quando il tempo si trasforma in pensiero e poi il pensiero fa muovere le persone e diventa spazio e rivolta.

La mia vita scorreva sul treno di una storiella. Vagoni di giorni sulla tratta ferroviaria delle prime vacanze. L’esercito dei granchi nudi al sole svelava il tempo bello di un attimo. Piccoli operai che traversavano la città di sabbia. Cosa UNISCE? La socialità è un tropismo? O nelle piazze e nei luoghi collettivi si va per sentirci uguali: ma non a proposito dei grandi ideali condivisi, e solo perché comunque c’è una uguaglianza rivelata, scoperta, creata con arte dal fatto che tutti abbiamo speso del tempo per essere insieme proprio là, e cioè abbiamo saputo dislocare il tempo tutto là in quelle piazze e lungo quelle strade. E poi abbiamo avuto la certezza che era come andare a vedere fotografie di mare in una città di mare, andare a leggere l’anima dei rivoltosi che era uguale all’idea di rivolta che già avevamo abitato e conosciuto.

Siamo uguali avendo ‘saputo’ del TEMPO anni indietro sulle spiagge di fronte ad eserciti di piccoli granchi e dopo non lo abbiamo mai dimenticato e si vuole stare insieme per escludere un po’ di cielo e cambiare la percezione della storia sottraendo potenza alle divinità: proponendo sacrosanti diritti che hanno solo una giustificazione di derivare da una conoscenza del mondo per via del ricordo di eventi passati: fotografie panoramiche di mare, di treni e di campagne piantate sulle possenti figure di animali a tiro.

Il tempo ci coglie tutti insieme lungo le strade che attraversano le città. È una sensazione di identità e di esilio. Si preparano poche cose per uscire di casa e per ‘andare traversando’ PERPENDICOLARMENTE la linea lungo la quale si dispone il nostro antico paese di provenienza e raggiungere la città portuale sul mare e infine raggiungere gli altri uguali a noi dentro i parallelepipedi di musei bianchi di latte abbacinante con tutte quelle foto di panorami liquidi distese sulle pareti da guardare come eventi di un allattamento felice.

Guardo la foto di Joseph Koudelka intitolata “CZECHOSLOVAKIA. Slovakia. Stredni Slovensko. 1958”. Non c’entra niente, però, per quanto incomprensibile, dico che lungo la tratta ferroviaria -tra casa mia e il porto abbacinante oltre confine- la storia traversava la mia vita. Sono arrivato qui a traverso mille difficoltà. Posso dire che l’identità è un esilio felice.

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autarchia


Posted By on Dic 25, 2013

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STUDIARE SCOPRIRE SCRIVERE SCOPARE
claudiobadii

Il traino ha due cavalli tozzi e distratti. Sembra che a loro tirare non pesi e così andiamo via leggeri di ingratitudine. E, come nei sogni, senza la sensazione muscolare del lavoro. L’idea di leggerezza è il rilievo che la mente ha astratto dalla sensazioni del corpo cullato sul carro: e quell’astrazione ci incanta. Il ricordo somatico si unisce allo stimolo sensoriale della corsa, determinando la percezione che genera il pensiero verbale: “Portami con te“. La forza degli animali del tiro, trasmessa al carro dalle stanghe, trasforma il fragore del trotto nel rotolare frusciante delle ruote: il cui fruscio, nel mutamento della funzione mentale precedente, diventa pensiero e linguaggio. “Portami via“. La frase ha uno speciale significato. Aggiunge un’azione al ‘niente‘ del tempo ‘prima di niente‘. Aggiunge un’enfasi momentanea alla ‘neutralità‘ del tempo di ‘prima del niente della neutralità‘. “Portami con te” ha in sé meccanismi di regolazione, insomma i modi della propria esistenza. “Portami via. Con te“. La mente, sconvolta dall’imperativo, genera i propri toni acustici nel buio e nel silenzio assoluto delle aree che legano mnesia acustica e intenzione verbale. Funzione di pensiero dei presupposti del linguaggio che è fonologia del sentimento. “Portami con te dovunque tu voglia andare“. Il sentimento di ogni frase corrisponde a una ed una sola delle numerose, ma non infinite, cadenze dei passi che si articolarono durante il primo anno nella stanza della ninna-nanna dal primo giorno di vita in avanti. Sentimenti di legarsi e sciogliersi. Restare e sfuggire alla morsa. Stavamo dentro i vulcani torridi, sulle spiagge, nei deserti e nel vento delle parole e dei canti e poi dopo, spesso e senza capire perché, nell’azzurro trasparente di montagne di ghiaccio. Ero restato là dentro millenni e ne sono uscito nuotando e adesso, dal punto di osservazione degli scienziati, paio un reperto vivo di balena preistorica. Sul dorso, accanto allo sfiatatoio, fioriscono bocci di rose invernali dai petali bianchi e tulipani gialli, germogliati da certi bulbi rimasti sepolti coi semi delle rose migliaia di anni fa. Io ti scrivo di tra i ghiacci. Come fossi tra i ghiacci con una bussola sul cuore. Scorre una notte di mesi e mesi in cielo. Un fiume di luccicante notte che rotola è ciò che sono. Domani prenderò, forse, i toni di battesimo della voce della madre e del padre adoranti. Sono, come tutti gli altri della specie, dipendente dal timbro delle voci. Non si è liberi di essere a causa di questo fenomeno di sensibilità alle voci. Non ci fossero i nomi chiamati dalla porta, dietro l’angolo, forse, saremmo liberi. Non ci fossero, alternanti e imprevedibili, presenza ed assenza dei nostri nomi sulle labbra altrui allora, forse… Ma il primo anno ci ha viziato di avere un nome e rispondere ad un suono, a voltarci con la contrazione leggera o stridente dei muscoli sternocleidomastoidei che ci fanno girare dove tira il vento dei suoni che contengono l’immagine di quello che acusticamente siamo. L’astrazione dei pensieri tuttavia -qualche volta, nel silenzio quando sei andata via, quando i figli sono andati via, quando i figli non chiamano, quando nessuno chiama non perché non siamo necessari ma perché ci sono anche altre cose più divertenti e leggere e meno necessarie di noi- ci lascia sognare. I due cavalli tiravano e gli ammortizzatori -grandi molle tra il pianale e le ruote- come fosse ora hanno protetto e salvaguardato la schiena e mi hanno letteralmente cullato. Come niente ho dimenticato che mi hai fatto arrabbiare e che in quei casi non so volerti. Basta il vento -che sussurra, lui, il nome con il quale non mi battezzi più- e sono libero dal passato prossimo. C’è una veglia senza coscienza, un pensiero senza stretti legami con lo stradario della vita dei quartieri di questo mondo. L’esilio dal primo anno è la vita vigile sotto il sole al risveglio. Questa sensibilità ai suoni, nella veglia dell’esilio, è una unità di misura dello spazio dei rapporti con gli altri. L’esattezza senza pietà, caratteristica della misurazione, è la causa del fatto che la vita, esaminata attentamente, risulta assolutamente priva di scorciatoie. Per questa assenza di scorciatoie e punti di fuga è assai seria ogni condizione della biologia sensoriale: ed è amore fondo il profondo sonno che ogni notte abolisce la motricità e incrementa la varietà dei pensieri. Il sogno non è il ‘non cosciente‘. Inconscia è la qualità specifica della funzione della vita mentale durante il sonno. Non è ‘inconscio’ l’aggettivo che qualificherebbe l’essenziale qualità del contenuto onirico e che dovrebbe fornire il codice di cifratura e di decrittazione del suo significato. La biologia è ‘inconscio’. Un apparato di cifratura del tutto differente, senza riferimenti ‘storici’ che dovremmo amare così com’è, incondizionatamente: per poterlo tenere con migliore confidenza, e poi per sempre, tra le braccia. Mattina e sera il crepuscolo accompagna all’abolizione e alla riattivazione del controllo sul mondo esterno il carro rotolante di buio caramellato. Nello Stige annega il Minotauro, che pretende il controllo del mondo esterno ed interno attraverso l’illusione della coscienza e che si rapprende allo scheletro del movimento volontario coordinato. La sensibilità, che poi altera il ritmico svolgersi delle attività del respiro e del cuore, allude a tutto quanto voglio dirti: quello che chiamo ‘primo anno‘ ma è l’apnea lunga di una balena preistorica che si sveglia. O la bussola che muove il nostro cuore magnetico.

Portami via. Portami con te“. L’intervista col vampiro rimbomba dalle catacombe nelle cui ‘gole‘ il linguaggio si forma bello e disordinato. Ma non è inconscio e non è coscienza. È acustica di un pensiero che non presuppone uno schema di azione muscolare. L’immobilità del sonno, ecologia innocente, realizza il risparmio energetico dell’incapacità di ‘fare‘ il male. Nella nicchia, scavata dal traino dei due cavalli, il pensiero di noi era restato incoscienza viva e, sviluppatosi nella quiete del tempo trascorso da ieri, ha parlato forte, al risveglio, del ricordo di te. Ero ancora io quello di un istante fa, giovanissimo. Poi all’improvviso sono qui che faccio il caffè, con la cicoria di tutti i miei anni, per tirare avanti la felicità di oggi. Ti auguro di scoprire, scrivere, scopare, studiare nell’autarchia grigia e leggera di questo Natale.

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le tue mani quando pensano la musica e mi riempiono di desiderio

Ora che le preferenze musicali hanno virato dalla parte inattesa di TE
– posso fare boccacce scuoterti senza offenderti.

studio paragrafi nuovi al suono del piano e del violoncello
-del suono del piano mi piace l’immagine che crea delle tue mani più abili e affusolate di quanto sono in realtà

questo determina l’incredulità sull’inferno e il pentimento.
-non si deve esagerare a proposito della potenza del reale

per esempio le parole scritte hanno un suono anche se i segni delle lettere sui fogli non producono alcun suono.
-per esempio la solitudine non è inutile: essa serve a capire

il suono che ha questa musica è differente dal suono delle parole
-il suono che ha questa musica ha l’immagine delle tue mani agili e affusolate

esse sono più agili e affusolate di quanto non siano nella realtà
-questo suggerisce che la realtà non è vera quando metto insieme la musica del piano e il movimento delle tue mani

l’agilità e la forma delle tue mani come risultano al piano sono differenti dalla forma e l’eleganza così come sono
-Il suono del piano altera la figura delle tue mani come si forma nella realtà biologica dell’encefalo per la percezione.

le preferenze musicali hanno virato dalla parte inattesa di TE
-la  musica del piano che non ha il suono delle voci ha l’immagine delle TUE MANI che è la verità.

restiamo attorno al fuoco di questa immagine: al freddo di questi tempi  c’è questa povertà differente da sempre che ci sospinge gli uni tra le braccia di tutti gli altri
-senza criteri

ci sono le aree del suolo pubblico, nella strada di fronte ai bar, piene di gente
-questa gente è inebetita di felicità perché finalmente non ha più niente da perdere

la verità di questa miseria dignitosa non è la realtà di essere indigenti come siamo
-è la realtà di essere sospinti gli uni tra le braccia di tutti

la verità non è la realtà
-non sempre c’è il suono della voce anche se c’è l’idea del suono di una cosa nella mente

le cose nella mente non corrispondono sempre alla realtà di un oggetto percepito
-qualche volta o addirittura molto spesso non c’è alcun oggetto percepito

c’è l’esigenza della generazione di un suono
-la necessità di creare una parola per una cosa che non c’è mai stata

in quei casi la verità è una realtà che deve arrivare
-la felicità alla banchina sui binari al treno di TE

che illumina il mondo dal suo fondo
-dal punto di fuga dove gli occhi si sono conficcati per l’infinito desiderio.

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