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la spiegazione dei disegni


Posted By on Gen 6, 2017

Ora che tutto ha preso la sua destinazione vedo bene i campi e i rilievi trascorsi. Mi fermo un momento. Più che altro è l’idea di un arresto ma posso solo rallentare perché la natura del viaggio non consente interruzioni. Veder bene vuol dire in modo univoco senza dubbi con la certezza di ciò che è stato. In una lunga storia tanto bene distesa alle spalle che non c’è più tempo per cambiarla neppure la speranza è necessaria e alla fine vale la gioia andare avanti senza esitazioni.

Avere tra le mani la conclusione, questa conclusione: l’avanzare dopo l’ultima porta. Mi spiego: il territorio va lungo una costa che non è l’ultima sulle mappe. Ma è ultima, per uno che cammina con le proprie gambe. Poiché sono la latitudine e il clima che chiariscono  la previsione certa: che io sia nel mio definitivo territorio.

Potrò spaziare libero sapendo che gli errori saranno ininfluenti. Il punto oltre il quale ho capito non è individuato in un luogo una curva o un angolo prospettico. Cioè la mia attuale comprensione delle cose non è avvenuta per un’illuminazione. Anzi ha radici nell’intera storia precedente. Affonda nella serie di vicissitudini della mia vita. Sboccia come un’idea di un albero disegnato lungo una linea che poteva crescere in ogni suo punto perché la linea è fatta di punti generativi.

Però la consolazione è che sia nato, finalmente. Sfuggito alla possibilità di non essere mai.

Questa latitudine ha il suo proprio clima. Ed il pensare disegna nuvole in cielo. Essere umani che trasformano continuamente la meteorologia dei giorni nella serie di stanze e padiglioni di un museo d’arte. E oramai chi capisce questo non sa tornare più a prima.

Così procedo sicuro che non potrò più scegliere di essere di meno di questo poco che sono diventato. Tutto il tempo è un grano di sale sotto la porta che tiene aperto il varco. Il discorso fin qui uno spiccho di luce….

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Trovare la consapevolezza della speranza non richiede poco tempo. Così è adesso che mi rendo conto che la speranza è una cosa. Non è una cosa inventata per consolare la mente, è una cosa immaginata cioè un concetto efficiente, un oggetto psicologico operante. Questa comprensione -che è tardiva per certi versi, perché non sono più quello di un tempo- pure mi fa sentire senza i rimpianti che dovrebbero prendermi per non essermi persuaso prima.

Molte cose mi sono capitate così: a tenerle nelle mani una volta trovate mi parlano attraverso i sensi anche se sono cose del pensiero e la loro veste metaforica, scopro senza rimproverarmi, era solo perché ne distorcevo i criteri di esistenza a causa della mia incredulità.

La speranza fino ad oggi era pensata da me, mi rendo conto solo adesso, come un fantasma, l’espressione di una ingenuità infantile permanente. O il sentimento nostalgico suscitato da un vecchio giocattolo che per i sentimenti che mi suscita ad ogni sguardo porto con me ad ogni trasloco.

Ora, poiché la consistenza dei miei rapporti definitivamente rafforzati si costituisce a fondamento della mia ulteriore nuova forma di vita, anche la speranza ha fondamento. Forse è così che avviene. Forse è questa la maturità: che debbano essere quelli più avanti nella strada a riferire sulla legittimità dell’ottimismo e sulle normative giuridiche della testardaggine e della insistenza nella ricerca della felicità.

Non saprei. Nè ho più tutti gli strumenti mnemonici per effettuare confronti di rilevo in favore di questa ipotesi. Avanzando nella chiarezza mi sono alleggerito del più della mole dei ricordi faticosi del viaggio. Ho acquisito e poi conquistato definitivamente l’andatura dinoccolata degli schiavi nelle piantagioni: immagino che la loro estrema stanchezza e la loro prostrazione diventassero un vero disinteresse dei pesi e della fatica: uno stato di mistica sopportazione che conferisce santità di magrezza e non di pentimento.

Vedo i gabbiani e le oche sulla foce dei fiumi di Amburgo e Lubecca e penso che anche le mie ossa sono tibie della stessa leggerezza di quelle di questi antichi stormi di uccelli.

La voce riposa. Noi veleggiamo muti quassù, perché qua non abbiamo bisogno di parlare e diventiamo, acquietati, pensieri fatti con l’aria che soffia in flauti d’osso, e tra le canne lungo i corsi d’acqua.

È l’aria che spira attraverso il cielo trasparente di queste città del Nord che mi fa dire così. L’aria corre attorno mi circonda e il pensiero varia perché dell’aria e della luce ricalca la natura.

A questo attuale irreversibile arrivo addento la speranza come una realtà consistente ed essa si mischia al sapore delle aringhe rosa e argento serrate nel pane croccante che profumano i chioschi di legno colorato sui porti e delle quali ci ingozziamo famelici verso le una del giorno come fossimo anche noi volatili affamati dal freddo.

Il mondo trapassa dentro di noi per gli occhi e i respiri e spazza via i nostri saperi precedenti che si costituiscono in mucchi umidi di foglie ai margini dei giardini.

La speranza è una irragionevole certezza di sussistere singolarmente in questo mondo di venti e appetiti, per cui ci scagliamo piano ma con determinazione in mezzo alla bellezza di una luce senza colore e senza suono che travolge il corpo con la sua rarefatta purezza.

E la luce del nord dirada le cose e le parole e ci sveglia presto al mattino perché i nostri cari, adeguandosi alle usanze locali, hanno scelto tende chiare: hanno scelto, inconsciamente, di rinunciare all’artificio del buio.

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il tempo quadrato (3)


Posted By on Lug 1, 2016

vita sugli alberi (3)

la vita sugli alberi (3)

…vedo le opalescenze sul muro e le travi alte del tetto attraverso i riflessi sulla calce bianca delle pareti che appaiono come fossero di un vetro limpido e la mia stanza è più bella alla luce del giorno e ne ricevo un ritorno benefico una specie di modesta felicità che risolve il mistero della presenza ora che il mondo fisico si mostra sotto l’illusione della luce che prende la forma della composizione delle cose e le alleggerisce penetrando nelle fessure della materia….

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Devo arrivare ai passi sulle pietre del centro storico alle scarpe al suono rotondo dei miei passi sotto i quali ondeggia appesa con un un filo l’ombra lunga di me più lunga di me alle otto del mattino del primo inverno gelata nervosa blu scuro sul grigio del materiale di cava rettangoli grandi accostati quasi alla perfezione e il ‘quasi’ che erano rette parallele e perpendicolari utili, sorridevo, per geometria e grammatica. Avverbi e assiomi. Infiniti pensieri si svolgevano e continua ancora questo eterno amore di non trascurare il trascurabile farci i conti servirsene quasi come (…di nuovo!) una occasione di vivere ulteriormente più intensamente il grigio dell’alba l’altro più scuro della strada il nero delle linee di accostamento delle pietre uguale al colore dell’ombra l’infinita gradazione tra cielo e terra entro la quale mi trovavo a camminare sapendo che non sarebbe mai venuto meno il mondo d’aria luce e materia in piani linee e arpeggi che facevano il viaggio della specie umana come io definisco da allora la città le persone che incontro con la voglia di riuscire a fare la loro conoscenza cosa che so che deve essere eseguita accuratamente variando di poco gli angoli dello sguardo secondo le espressioni altrui. Distogliendo lo sguardo dalla geometria del piano stradale mi incantavo sui segmenti dei percorsi di ciascuno su come quegli occhi esplorano l’aria invisibile che è in realtà solo trasparente e sfiorano avvolgono infrangono qualche volta l’area semicircolare del campo visivo degli altri poi sempre più intensamente il volume delle aspettative di tutti che vedevo bene annusando perché tutti portavano con loro la propria intimità ben evidente a quell’ora come un profumo. Il cerchio la retta le figure solide costituenti la vita societaria del risveglio di una cittadina si scioglievano nel solido complesso del pensiero non figurativo in merito alle psicologie alle norme e alla loro validazione e agli usi e costumi a come era evidente essere quei costumi il modo di usare forme e colori nel comportamento appreso ma speciale (differente) in ciascuno: un balenare di mani e sguardi, un disegnare in aria espressioni di approvazione o rimprovero, nel che lasciavano irrimediabilmente trapelare dall’interno di ognuno loro, le pretese, le attitudini, le volontà di sottomissione o di comando.

Nell’aria trasparente del mattino erano, gli altri, meno distanti. Nel mistero del tepore che si portavano addosso erano ai miei occhi più facilmente conoscibili perché mi appassionavo alle differenti rapidità e maestria con le quali traevsno i fazzoletti candidi dalle tasche o riponevano gli spiccioli lucenti prima tra le dita e il palmo, poi nei borselli di pelle scura. E io mi vedo che mi mettevo già allora a rischiar di sapere, mi mettevo a fidarmi di sapere, mi arrischiavo a esser in confidenza con me stesso, ad essere certo di aver capito. Sebbene avessi avuto subito chiarezza ed apprensione per tali presunzioni e precocità che però coccolavo dato che mi facevano più felicemente procedere. Mi consolavo: “…è un animo poetico ….” pensavo “…se anche stamani la strada tra la casa e la scuola è viva e bella come un geranio fuori stagione!”

Ma invece camminando lungo un percorso di circa settecento metri tra casa e scuola sviluppavo una mentalità in cui era naturale e desiderabile la costanza dell’apprendimento, la lotta continua alla conquista delle competenze: che è bella sulle lastre di cava del pavimento stradale (come fossi stato in un fortino verde e arancio in mezzo ai campi) … e meno naturale nelle aule ma mi parve sempre inevitabile a farmi sentire via via più adatto ad amori assolutamente in arrivo che avrebbero seguito l’ultimo. E il primo degli ultimi fu il primo e fu dolorosissimo e dopo ecco il tempo vero dove posi il lusso del per sempre per camminare libero senza posa.

La comprensione di ciò che non potevo sapere fondava il futuro.

Poi lessi che alla nascita il ragazzino ha la certezza dell’esistenza del seno e leggendo sentii il profumo dell’autore che spiegava: che si in effetti si rendeva conto quanto sarebbe stato difficile capirlo logicamente perché nessuno dovrebbe poter essere certo di qualcosa di cui non ha avuto esperienza. Rilessi in altro modo la parola ‘immagine’ e ebbi chiaro che immaginare è avere la certezza dell’oggetto ed è differente dal sapere di qualcosa per averla appresa. La capacità di immaginare è una disposizione a sviluppare certezze irragionevoli, presunzioni, disobbedienza. 

Il discorso si sarebbe fatto poi ampio come un seno di fantesche o di odalische al balcone.

Dunque mi imbattei in quella trattazione ardua su una capacità cui nessun essere umano sfugge nascendo che sta alla base dell’unica teoria della nascita degli esseri umani che abbiamo a disposizione.  Da quella premessa originò una necessità di cercare se sarei stato in grado di volgermi verso una cultura antropologica e una prassi clinica assolutamente nuove.

Ma il fatto notevole ai miei sensi è che accadde che la teoria della nascita mi parve subito ‘elementare’ quindi indispensabile: forse fu come l’immediata aderenza alla proposizione di studiare che mi capitò naturalmente nelle aule grandi della scuola. E leggendo le pagine del libro che conteneva gli Elementi delle Basi Teoriche della nascita umana forse sentivo il primo inverno i giorni alle otto di mattina le figure geometriche e le dolcezze del primo bacio e avevo in cuore il ricordo dei miei passi di tanto tempo prima tra casa e scuola, quando l’inverno nasceva con il mite rigore delle regole elementari da imparare per, mi riempivo di gioia nel comprenderlo benissimo, rendere accessibili i pensieri. 

Non è tutto: i pensieri furono coltivati da maestri in buon umore quitidiano dato che i vivi, allora, sapevano di essere sfuggiti alle stragi della guerra. Della guerra restavano invisibili nell’aria trasparente del mattino granelli di polvere di macerie sangue di stragi di distruzioni e poi goccioline dell’acqua che aveva lavato via tutto rendendo il mondo di nuovo abitabile col lavoro della generazione dei nostri genitori. Un lavoro che avevano svolto cantando quando non sospettavano di noi perché erano ancora ragazzi mentre lavoravano a rifare il mondo per noi. Avendo certezza di noi seppure non ne avessero il sospetto

Ho respirato con l’aria di allora grani di guerra di salvezza di macerie di giovinezza di guerre ricostruzioni e buon umore e mi tennero in una trasparente allegra certezza senza ragioni. Ma le ragioni ci sono e stavano nell’aria trasparente nei granelli di polvere e nelle goccioline d’acqua. Solo dopo, ma grazie a quanto primitivamente ero diventato respirando l’aria del mattino, mi fu possibile capire la teoria, l’aria nuova, i suoi costituenti invisibili l’acqua e i granelli di terra diffusi tra le parole appassionate. Tornai su me stesso come un nomade del deserto: ma appena più in là della prima nascita, e mi fu possibile quanto era indispensabile a non lasciar morire, tutto quanto fatto fino a lì, nell’ignoranza pigra insomma nell’ottusità di molti accanto a me: potei imparare la scienza che misurava con sicurezza la fortuna che mi era capitata.

Ho avuto la sorte di essere nato due volte in una ripetizione che non è semplicemente una somma.

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notti intere di luce


Posted By on Giu 5, 2015

(In occasione della ripresa delle attività scientifiche del LARGE HADRON COLLIDER di Ginevra esprimo inutili felici considerazioni di uno scienziato ostinato…)

In pratica il telescopio che arriva a 14 miliardi di anni fa verso il big bang trova come oggetto un universo di massa infinitamente piccola e densa che è lo stesso cui il microscopio dell’LHC vuol carpire gli elementi che ne costituirono la popolazione. La fisica delle alte energie cerca di ricreare le condizioni dell’universo primordiale dalla cui voce medesima i radiotelescopi moderni vogliono ascoltare, registrata ogni momento, la cronaca originale. Perchè il cielo è il racconto della storia che è in cammino dall’inizio e che non finisce mai di narrarsi essere detta e, da un secolo circa, amorevolmente accolta mai udita prima. Al cospetto di questo lavoro arduo e sottile la nostra grossolana ignoranza si deve sciogliere come grasso superfluo di cui ci liberiamo con le corse e l’esecuzione dello studio disperatissimo e allegro, subito oltre la lucente linea cutanea del pensiero logico, in segmenti di pensiero geniale e in vibrazioni di emozioni tonanti. E oltre la pelle che è lo sforzo necessario che limita la stupidità che contiene, si diffonde l’onda del brivido serale suscitato dalla domanda se sia possibile che, non essendoci mai stato alcun inizio dal nulla, mai finirà il racconto dell’origine. Perché allora, concludo, solo il sonno di una conoscenza irrazionale nella coscienza dei primi anni senza ragione, ogni volta ricreerà la certezza di noi come nascita della curiosità per l’inutile e l’auspicata perdita di controllo. Per adesso la cura rende conto di un certo benessere fisico. Senza una storia edificante -finalizzata dal principio alla fine- non ci resta che lo stupore della luce medesima. Specialmente la sera e poi, ancora più vivida, notti intere di luce.

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