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Mi interessa il discorso sulla vita e sulla morte. Gli estremi argomenti che sostengono il filo del discorso umano. In questa atmosfera la letteratura è, in sostanza, una raccolta di messaggi di aiuto. Dal romanzo alle singole parole di ogni pagina.

Ma la ricerca chiarisce che la vita è una condizione e la morte un evento. E avendo una differente natura semantica non si deve tenerle nella medesima dialettica sillogistica. Esse non sono una all’opposto dell’altra.

I cardini necessari all’aprirsi di un discorso che non sia collezione di messaggi disperati saranno: l’inizio della vita come insorgenza della vita psichica alla nascita, e il morire da vivi per la crisi dell’identità dovuta all’azione della pulsione di annullamento a spese dell’io neonatale.

Definire vita umana quella che inizia con l’insorgenza del pensiero del neonato al momento del parto. Definire morte, durante la vita, la distruzione della vita umana in quel tempo originata, per distruzione del pensiero . (Morte come residuo di esistenza biologica senza più identità di pensiero del soggetto.)

Ma la letteratura, abbiamo ben compreso, non ha assimilato l’idea della nascita come genesi del pensiero all’espletamento del parto (e non prima!) E allora noi cerchiamo di fare meglio, di dire meglio ogni volta. E a volte, durante il lavoro, arrivano sogni da svegli.

Compaiono, creati dall’azione degli occhi trasognati, fogli ad asciugare l’inchiostro appesi a fili tra le facciate dei vicoli. Un colore blu è spremuto dal cielo e riempie lo spazio tra le costruzioni. Mentre l’inchiostro asciuga sui fogli, dal pavimento stradale salgono i canti delle voci. La città è un organo sonante.

Nel coro in azione lirica distinguiamo le parole della ricerca di base come il canto di una donna ben nota. In mezzo al mare aereo dei foglietti alati, stesi ad asciugare ai fili da bucato, ogni giorno avanza la chiglia del suo torace. Magro. Riccamente adornato.

La fantasia trasforma la percezione. La città è un organo, le aree tra le case sono canne sonanti. Alla fine mi trovo a scrivere: “Eccola portare a riva la sua inesorabile bellezza.”

La scrittura è segno evidente della vita psichica. Si fissa nell’aria dei vicoli alla carta dei fogli e permane. Una frase può dare l’idea della vitalita del pensiero umano che si oppone alla morte.

La morte sono la demenza e la pazzia quando l’io si disgrega e non c’e piu un soggetto ad attuare le immagini invisibili delle cose del mondo. E la coscienza che non deriva più dal sonno è un sogno senza risvegli.

 

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quanto stava nella mente


Posted By on Mar 10, 2017

Requiem.

Quando Amleto dice a Orazio “ci sono più cose in cielo e in terra di quante ne immagini la tua filosofia ” in realtà dice che la filosofia era un sistema per non immaginare, dato che poi abbiamo realizzato cose che in cielo e in terra non ci furono mai.

Al contrario tu mi dicevi: “Stava nella mente, prima di essere composta, capisci? La musica stava nella mente!”- e mi osservavi per assicurarti che capissi e io vedevo la tua angelica chiarezza – “Non si sa che forza e che ferma passione avessero in animo mentre quella musica, che era esattamente loro stessi, veniva su. Io non vedo”- affermasti-“nessuno a cui parlassero: li vedo solitari quei compositori, che cantavano i loro fuochi, i loro zampilli di fumi e fanghi sulfurei, e i loro sottili fili di seta tutto intorno: intorno a loro immagino solo disperato stupore. Disperato perché subito, tutti quelli raggiunti dal suono, comprendevano che chi incanta il mondo di imprevista bellezza è irraggiungibile …”

Così una mattina sinfonica noi con il sole di giugno, noi da soli, tu chiarezza ingenua e occhi spalancati su me, io trottarti a fianco contento, per una volta, di te, io contento di te nel tuo sguardo che accompagnava le tue parole, tu contento di me che non esitavo, io vedere la solitudine profonda nelle cose tue certamente, pensai, mai potute dire a nessuno.

Pensai che avevi voluto un figlio per avere un giorno almeno un testimone della tua intimità. Per un amore essenziale e magro, prima delle eventuali esagerazioni. Un tipo fidato adatto a un giorno come quello che lungo una spiaggia ascoltai i tuoi primi ed ultimi singhiozzi musicali.

Oggi alla lezione di “teatro matematica cinema e musica” lo spazio si piena di successioni armoniche come il pavimento di un tempio arabo disseminato di forme geometriche uguali. Nella aritmetica delle tassellature riconosco uno tra gli schemi ricorsivi del pensiero ideativo originale e progressivo. Un pensiero clinicamente riconoscibile sano, libero dai conflitti. Fu presente nelle tue parole quando restammo soli: adulto distratto dalle tue pene ed io meno tirannico del solito: io che mettesti al mondo, ne sono certo, in attesa di giorni adatti a consegnarmi la tua vita segreta in un momento.

Tu sei adesso ricordato e dunque io ti riprendo in me e poi con grande calme prendo in me tutte le persone che amo che popolano il pavimento dei giorni attuali: tutti posso chiamare angelica chiarezza di passi silenziosi: pulizia delle orme nette sulla sabbia: sabbia fragile e indurita in sottili sfoglie di onda.

Oggi, dopo sempre, la vita, profumata della pasticceria di quella tua confessione di solitudine non priva di sensibilità, mi diventa un manicaretto mattutino: il gusto riconoscibile della tua eredità non più dispersa.

So che fu una musica di requiem che sussurrasti allora con largo anticipo di decenni prima che fosse indispensabile. Vidi bene che ti acquietasti. Anche a me la fronte si spianò alle tue parole. Auspicio che la quiete della tua crisi preparava. La crisi del padre fu la speranza: ebbi di fatto acquietamenti di mie successive furie ormonali che consegnai ad una breve decisiva serie di carezza di donna esperta. E tu finalmente nella crisi avesti pace vedendo che non ebbi niente da obiettare. Che tutto era entrato nella mia mente e lo spazio tra noi per una volta si era liberato da ogni ostilità.

Stavo con il padre in assenza della madre. Io feci il pensiero che, se fosse capitato che una lei non ci fosse vicino a me come io fortemente invece desideravo, si sarebbe potuto dunque transitoriamente confidare nel cuore talvolta buono delle figure maschili. Che non dovevo disperare. Che si può sbagliare e andare avanti.

Nel film “Amadeus” di Milos Forman, Mozart, sul letto di morte, detta a Salieri la composizione di un commiato che è grazia e potenza di una restituzione. Fino alle soglie della vita Mozart rende chiara la definizione della propria capacità di fare sempre la bellezza adattandola in modo assoluto alle occasioni necessarie. E pensavo che quella mattina fosti tu il genio e che io dovevo scrivere quel dettato. Era nella mente da sempre quella tua musica prima di venire fuori dirigendosi verso di me.

Ora ho differenti modi di vedere: so che il pensiero alla nascita nascosto e muto prima del primo respiro, è l’io che pochi istanti dopo si muove, col suono, verso le cose sconosciute.

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La linea di confine è ampia. Per traversarla tutta occorre molto tempo. Più si vuol essere esatti più si scorgono altre terre che essa comprende. Solo al suo interno siamo liberi. Non ricordo più quale è il momento esatto che vi posi piede. Da quando pretesi di essere capace di scegliere vi entrai. Per un atto di volontà che riguarda solo me verso miei modi di essere. Nell’area grande di confine fui al mio cospetto. Il tempo si dilatava fino quasi a fermarsi. La presenza degli altri era un andirivieni dai territori esterni. Mi trovai con un intero popolo di transumanti. Disinteressati ad attraversarmenti definitivi si vive un esilio indolore che diventa l’appartenenza lieta a tribù vaganti. Il territorio è agognato, costantemente. La lentezza necessaria a godere la sorprendente variabilità di questo confine ci rassicura sulla tenuta del tempo, sulla validità dell’io che qui si sviluppa. Ancora e ancora indugio qua per questi suddetti vantaggi. Mi abituo, frattanto, alla imprevidenza perché tutto cambia e imparo il difficile di scegliere la stoffa di camice e giacche e la pesantezza e la resistenza delle calzature quando non si hanno previsioni meteorologiche rassicuranti. Scopro in queste condizioni geografiche che ho bisogno di costruire insieme ad una donna un amore dolce ed esatto come una volta erano le lancette del mio orologio. Che ho bisogno di condividere la necessità di una passione con una compagna cui confidare, in un batter d’occhio, la leggera e vibrante simpatia per l’ago magnetico delle bussole, e di come io lo rappresento, quel metallo sottile, esposto all’estremità di un albero polare. Qui scopro quanto grande sia il bisogno di confidare ad un amore l’assoluto senso di questo sogno del verde smeraldo: un albero cresciuto sul polo magnetico della terra. E noi due, come uccelli, che giriamo presi da forze inscritte nei termini di una equazione di campo che esprimono in cifre e lettere la forza di un disegno che è in aria e riflesso nella nostra mente matematica innamorata.

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“LA GIOVINEZZA ALLE ORTICHE”
copyright:claudiobadii

Dopo la crisi restano i bastoncini di legno a terra. Gli shanghai. Il reticolo anatomico dei neuroni della biologia cerebrale ha implicito che pensare non potrà essere comprendere, dipanando uno dopo l’altro gli elementi dell’intreccio, in un percorso lineare privo di eventi collaterali.

C’era la certezza di -non-so-dove- una ‘crisi’. Ho accettato di cedere alla ‘necessità’ di porre alla base delle foto le notazioni degli anni, (nascita/morte), che facevano risaltare la troppo breve vita di Francesca Woodman.

La sera di ricerca non si è riusciti a risolvere la crisi. Il modo non cosciente, che precede la coscienza, aveva colto qualcosa. Ma durante la seduta di psicoterapia di mercoledì scorso, la crisi, indicata, si era dimostrata generale: l’uno non coglieva la ‘cosa’ degli altri.

Le ore della seduta: le dita delle ‘loro’ mani passavano forti, tuttavia indecise, sulle corolle di fioriture immaginate, tirando via semi tinti di blu scuro elettrico, che erano nascosti nelle pieghe degli stami vegetali.

Erano i secondi, che fanno i minuti e le ore. E, quando ‘loro’ sono andati via, i semi sono restati a terra. E i semi erano di nuovo i bastoncini dello shangai che si gioca da ragazzini.

I punti e i segmenti, sparsi sui riquadri di cotto, componevano le durate su un’area: non più lungo una successione lineare. Il tempo appariva seminato sul pavimento, dopo lo stimolo improvviso e massiccio dell’assenza di persone che se ne erano andate via in pochi secondi che aveva attivato certi flussi sinaptici nel reticolo della biologia cerebrale.

Per quanto essa sia anatomicamente segreta e protetta, la fisiologia è quella di essere attraversata da onde bio-elettriche. In quel caso si trattava dello stimolo di una stanza improvvisamente vuota che in me ha determinato la ‘coscienza’ del dolore: percezione illusoriamente riferita (diffusa) su un corpo ‘fantasma’: la stimolazione centrale delle aree sensitive epidermiche può causare la ‘ricreazione’ di ustioni periferiche.

Una cosa della mente, inaccessibile ad ogni invasione di oggetti, diventava una serie di spine diffuse sul corpo. L’onda di eccitazione, percorrendo le strutture cerebrali, ha diffuso il dolore in un attimo. Ero insignito di un mantello nero di ortica, e il corpo si è sentito ammalato.

Dura nel tempo, e la durata e l’intensità, in modo opposto, sono proporzionali alla vitalità. Fino a che il nero diventa blu radiante e il dolore guarisce la mente: insomma in quel caso non era malattia biologica, ma azione della fisica del pensiero sullo schema corporeo.

Per cui, diciamo che il pensiero dava fuoco all’homunculus sensitivo come a una strega del seicento. In questo attualissimo caso dico che il dolore, così evocato e provocato dalle azioni mentali, era indispensabile ad evitare il suicidio della disperazione.

Sono ventiquattro ore, poi trentasei ore, circa, da mercoledì sera. Il dolore ha focalizzato la percezione di una imbarazzante inabilità che si accentua fino a sembrare fatale. Poi ha lasciato, poco a poco, che la mente realizzasse l’idea di una gravidanza a termine, e un parto.

Rapidamente è scivolato, sollevandomi dalle ambasce, il pensiero per cui, se ricordo bene, doveva essere maggio del 1982, quando scrissi la lettera di addio al mio incarico universitario. Poteva forse essere fine marzo o metà aprile quando l’invasione della luce, per la strada del mare, mi aveva inclinato a prendere la decisione? Non lo saprò mai.

Saranno stati i rami dei cespugli selvatici fioriti lungo la strada, coi loro intrecci bizzarri, che forse mi ricordarono il gioco degli shangai, e il tempo di catrame sotto le ruote che vibravano impercettibilmente ad evocare le autostrade sinaptiche dell’anatomia cerebrale?

Non sapremo mai neanche questo. Può comunque essere stato così nella mente di un giovane medico alle prese con la anatomia, la fisiologia, gli amori, le intemperanze dell’ignoranza. Tutto alle soglie dell’estate.

C’erano:

-potenza e incoscienza.

-la giacca azzurra della giovinezza.

-la neutralità impossibile.

-uscire dal gruppo dei clochard aristocratici.

-buttare la giovinezza alle ortiche.

Butto alle ortiche questi anni di ricerca. Cambio ancora. L’intreccio bello del cespuglio come un nido di cicogna sui cammini accesi per scaldare la nascita dei bambini. L’intreccio della fisiologia del pensiero porta con se il profumo dei fiori lungo la strada.

La vita mentale ha origine materiale. La frase “realtà non materiale” è una locuzione scientificamente fuorviante a proposito della natura fisica della mente. Quelle parole hanno un indubbio fascino letterario, per il resto rappresentano un’idea ed hanno l’esistenza di un fremito sfrigolante.

La scintilla dei treni su e giù per la penisola. Freccia rossa del risveglio e, precisamente, una scintilla. Le scintille ogni istante sono più numerose delle stelle visibili e dello stesso numero delle invisibili. Miliardi di miliardi di eventi elettromagnetici. L’unità di tempo è mente cardiologica e meccanica.

L’azione permanente del pensiero sa, in genere, comporre cuori e cronometri. e si può scrivere che la fisiologia umana delle attività cerebrali ha un’esistenza poetica, dunque solida e per niente letteraria. Una poetica esclusiva delle scienze esatte. La sua bellezza è non avere alcuna necessità di validazioni filosofica d’essere ‘realtà’.

La modalità relazionale della psicoterapia, grazie alla consistenza fisica dei processi ideativi, può operare sugli stati funzionali corrispondenti agli affetti di rapporto. Essi furono nominati, durante gli anni di sviluppo della scienza psichiatrica, transfert e contro/transfert.

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