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  • Un importante risultato mattutino il dilagare della luce sul pavimento. Il semicerchio dell’onda luminosa entra sotto la porta chiusa e sfiora il lato lungo del letto.

Il mattino, da che si costruiscono stanze con porte e finestre, è un fenomeno duplice: massa voluminosa di luce nelle sale aperte, e onda piana che sotto le porte chiuse curva sfumando nelle camere buie.

La civiltà è in questa penombra misurata e composta dall’arte e dalla tecnica delle costruzioni.

Ma altrove resta inalterata l’umanità. Mi pare di vederla nell’azione inarrestabile della nostra specie che indirizza la vita mentale all’iniziativa di proteggere e rilanciare i fondamenti della salute del pensiero.

Noi costruiamo modulando l’ingresso della luce negli interni delle nostre case, raddoppiando o sfumando i movimenti del sole.

E l’umanità ricrea le aperture grandi delle grotte e le fessure tra i massi di protezione degli ingressi.

Lo specifico umano che si esprime prima del sonno e prima del sesso -essenziali per la vita del pensiero-difende l’architetto che disegna la pianta delle case.

Poi dal disegno sul foglio esse si innalzano come un grido sotto la spinta del lavoro sapiente dei muratori e dei falegnami.

E su di noi ricade l’ombra protettiva: la grazia inattesa che modera il potere distruttivo della natura divina.

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l’aria sottile della ricerca


Posted By on Mar 6, 2017

Il pensiero rivolto alle cose del mondo riceve la frustrazione di non saper misurare una volta per tutte nessuna cosa. Un abbraccio non è mai uguale ai precedenti perché nessun abbraccio consente di sapere come si deve replicarlo per averne uno di identica appassionata tenerezza. Da questa tensione -incredula dei propri fallimenti di duplicazione- origina la matematica. Che soffre in eterno di non trovare una prova finale della propria appropriatezza. Lei, nata quasi divina, non è capace di liberarsi per sempre delle cose. Perché le cose hanno natura discreta e continua. E sebbene la realtà sia indiscutibilmente piena di fascino essa rimane intrinsecamente contraddittoria. Il numero e le cose si rispecchiano ma non si corrispondono definitivamente. Così a volte la matematica pare reale e le cose simulacri del numero. Ma poi, se si vuole scomporre ogni forma discreta dividendola progressivamente, si ottengono infiniti tratti componenti: che vuol dire che la scomposizione richiede una durata imprevedibile. Il pensiero si arresta perplesso del suo ininterrotto svolgersi all’interno di sé. Sono incantesimi fiabeschi. Come se l’imperfezione di ogni misurazione dipendesse non dal deficit di uno strumento ma dal non essere mai capaci di disporre a piacimento del tempo necessario ad una corretta nostra applicazione ad ogni cosa. Perché il tempo è ovunque ed è dunque un componente della natura di tutto ciò che è in natura. Essendo noi composti anche di tempo non possiamo distinguere il battito del cuore dal fremito e dalle vibrazioni di fibrille del tempo che vive in ogni cosa di cui cerchiamo di conoscere il valore. Così va che per gemellaggio e partecipazione qualcosa si perde librandosi in aria. La delusione di una mancata corrispondenza definitiva ed esatta tra la domanda e l’oggetto fa l’aria sottile della ricerca.

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Il disumano dell’uomo dà angoscia perché non è regressione all’animale. Ma a qualcosa di diverso. Mai visto. Mai voluto cercare. Attraverso l’alterazione della pazzia si intravede la specifica forma del pensiero umano. Dopo la rabbia e l’odio ci sono la stupidità la demenza e in ultimo il divenire banale ragioneria. Non sono cose animali. Sono cose vicine alla realtà inanimata delle pietre e dei gas. La regressione all’animale pretende il giudice e la prigione. Ma il manicomio ospitava anche uomini come pietre e donne ridotte a vapore e adolescenti come pozze stagnanti e adulti come liane e radici.

Specifiche biologiche ci hanno evoluti capaci di portare le funzioni di particolari organi alla forma di pensiero che trasforma le cose in affetti, mentre un’altra forma di pensiero sa volere le azioni pratiche sulle cose per estrarne le idee che, nelle nuove stanze del pensiero umano, esse continuano a alimentare.

Noi si fanno sintesi senza coscienza di fatica e senza coscienza delle sintesi che oscurano la fatica medesima. Ci sono pensieri leggeri privi di consapevolezza del loro accadere. C’è un io della nascita a soggetto della levità fondante l’io adulto cosciente che si arrampica sulle volute della vigna mastodontica degli amori e della storia dell’uomo.

E rifletto vegliando su pochi pensieri di stamani e mi acquieto subito perché mi è familiare la siepe della biologia dove nasce il pensiero di tutte le forme. Quando il pensiero nasce fonda la sua inconoscibilità.

Ho scoperto che quando pretendo di osservare dove nasce il pensiero che pretende di osservare la propria genesi io non trovo che te. Io cercando chiedo e desidero la tua comprensione silenziosa.

L’origine del pensiero è in me quando mi addormento sull’intelligenza del tuo silenzioso sopportare la mia ricerca senza fine.

Ho concluso per adesso soltanto che un annullamento dell’amore possibile è il pensiero che trova, prima dell’uomo, non l’animale ma soltanto la biologia opaca ed ottusa. Questa forma naturale non animale cui possiamo spaventosamente regredire noi è la forma specificamente umana del disumano: la creatività inutile di una realtà inesistente. Il fare quello che prima dell’uomo non c’era: la pazzia.

Forse riuscirai ad amarmi subito ora, ad un primo sguardo. O sarei perduto.

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Frontespizio del Dragmaticon. In alto: la Filosofia a colloquio con Platone; in basso: Goffredo V d'Angiò con Guglielmo di Conches. Biblioteca della Fondazione Martin Bodmer

Frontespizio del Dragmaticon. In alto: la Filosofia a colloquio con Platone; in basso: Goffredo V d’Angiò con Guglielmo di Conches. Biblioteca della Fondazione Martin Bodmer

Non dirò niente di quello che capisco via via in più. Non ti tormenterò con la pretesa che tu debba condividere tutto con me. Mi sono innamorato di te allora. Ora delle nostre differenze.

Ma da quella parte in cui gli elementi erano presenti in eguale quantità è stato formato il corpo umano ed è proprio ciò che dice la sacra scrittura: <dio fece l’uomo col fango della terra>. Ma siccome ciò che è più vicino al composto di parti uguali è, seppure in minor misura, abbastanza proporzionato, è verosimile che il corpo della donna sia stato formato con del fango che era lì vicino e perciò non è né perfettamente uguale all’uomo né del tutto diversa né così equilibrata come l’uomo: poiché la più calda è più fredda dell’uomo più freddo, e ciò si legge nella pagina divina che dice aver dio fatto la donna <dal fianco di Adamo>. Non si deve infatti credere alla lettera della Bibbia cioè che dio abbia tolto una costola al primo uomo.” Da ‘De Philosophia Mundi’ di Guglielmo di Conches (1080/1154 circa)

E la donna è rimasta sempre vicina per una separazione che la prossimità misura e che l’amore non annulla. Così con l’amore terreno tra donna e uomo onoriamo dio ringraziandolo per l’errore fatale di essere soggiaciuto alla casualità nella creazione dei due generi maschile e femminile. Grazie alla natura assegnataci da dio, che non riuscì ad evitare la natura come lui l’aveva creata, possiamo mantenere sempre l’appassionata tendenza a restare insieme perché mai saremo uguali. Ci cerchiamo e cerchiamo luoghi appartati e intimi dove stringerci: tanto l’uno non potrà mai più perdersi nell’altro. L’amore egoistico per la nostra casuale unicità ha fatto tutto questo possibile. Avere a cuore i nostri cuori singolari, amare i contorni delle cose, mettere in poesia resiliente la netta rivendicazione della differenza che ci fa essere in due.

Il tempo insieme è ciò di cui non si può parlare. L’umano sentimento è il discorso intimo e nomade lungo i confini di una irriducibilità. Il pensiero preverbale resterà sempre indicibile. Ed io ho bisogno di te perché penso che sia in te, che sei di natura tanto diversa da me, quel mio pensiero. E questo voglio dire quando dico che ti amo. Che tu sei il corpo evidente di pensieri miei che si sottraggono ad una narrazione. Ma restano. Non tradiscono mai la presenza con l’assenza.

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people

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Se questo è un uomo chiedeva Primo Levi per inquietare al pensiero del nazismo che determinò condizioni concentrazionarie disumane.

Approfondisco: come fu che i nazisti restarono nazisti per tutta la loro vita, mentre nessuno di coloro che fu scampato ai campi divenne mai altro che uno scampato?

(*)Il nazista progettò e costruì il campo di concentramento: in un esperimento di riduzione degli esseri umani alla radice di enti biologici. Purtuttavia il campo di concentramento non ricreò in nessuno di essi l’uomo nazista che la società prussiana aveva saputo creare.

La banalità del male d’essere di quel nazismo, quel male ‘assoluto‘ (sciolto da tutto, impredicabile imperdonabile e inconcepibile) era dunque dell’uomo divenuto nazista. Era cultura.

Ma non fu mai dell’uomo vittima del nazismo, riportato dal nazismo alla sua essenza, al regresso di pelle ed ossa, di inariditi gangli neuronali: dunque non era ‘natura.

L’uomo nei ‘campi’, sottoposto alla banalità del male, non avrebbe incontrato mai in se stesso la medesima banalità: trovarono, i liberatori, lo smarrimento dei corpi, la perplessità propria della mente biologica, l’apatia dell’organico, un metabolismo minimo che tendeva a zero sulle ossa e sui teschi del viso: mentre loro entravano, più morti che vivi, coi loro fucili inutili contro il degrado termico del calore che fuggiva via dai corpi alto, come fa l’anima, in cielo.

Bruciavano vivi gli internati, scaldavano, freddi, l’aria fredda intorno: generosamente partecipavano nudi al metabolismo del mondo: biologia, geologia, meteorologia. Ma resistevano: nessun nazismo in loro: il tragico dei loro cori di corpi d’osso e sassi si opponeva alla banalità della fuga degli aguzzini e del trionfo dei vincitori.

Non altro fu reperito. Non il peggio: quello, il nazismo, stava già nascondendosi, per restare banalmente identico a se stesso in eterno. Ancora è presente e imperante, democraticamente uguale, culturalmente mimetizzato, al potere: comunque.

È consequenzialmente fascismo desumere che sia nazista il fondo naturale della specie umana. Al contrario: si deve ipotizzare che il nazismo nasca e si sviluppi dentro una cultura che pretende la riduzione dell’uomo a una tra le tante specie animali, con loro evoluta, ma da loro mai distinta una volta per tutti: dopo una mutazione vantaggiosa.

Ci sarebbe dunque ancora la permanenza dell’animale: ma non è cane l’uomo asservito nel lager. E allora c’è invece, ma è cultura, l’insorgenza dell’assolutismo dispotico, l’opposto del cane, la purezza divina dello spirito.

Il fascismo attuale non è dunque una visione ‘politica’. È la politica di una ‘visione’. La visione che dice che alla radice dell’uomo c’è la banalità che è il suo massimo male e il suo originario vitigno.

È un falso ma una tale visione ha attecchito ed è la visione propria del potere.

Di conseguenza la politica è una pedagogia applicata a generazioni di persone che le inclina alla verità del giudizio che deriva dai fatti osservati. “È il necessario indispensabile realismo della politica, santo cielo!” Ma i fatti osservati ci riportano evidenze contrarie.(*)

Può capitare che la cultura diventi natura. Che il dio voglia annientare l’animale. Non è uomo contro l’uomo, come lupi. È io sono dio e tu sei un cane. Ma l’uomo/animale e l’uomo/dio restano due banalità cause di un ritardo e di un arresto della conoscenza su cosa un uomo sia e possa essere.

Resta la certezza della necessità di continuare la ricerca sulla natura umana della specie.

Il potere è poter imporre sulla natura umana una verità che lo sostenga. L’impotenza del potere è sapere che non sarà possibile in eterno.

(*) nota: gli asterischi legano i due paragrafi tra loro.

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