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operaprIma: mare e pensiero


Posted By on Set 6, 2015

operaprima

operaprima

Ultimo mare. Primo pensiero. Cucivo o, forse meglio, tessevo le lodi di un possibile superamento. Poiché nulla c’è più terribile delle separazioni, dei salti altissimi dopo che si ricade non si sa su cosa, e dei salti lunghi che ci spingono a scivolare sulla schiena fino alle radici nascoste che fermano la corsa. Scrivevo, come ogni volta, le impressioni del mattino, della sera, e specialmente delle ore centrali: che, per esprimersi, sono le migliori: quelle che al contrario sono del tutto inadatte a scattare istantanee. Qualcuno penserà ad un amore da raccontare. Ma non è questo il caso. A queste spiagge l’amore non ci vuole però ci costringe, questo compagno ribelle e ossessivo nella sua mancanza, a dire. A rivelare. E a non tacere. Ultimo giorno ufficiale di sole sulla spiaggia. Respiri fondi come profondità atlantiche. Ultimi respiri fondi. Fondi di caffè al centro dell’iride verde dei tuoi occhi. Carretti dei gelati sono moderni carri armati di guerra all’afa. Ma la brezza è trasparente oggi. Ultimo mare senza soffocamento. Quando l’assassino si pente e distoglie gli occhi dal volto della vittima e voltandosi va via e lascia la presa alla gola e la vita è salva e respira. Primo pensiero l’amore.

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sono oramai quattro anni


Posted By on Set 7, 2014

La ricerca di base determina su certuni una attrazione. Come loro si dispongono seduti in una prima fila accanto alle pareti, e poi in una seconda fila attorno al cuore dei significati impliciti dell’essere insieme in questa stanza di psichiatra, io adesso traccio parole dal centro del foglio ai suoi margini. Non sono molte le cose che voglio scrivere nel disegno. Voglio scrivere e disegnare di un cuore nero. Così ho disegnato e scritto un cuore nero.

Perché toccare o avvicinarsi alle realtà di cose di natura pericolosa? Perché posso farlo senza rischi ora che metto insieme il ’76 da che venni in rapporto con la scoperta e la prassi relative a IDMEC e il suo autore (e sono 38 anni) e il 2010 (precisamente il 20 settembre) e sono quattro anni. Da trentotto anni la manipolazione di concetti diagnostici -nati nella teoresi freudiana che era la forma culturale della Cattedra della Clinica delle Malattie Nervose e Mentali dell’Università degli Studi di Siena- deve costantemente sviluppare le necessarie distinzioni terminologiche e le ancora più indispensabili chiarificazioni inconsce per arrivare dall’istinto di morte tutt’ora in auge, alla conoscenza di possibilità differenti.

Spericolato trentotto anni fa già mi dichiaravo sicuro di conclusioni univoche e coerenti a partire da una certa ‘ipotesi’ assunta come scoperta definitiva. L’potesi conteneva nella trattazione parole come: rifiuto, frustrazione, nascita, vitalità.

Ora scrivo e disegno il cuore nero. È che dal 1976 si è ben disegnato il solco tra fantasia e pulsione. Tra sparizione e annullamento. Non cosciente è, comprensibilmente, l’attivita fisica alla base della funzione del pensiero. Questo voglio dire, nel ripetere di questi ultimi anni. Dire e ripetere che, siccome la realtà mentale ha natura fisica, l’azione fisica non può essere sottoposta alla indagine della coscienza cui essa da origine se non un attimo ‘dopo’.

La coscienza è successiva al proprio accadere. Il non cosciente attuarsi delle variazioni fisiche, che ci regala l’ineffabile senso di noi, inaugura ogni istante l’esistenza del pensiero ed esso non è, alla base, che fenomeno fisico di tempo che costantemente si ama definendolo ‘la nostra vita’. E la nostra vita è senza senso se vuol sapere la propria origine che non saprà ‘mai’, tuttavia, per la fisica potente della propria costante generazione, ha la certezza che  è di per sé origine ‘sempre’.

Accadiamo costantemente a noi stessi: irreparabilmente nella solitudine dello studio e della azione di ricordare, e poi tra le braccia di donne figli compagne e innumerevoli altri partecipanti di società complesse: ed allora il sacrificio della piena coscienza da subito è amore, politica, legge, regole, necessità e partecipazione, compassione, voglia e attesa.

Ma mai la legge della simultaneità (entanglement) quantistica regola alcuna delle vicende della relazione interumana: la natura fisica del pensiero ne renderebbe conoscibile la vicenda dell’attuarsi solo in un universo in cui le masse fossero meno grossolane di quanto invece non siano in rapporto alle filiformi volute del fumo di fotoni e particelle elementari.

Dimesso e gentile il girasole che vorrei essere piega il capo. Le idee sono semi seccati. Tu dunque passa attraverso i filari, mieti, setaccia e fanne olio. La biomassa degli scarti potrebbe restare per gli abbracci. Il discorso, da un punto, si sparge in terra a manciate. Le cose scritte in quattro anni giacciono insieme. Per quel che vedo c’è un contorno curvilineo. Tratti di matita nera all’interno ma anche lungo il margine e fuori. Non ricordo gli attimi della decisione di quattro anni fa in settembre. Non ho tenuto memoria cosciente del giorno e l’ora quando scrissi la parola Operaprima.

Il ricordo torna con la fantasia di riprendere a disegnare parole. Traccia mnesica di quattro anni fa ma anche di trenta e più anni fa. Imparo a leggere e scrivere, aggiunsi, nella descrizione. Poi essa era diventata ‘Pensiero, fisica, realtà, materia’. E poi ‘Origine materiale della vita mentale’. Da poco ho precisato ‘Natura fisica della realtà psichica’.

Forse sto ripetendo, in modi differenti, un impegno che mi ero preso giovanissimo: narrare la vicenda che va dalla pulsione di annullamento alla conoscenza dei fenomeni fantasiosi delle sparizioni. Così finalmente ho disegnato le parole ‘ricerca di base’ sopra il perimetro nero di un cuore infernale. Quello che un tempo faceva terrore oggi sutura i segni grafici che esprimono il lavoro di conoscenza alla base della prassi medica.

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Vuoto numero due, anno numero ventinove di scritture e invii, anno trentasei di silenzi attorno, di assenza di qualsiasi notizia, come dovessi e potessi pensarlo ‘normale’. Resto con quarto e quinto dito della mano sinistra legati insieme, due ami di acciaio, due soldi preziosi, gli aghi d’oro per la perfusione di intelligenza nel canale rachidiano su fino, forse, a ledere lo stupore dell’impossibile da accettare di 29 anni di silenzi. Scrivimi. Rispondimi. Possibile che….? Per questo da subito, nella ricerca in psicoterapia è escluso di misurare il tempo con il succedersi delle ‘lusinghe’. Ed è meglio così. Perché invece capiamo, da certe piccole cose, che al contrario delle lusinghe c’è un brusio diffuso multifocale un fuoco d’artificio nero, un formicolìo per la compressione irritativa di certe radici nervose, è insomma odio che lima i denti e affila le unghie. Adesso è quasi evidente il motivo contro cui si scatena: è la grana fine degli ultimi commenti. Il brusio risonante restava impossibile da rendere cosciente fino a che non ci si è scontrati con le parole sognanti delle ragazze e dei ragazzi che scrivono i commenti confondendo le figure della coscienza e le immagini dei sogni. Impossibile rendere cosciente l’odio finché il frusciare ai timpani non è diventato eccessivo ottimismo, distrazione, caduta e frattura. Perché è chiaro che, in ogni caso… non si cade per caso. Si alternano nella vita pulsione e fantasia. La pulsione inevitabile, la gravità della materia fisica. In mezzo stanno le ‘forze’ che legano energia velocità e massa. La scienza le contiene e riassume nel pensiero intuitivo che forma nella mente la grafia della formula. Gli scienziati, felici delle scoperte, si lasciano andare sotto i telescopi ad amori illuminati dalla frequenze infrarosse nella notte quando gli astronomi misurano lo shift (slittamento) delle stelle che si allontanano. Le lezioni nell’aula universitaria con i disegni delle dimostrazioni. Il volo delle mani in aria. Le mani che si spostano in aria interpretando. “Non stai mai fermo…” diceva a scuola il maestro rivolto all’irrequietezza di alcuni risplendenti di domande e di geniale epilessia perché riconsideravano continuamente la propria postura sul banco. Adesso l’età eccessiva ha placato il corpo ma non la curiosità. Il corpo immobile sulla poltrona si avvale e gioisce delle mani libere. È una traccia che si estende dai sei anni fino a certi giorni di febbre dei quindici anni e traversando il bosco delle pagine e degli odori di ‘lei’… arriva fino a ieri. Avevamo liberi, tra le ore delle lezioni, i dieci minuti per lo studio degli affetti. E banchi forse appena più ergonomici di quelli di sei sette anni prima. La lavagna era, come sempre, uno specchio per osservare tutti gli altri. Il più bravo e la più brava si guardavano perché capivano le cose che il docente avrebbe scritto prima che le scrivesse. Amore era avere il presentimento del gesso che incide il segno sul nero. Io ancora ho di queste intese e dico che è la natura fisica della vita mentale che consente la poetica della biologia cerebrale. Ho restituzioni.

Ne ho più di prima adesso che sono caduto come una luna muta. Non mi ero preoccupato della mano fasciata, pure se so che si deve interpretare una castrazione. Qui l’analisi del controtransfert, accettando che ci sia per forza la verità di una castrazione, dice che è stato anche per non essere riuscito a trasformare in ‘pensiero’ un amore che mi aveva improvvisamente abbandonato. Lasciandomi muto e immobile. Il gruppo, sognando e facendo associazioni, dice che io dunque, cadendo, ho ricreato nell’impatto soffocato sul catrame della strada, concentrandolo in un attimo, (avevo infatti consigliato la lettura de “L’Infinito Istante” …) un certo periodo di tempo ottuso sordo come l’ira muta che mi era presa, impedendo con l’annullamento il pensiero, prima di diventare altro ma non più un nulla, e infatti adesso questo ‘quasi’ nulla emerge dal senza coscienza come una lavagna nera con la bianca ed elegante scrittura del maestro. Infatti scrivevo in ogni caso il blog ‘come non fosse successo niente’.

Ma che qualcosa era successo si capiva perché non disegnavo più: forse per dire della ferita dell’assenza. È stato il tempo, che è pensiero, che ha guarito in ogni caso la malattia aggredendo, con la vitalità dei secondi del lavoro non interrotto, il sangue annullato. Ho ricreato le corride e il sangue nella sabbia. Sono caduto travolto da un toro nero che…. non c’era! :)). E d’altra parte non si chiamava “Imparo a leggere e a scrivere” Operaprima” anni fa? Il maestro elementare era già un’ombra nel pensiero non cosciente. Il maestro, lo zio, il muratore, l’antico analista, erano lungo la via che porta fuori dall’identificazione. Purtroppo si sa che non può ancora essere il fratello: che ancora io sto cercando. Ma seppure da anni neanche una telefonata, la fantasia che nasconde le cose senza annullarle, faceva parlare di erotismo. Sulla poltrona un movimento accennato mentre, il corpo immobile, restano le mani libere.

Così si cade, mettendo avanti le mani per difendere il volto. Non si difende, con le mani in avanti durante la caduta, la razionalità del pensiero. Le mani si protendono, come i razzi forti che spingeranno poi in cielo l’astronave, a difendere il fascino irrazionale del volto, le sue linee, il disegno della fisionomia. Come quando ‘lei’ dice certe cose che incidono sulle linee dell’espressione. Quando ‘lei’ è la prima e l’ultima cosa che si ricorda. Nasceva, nella tristezza dell’assenza, la possibilità di ripensare il sesso come una fisiologia, una normalità, una calma e soprattutto una ipotesi di respiro non oppresso. Ma di questo non so dire molto.

Improvvisi, i commenti: appena avevo scritto le poche cose della medicina che cura, della disavventura che ride. Poi la gioia ritrovata del cuore rosso trafitto dalla freccia di Amore, segno evidente  chirurgia erotica sotto le fasce bianche.

Oggi mi hanno raccontato “….c’era una volta un fratello che aveva deciso di regalare al fratello la cosa più cara purché restasse per sempre fuori dalla portata della sua invidia”. Non ho la coscienza del motivo per cui il brusio diventa fragore. Io ho sempre mostrato la bellezza degli altri, del maestro, dello zio, del muratore, dell’antico analista e questa volta ho raccontato della bravura di un medico differente da me. Ma chi è il fratello lontano che mi ha affidato la cosa più bella in cambio del mio isolamento ‘impossibile’?

Torno alla ricerca: avevo scritto dell’altro chirurgo degli occhi. Oggi forse se ho raccontato per la seconda volta di un medico altrettanto bravo penso che continuo a cercare, con la mano ferita come un ramo nero torto al cielo sulla tundra, l’aria leggera trasparente degli occhi di un fratello che mi è sempre mancato. Uno che posso fantasticare che è venuto al mondo per insegnarmi ad essere paziente nella disposizione all’intervento. Non ricordo come fu che una volta avevo appreso ad essere paziente nella disposizione allo studio. Il blog dove respira la scrittura è memoria non cosciente della poesia del rapporto. Riassumendo con serietà di scolaro scrivevo, ieri, “Transfert. Contro transfert”. Come una poesia, oramai. Non importa se il brusio di una reazione di odio da fuori aumenta.

Infine Simone devo ringraziare che mi ha regalato una possibilità di definirmi. Lui sa forse che la ricerca ci espone alla nostra somiglianza struggente con differenze implacabili. Con la disabilità. Mi prendo il lusso, ringraziandolo, di dirgli che si, la ricerca è se si sa distinguere l’affetto nella frustrazione, trascurando così il peso delle parole che a volte, nell’ansia di rispondere, non si trovano, e ne vengono su certe non del tutto esatte, ancora sporche di catrame e terriccio.

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