Posts Tagged "rivoluzione"


nascita, sonno, rivoluzioni


Posted By on Apr 2, 2017

Una rivoluzione non si è mai vista, perché una rivoluzione non finisce. Per sua natura si estende e si estende, ma poi finire vorrebbe dire quieto ritorno e reazione. Per questo, delle rivoluzioni, si colgono gli albori: poi solo un delta frastagliato di evenienze politico/sociali, che paiono solo quel che sono: uno svanire e la risacca e conchiglie ai nostri piedi. Rivoluzione simultanea di volo e nostalgia del volo, di vita dell’uomo e percezione del mondo fuori dall’uomo. Nei racconti, al calduccio dei focolari e sui solai di macerie tra sopravvissuti, molto dopo, la fantasia -prima delle cronache storiografiche- ricrea il tessuto temporale nelle veglie di racconti. Ritornano, con la voce, il rosso, il sangue, la bandiera. L’eroe, il fumo delle palle contro i palazzi del tiranno, l’ansia di giustizia. Certe parole forti paiono idee innate nell’essere umano, tendenza e capacità di immaginare: cioè tenere insieme molte cose differenti nell’astrazione in numeri suoni e parole. Suoni e note, segni parole e scrittura.

Posso intuire che rivoluzione è un’idea  innata che corrisponde alla nascita dell’io inconscio dell’essere umano che non sa rappresentare la propria fine. La nascita del pensiero umano alla nascita non ha l’angoscia di morte. Molto semplicemente, ad una osservazione clinica di trent’anni, posso ipotizzare che una rivoluzione sia quasi immediatamente, fiduciosa certezza del sonno.

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dalla coscienza all’inconscio


Posted By on Mar 21, 2017

Un parere in merito a noi. Analisi della relazione. Dolcezza: il più, si sa, non sappiamo di saperlo. Perciò se ti viene la dipendenza del giorno dedicato a me, forse non sai che mi ami. Meglio che non lo sai. Meglio che rimanga sotto la superficie. Sublime dicono con enfasi. Io mi tengo l’enfatica leggerezza di un’allegria senza motivo. Come un ebete muoversi. Mi chiedo cosa sia che non so di sapere: il sapere che mi tiene allegro tenacemente. Sono un aeroplano che galleggia sull’aria voluminosa del cielo di primavera. Analisi della relazione: dimentica! Lascia andare la strada e il corrimano della scala. Dimentica il buio e l’azzurro. Voliamo sulle ali incrociate delle incognite: X. Certe cose inconsce non hanno suoni per questo non diventano linguaggio verbale cosciente: appartengono alla nostra consapevolezza però non vanno a comporre alcuna parola e allora sono le sere ristoratrici sul divano delle discoteche con donne tutte disponibilità traboccante, tutte offerte rigorosamente ascetiche, tutte magrezze in respiri da sera esili e trasparenti. Analisi della relazione: psicoterapia in gruppo una escursione tra tartarughe e gigli di mare. Cose vietate, specie protette. Inconscio, regressione, bellezze mai viste, il bello dell’inconcluso, la gioia di un agire disinteressato, la fatica facile finale seminatrice di spiccioli. Analisi della relazione di psicoterapia in gruppo: siamo quasi uguali dopo trenta anni: ti chiedo di essere responsabile anche tu. Se l’amore, questo amore, non vuole essere dipendenza, tu devi trovare un modo di fartene responsabile. Come se noi si potesse scegliere di amarci alla faccia dei dubbiosi. Vedi bene che conosci i ricatti della filosofia. Dici che sarebbe ammissibile se non fosse che tutto era cominciato come cura e allora sarai sempre vittima dell’inizio sbagliato e sempre non potremmo che sbagliare se ci amassimo. La filosofia non ammette la trasformazione. Come sarà possibile allora la rivoluzione? Non possiamo lasciarla in mano ai genetisti come una tra le cose evolutive. Evoluzione e rivoluzione. Cerchi nella scienza una legittimità per la dipendenza che è diventata amore. Io temo che sia il ricatto indecente della filosofia che non ammette la trasformazione. La filosofia, che aveva soppiantato la tragedia di uomini che furono senza volontà e dunque erano pieni di dolore senza colpa, è diventata la tragedia dell’impossibilità di passare dalla coscienza all’inconscio senza impazzire.

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“una dipendenza vantaggiosa”

Come si sceglie una città, mi hai chiesto. Io non avevo pensato che si scegliesse una città. Che ci si trovasse per vari ragionevoli motivi in una certa città. Che al massimo poi le città sono ospitali o meno. Poi invece, mi fai pensare, che non sempre noi scegliamo quello che diciamo di scegliere. E che, in particolare relativamente a questa mia città, devo risponderti che forse è la città che mi ha scelto, ha vinto su tutte le cose che mi sono accadute e mi ha tenuto.

Io so che causa della luce vigente qua ho vissuto come un ragazzino in incosciente svogliatezza tra grattacieli ogni mio giorno. La luce, per quello che mi riguarda, a posteriori ora che ci penso, arrivava dall’alto sui tavolini dove ondeggiavano ogni volta le tazze di caffè la mattina e sui torrenti urbani. Tu sei consapevole che non ci sono grattacieli nella città ma c’è una luce che cade dopo aver sfiorato le dita di questi altissimi palazzi solo apparentemente assenti -che io so benissimo immaginare- e questi raggi di luce si aggirano tra le mie dita, rimbalzano sulla superficie dei tavolini, e si acquietano dentro i cerchi neri fumanti del caffè.

Così mi ha scelto tenuto e sposato a sé la città dove vivo, e non solo lei non ne vale un’altra qualsiasi, ma vale, senza che me ne renda conto, più di tutte e, più che impossibile, lasciarla sarebbe controproducente. Perderei i grattacieli e la luce e la chimica delle immersioni dei fotoni nei laghi scuri di caffeina che hanno composto e strutturato e ideato la mia identità di persona. Sono, qua, straordinariamente mondano: fuori dai monasteri della ripetizione per fumi leggeri e variazioni di umidità e voci tra il cielo e i mattoni tiepidi del 1400 che compongono le mura che traverso passando sotto un arco grande giorno dopo giorno.

Certi amori ritenuti dipendenze sono forse, mi domando, addirittura favorevoli e vantaggiosi?

Bisogna comunque riflettere bene prima di lasciarci andare a conclusioni di conformità con lo snobismo anticonformista: che in ogni tempo varia secondo quanto preme sul cuore dei maestri culturali.

Qualunque sia la nostra città bisogna aspirare nebbie e profumi, carezzare marmi e fòrmica dei tavolini dei ristoranti all’aperto, ascoltare il pianto a dirotto dei violini dei viandanti quasi morenti di fame, e confrontarlo con l’umanità dell’empatia armonica che ci fa cogliere quanto sia facile la commozione, la vicinanza con i sentimenti di altri occasionalmente affiancatici dal destino. Loro ritti piegati sull’archetto e noi falsamente sicuri su precarie seggiole alle quali affidiamo la nostra impareggiabile solitudine di ogni mattina.

Le cause dei turbamenti dei musicisti di ventura sono differenti da quanto tuttavia agita anche noi e ugualmente ci muove alle stesse opposte  e in noi coesistenti idee di pietà e rivoluzione.

Uguali disposizioni abbiamo a inevitabili rivoluzioni future. Differenti sono le valutazioni se sia tra poco o molto lontana la necessità di cominciare a prepararsi. Ma i suoni e le luci parlano chiaro: non resterà mai niente per sempre uguale. E giriamo delicatamente al fondo del vulcano di ceramica bianca i grani di zuccheri esplosivi che per adesso restano dolcezza del mattino.

Ogni cosa che non scegliamo, di fatto, vale più di ogni altra: e in certi angoli di giardino spogli d’alberi o densi di volumi in alveari di biblioteche di qualsiasi città, la vita rivela la sua nota di occasionalità, la propria ineliminabile frangia di aleatorietà per via dei movimenti delle persone i cui moventi sono l’amore per il calore delle cose buone e la necessità ardua delle cose particolarmente belle.

Passeggio da anni con dannata trascuratezza sulle foglie e sulle gocce che inondano l’asfalto delle fasi climatiche di questi luoghi mentre il pensiero pare fluire senza ostacoli. La miscela d’aria però innesca fluttuazioni chimiche cerebrali e muscolari ignote alle possibilità attuali delle pretese di monitoraggio obbiettivo. Sono dunque libero? Non saprei.

Continuo a cercare la soluzione negli occhi dei miei vicini e però, poi, loro mi risultano comunque inevitabilmente occasionali: per il fatto che il tempo attraversa ciascuno di noi in modi differenti. Allora affondo i sensi nel presente dei loro occhi e della loro pelle e affondo le narici nel profumo del bavero delle loro giacche e mi perdo nel timbro variabile delle note del loro linguaggio e così senza parere vivo come un segugio o un insetto leggero con antenne delicate e gesti forti che indugia su questi ospiti nella casa che immagino sia la mia vita.

Mai quasi nessuno nota questo fatto d’amore. Perché, intanto che mi sposto sicuro lungo l’albero della mia silenziosa indagine, non so come, esercito un’azione di ritirata in me ad ogni successivo sentire. Non che ritorni a un minor sentire, ma mi faccio ogni volta più leggero per quello che decifro e così mi libro vibrando le ali e così nuovamente discosto non so mai se qualcuno dei miei pensieri, qualche fluttuante frangia delle propaggini del volo che tendeva verso di loro e che poi si è alzato via da loro, sia arrivata fino alla soglie della loro percezione e abbia cambiato qualcosa nei loro pensieri.

La luce dei grattacieli di cui abbiamo accertato l’esistenza (indispensabile) riprende sempre il sopravvento e torno sui miei passi, dove poi risiedo per immaginare ancora possibile un nuovo sole. È allora che capisco quanto poco conti che tipo di città sia la mia città. Architetto percorsi differenti ogni volta. È in questa deriva che sono libero.

 Almeno fino a che qualcuno mi fermerà e mi impedirà di perdermi tra sconosciuti. Anche in una piccola città sono milioni le espressioni che incontro e nessuno può dire cosa sarà domani.

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passione e rivoluzione


Posted By on Giu 12, 2015

Il deserto inghiotte cielo luce suoni orme sudore. Rimbalzano le zampe gommose dei cammelli e feriscono la superficie come coltelli i bastoni dei beduini trascicati per vezzo non avendo nessun’altra funzione. Là si fissò un’attenzione concentrica, una perplessa altalena di domande, l’uomo di legni secchi che caccia via gli spiriti è come uno zampillo nero e una trovata macabra ed è simultaneamente ‘centro’ di quel mondo. L’io adulto. La carta della “Fontana” nel mezzo di un mazzo di carte divinatorie.

È andata così: prima trent’anni di lavoro di gruppo. Poi gli ultimi cinque anni dei trenta durante i quali si è realizzata la ricerca su linguaggio e disegni. Infine le ultime ventotto settimane di trentaquattro di una gravidanza che si è occasionalmente svolta in nostra compagnia e che la ragazza porterà a termine a settembre alla ripresa del lavoro collettivo dopo le settimane della separazione estiva.

Bisogna comprendere che non sia, questo numerare, un conto di ragioneria: la matematica è immagine irrazionale. Quei numeri non sono schegge della scatola del tempo. Sono olivi e donne, guerrieri e grano, ombre e rose, vino e sere, nuvole e  mali, ferite guarite e lesioni fatali, morti o soltanto accidenti, terra nera e però narrata in romanzi vincitori di ambìti riconoscimenti, mani di un operaio e industrie di creazioni.

Nel contare trent’anni, nel toglierne cinque, nell’aggiungere alle divisioni dell’anno i cicli lunari di poco più di trenta settimane, la matematica unisce la vicenda di una gravidanza al destino di un’intera nazione.

Si offre nudo all’invidia il calcolo storico. In soccorso vengono le parole della coscienza che afferma:

“La rivoluzione annuale della terra, nella psicoterapia di gruppo, si è indissolubilimente legata alla passione mensile della luna”.

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