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Quando siamo finalmente ciò che avremmo potuto essere, quello che avremmo potuto essere non c’è più.

Quando ciò che avremmo potuto essere è ciò che siamo diciamo che porre la condizione era una negazione.

Ponemmo una condizione che non aveva senso vista da qua. Qua è uno spazio/tempo. È adesso. È più tempo che spazio.

È soprattutto tempo perché ciò che siamo non dipende da un luogo.

Noi siamo un formicolare scintillante di gocce di pioggia, una condizione atmosferica mentale e insieme, dentro quella scenografia metereologica che siamo, noi siamo anche quelli che cantano sotto la pioggia alla musica di una famosa canzone.

Il pensiero mentre danziamo è certezza di noi e lieve trascuratezza del dove.

Questo essere sfuggiti alle condizioni di non essere -che resta implicito nel porre condizioni ad una buona riuscita- amplifica, nello spazio/tempo, la frazione legata alla fisica delle durate, e riduce il sentimento delle estensioni.

Lo spazio/tempo in cui adesso siamo è presenza, il mondo è ovunque luminoso, ben visibile grazie alla pioggia di fotoni della consapevolezza della nostra attuale identità.

Una manna siamo noi cosparsi del miele d’essere sfuggiti al sospetto del nostro fallimento: siamo irrigazione celeste sulla sete degli esuli.

Certe soluzioni hanno il potere di fascinazione proprio di storie bibliche. Le storie bibliche, d’altra parte, riflettono bene i flutti di ogni singola anima.

Non è infatti vero che tutti noi siamo, e ciascuno a suo modo, esseri solitari e dispersi nelle desolazioni di ogni attraversamento?

Negli attraversamenti, tutti lo hanno sperimentato, c’è un mare di pensieri di ciascuno che evapora in sfoglie di nuvole piane, inavvertitamente.

Il cielo sopra i sentieri ci attrae per la sua capacità di contenere tutto il volume di umanità che si agita sulla sfera della terra.

Per questa capienza globale il cielo, cui guardo oggi con riconoscenza, non è consolazione.

Cerco, volgendomi in alto. Torno ragazzino. Il cielo è il mio regalo. Sono uno che anela alle vette bionde di grano e nere di olive come i capelli di re del giovane padre.

Posso comprendere il suo linguaggio?

Nel 1977 lessi la locuzione “Inconscio Mare Calmo”. L’ho portata fino a qua. Ora sono quello che allora speravo avrebbe potuto capire.

Adesso che ho smesso di volere capire oggettivamente il significato di quella frase sono finalmente quello che sono.

Ho smesso di aspettare il realizzarsi di una condizione e mi sono tuffato nel mare del tempo trovando in questo volume la densità dell’incerto amare.

Ora spazio e tempo si sono legati come inconscio/mare/calmo. Suggerendomi che il linguaggio potrebbe comporsi in forme di terapia per scomporre la tela dolorosa della pazzia e strappare il sudario dell’angoscia psicotica.

Tento di fare un primo passo, un movimento per uscire dalla disperazione implicita nel linguaggio corrente della letteratura della scienza e dell’arte. Che restano -disperati- nella fiducia che porre condizioni sia una garanzia di modestia.

So che l’esitazione giudiziosa di un dubbio è solo il nostro terrore di gettarsi a capofitto nell’amore.

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credenza del paradiso


Posted By on Lug 15, 2017

A quel tempo capitò che tu ti distraessi quel tanto da non rispondere al mio richiamo ripetutamente. Distrazioni trascurabili dalla coscienza. Nella mia mente si generò tuttavia il pensiero corrispondente a “Non tornerà più”.

L’evenienza di una tua irrimediabile sparizione fu alla base dell’idea di eternità: non era solo dolore, ma terrore metafisico di cadere in versanti desolati di tempi privi di narrazioni.

Durate congelate se non poteva più accadere l’amore tra noi. La trasparenza del gelo che non può più sciogliersi ha la consistenza del pensiero metafisico.

La Sparizione di Te come fenomeno contingente si mutò in dio come Eterna Assenza e Estensione Infinita.

La prospettiva di un tempo eternamente inutile causò lo sfondamento delle pareti di un mondo la cui tessitura era composta dagli intrecci d’amore con te.

La sparizione dell’oggetto, se ipotizzata eterna, toglie ogni finitezza al mondo fisico. La sensazione angosciosa della fine di un amore può esitare in un risentimento più profondo del pensiero di una perdita.

Si può pensare esistente l’eternità impossibile. Si può pensare esistente l’irrealtà del nulla. Dio eterno ed immutabile sbriciola la consistenza delle pareti della nostra casa cosmica. Dio disgrega la contingente integrità del pensiero soggettivo.

Le distrazioni ripetute d’amore sono piccole cose per le quali la legislazione non ha criteri sanzionatori. Ma, in amore, di modeste variazioni ci si nutre. I dati sensoriali sono oscillazioni del campo delle forze in gioco tra innamorati.

Si raggruppano in schemi funzionali corrispondenti all’assenza e alla presenza: in un essere per sempre o in un non essere più.

Distrazioni troppo spesso ripetute fanno supporre esistente l’eterna assenza. Ai confini del giorno breve ci minaccia l’infinità del tempi dove niente accade.

La sparizione di lei che girava la manovella del mondo ci consegna a dio. Per pagare il debito della sua umana distrazione ci obblighiamo alla credenza del paradiso.

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ascolto e generazione


Posted By on Lug 9, 2017

Nessuna relazione funziona se non ci si ascolta. Detto questo non è possibile definire, o completare l’espressione, della parola ascoltare. Un discorso impetuoso si genera riguardo a quella posizione di uno che non compie nessuna azione verso l’esterno. Tanto più impetuoso ascolta chi svela esclusivamente attraverso una ferma postura il moto del mare pensieroso a me rivolto. In quei frangenti ritrovo le passeggiate senza fine sulla costa, lo sguardo obliquo tra l’orizzonte e la spiaggia a nord ovest, tra la mia casa e il futuro, che non si raggiungerà mai.

Solo chi ascolta genera la nostalgia di un domani possibile. Anche ora -con la tovaglia di lino della vita appena increspata sugli angoli del tavolo a indicare i futuri inevitabili precipizi- anche adesso chi ascolta determina in me un benessere per cui smetto di contare e misuro -quel tempo e quella costituzione materiale di donna che mi ‘mancano’- secondo la fisica della natura reciproca degli elementi componenti la realtà del pensiero.

Lo spazio dove mi trovo a vivere è il presente che delimita il tempo necessario a percorrerlo e pensare è una piazza da coprire di passi.

Si leva da questa piazza dove cammino il filo ritorto di parole che traversano il mare.

Tu sei in me pensata che mi ascolti. La biologia del mio pensiero pensa te biologia generosa che tutto permette delle mie invenzioni.

Questi rimandi nella relazione sono rami arcuati di una capanna dove riposo filtrando appena la luce e il buio subito oltre me.

 

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corvè


Posted By on Mag 6, 2017

“Quadri d’Ombra”

Ha aperto le braccia, ha riversato il viso al cielo, ha chiuso gli occhi e ha aspettato l’abbraccio alla conclusione della corsa di lui che velocemente veniva traversando deserti.

Le braccia alzate sono tutte le occasioni di rapporto quando aveva lasciato aperto il discorso. Aperto su una frase ulteriore che aveva sperato -illudendosi- sarebbe stata segno di  coraggio di procedere senza porre l’accento sulla fine.

Disegnare figure fu il lusso di proporre il corpo per accontentare le voglie di agio e di scontro implicite nel desiderio e nel lavoro.

Ero più giovane di venti anni e disegnavo il calore smaltato della biologia tra desiderio sessuale e artifici del linguaggio: linguaggio verbale cosciente e biologia del desiderio furono le braccia alzate. Lei ero io che andavo a prendermi lo spicchio di cielo cui aspiravo.

Di allora restano sulla retina le figure delle due stampe oramai ben fissate su pareti affacciate a destra e sinistra della poltrona dalla quale esercito il mio lavoro.

Da Est a Ovest, o da Nord a Sud: il disegno è il mondo intero a partire da un punto del tempo.

Mondo a matita su un foglio bianco. Mondo su un foglio sulle mie ginocchia. Mondo/disegno: esigenza di esprimere non si sa che.

La figura contiene un’idea inconscia relativa al mio lavoro di medico attraverso la massa del tempo collettivo. Ha qualcosa del contesto socioculturale degli ultimi decenni.

Sognavo ad occhi aperti l’ombra della sera. Cominciai l’esecuzione, il più possibile esatta, attraverso l’azione muscolare della mano che limpida, quasi trasparente, disegnava ombre e luci.

Un pensiero agiva sulla figura facendole aprire le braccia, animandola, piegando il suo viso verso l’alto. Era un’idea inconsapevole e invisibile. Evidente la forza che muoveva la mano secondo intenzioni su per giù artistiche.

Si poteva, peraltro, guardando la postura evocativa della donna, presupporre un’ansia d’amori futuri, e ‘vedere’, nella grafica, la disposizione ad un abbraccio alla confluenza di due vicende: quella dell’ombra femminile piena di voglie, e l’altra, fuori dalla superficie del disegno, di uno che lei vede arrivare con passi infuocati.

La mano, cieca come la coscienza, realizzava certe variazioni di un’attesa appassionata con il grasso scuro della grafite sulla pasta ipercalorica della cellulosa d’alberi sudamericani sbiancati in grandi vasche chimiche e compressi in sfoglie di carta poi sezionate in formato A4.

Venti anni sono passati. Oggi le braccia aperte della figura rivelano altro dietro l’intenzione espressiva delle attese del desiderio.

È evidente che il disegno è la rappresentazione di una resa. Le braccia alzate dicono “non si potrà tenersi niente”

Braccia spalancate e occhi al cielo i due quadri sono termometro e barometro dei tempi: due ragazzi di vent’anni non sprecati, sull’orizzonte di questo pavimento ancora rosso.

Le figure speculari di donne volte al cielo (soprani dell’Opera) sono la resa alla scoperta medica che sostiene la Teoria della Nascita(*).

Ero di fronte ad una rivoluzione che era già avvenuta. Non potevo farla io. Potevo farla mia.

Ipotesi di una vita di servizio. Anni che dovevano passare di modestia, senza gloria. Una prospettiva di vita, senza potersi nascondere la realtà della verità, fa paura.

Con le mani, sul foglio appoggiato sulle ginocchia, disegnavo una resa che poteva sembrare una cosa trionfante.

Qualcuno, stampatane una copia, la collocò sulle pareti di casa e rispondo per il significato distorto che ognuno di loro può essere stato indotto a attribuire alla figura.

Sono passati gli anni di corvè sui campi del re. Ho fatto il lavoro di ascolto e interpretazione. Il soffio della voce ha alimentata la fiamma nel camino.

Il linguaggio della fantasia ha portato il fuoco dal bosco al focolare. Con la pratica della poesia ho procurato i soldi per la vita fisica dei figli.

Nella clessidra incandescente di ogni giorno la sabbia di scintille sale al cielo. Ogni tronco si trasforma in cenere e calore secondo una rigorosa proporzione di tempo.

Il tempo si rivela della stessa natura fisica del pensiero. È un oggetto come una fiamma che, nel suo starsene in uno spazio, si muove caoticamente e lo estingue.

È  un’intelligenza. Un moto di raffronto. Un intreccio di scambi incessanti tra cose di diversa temperatura che tiene insieme l’universo.

La natura del pensiero è biologia del tempo. Non è un substrato NEUTRALE su cui si dispiega la vita mentale. Ne fa parte!

Il senso del tempo, differente per ciascuno, specifica il modo di trascorrere la vita intera. Ansie comprese.

Alzando gli occhi dal foglio di adesso vedo, ai lati estremi del campo visivo, le due figure che da venti anni tengono teso il filo degli ultimi quaranta anni.

Ho ascoltato: e dopo parlavo sempre per annullare il nulla che le parole ascoltate volevano fare. Guardavo, attraverso l’ovale della cifra zero, il mondo delle cose che non hanno mai dimensione nulla.

Se chino gli occhi sulla pagina, per correggere eventuali refusi, mi sembra di aver finalmente capito il necessario. Che non resterò più senza risposte. Che potrò sempre soffiare leggero e forte sul fuoco del camino.

Finita la corvè potrò parlare davvero. Dire la mia. 

Ma di nuovo la resa. La scoperta diceva l’umanità indispensabile. Che la guarigione dal disumano dell’indifferrnza, dell’odio e della rabbia consiste nella capacità di portare la scoperta della nascita(*) -che è un dato scientifico- all’uso quotidiano di pratiche amorose.

(*)1972: “Istinto Di Morte E Conoscenza” – Massimo Fagioli – L’Asino d’Oro Edizioni. (ultima edizione Maggio 2017)

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lo spargimento del rosso


Posted By on Apr 30, 2017

con la valigia arriva dislocata come da non si sa dove a un capanno colorato sulla spiaggia vestita di rosso due caffè in mente a accelerare i pensieri

non un caso che nel mondo nuovo si fossero incrementati i test di empatia alla ricerca di un umanità definibile -finalmente!- senza dubbi: senza fronzoli è il Logos scientista

che vuole la donna sulla veranda di assi di legno e la sabbia a colmare le fessure? cosa ha in mente? il programma di lei sopravanza quello della solitudine fatale del ragazzo?

saremo infine uguali nei dubbi appena sbarcati dall’astronave sulla polvere lunare? avremo una macchina sofisticata che restiturà i risultati come oracoli, è oramai quasi certo!

avremo fedeltà impreviste: inserti lisci sul granito che riflettono scampoli d’amore: affetti dell’intelligenza deposti sulla ragnatela empatica e molleggiata tra creatività e bugia

non sappiamo in anticipo mai niente: di definitivo: se lei porta un amore estenuante o furtivo, quello sì, si potrà forse anche intuire, a partire dal punto di rosso del suo vestito

ma poi l’umanità si riprende il sopravvento: il tempo esatto di lei con lui  non si potrà mai sapere: la durata si annida nella danza dei suoi fianchi che agitano la gonna accesa: nel fenomeno caotico di spargimento del rosso nell’aria attorno

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