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carta geografica


Posted By on Ott 22, 2017

buone notizie

I lamenti di ciascuno hanno voce per qualche giorno nel bilancio dell’esplosione. Ma le vittime della strage sono coloro che resteranno abbagliati dalla quantità di infelicità che gli risulterà sostenibile.

Forse saremo salvi fino a che l’umanità riconoscerà da sola il disumano dell’uomo attraverso un sentimento di estraneità, non nell’attribuzione di una bestialità.

Forse sapremo restare lontano da luoghi dove è perduta la redimibilità delle azioni di altri uomini.

Il creatore legifera su anime perdute. Ma la nascita umana ha statuti complessi.

E ora ecco queste mosche in sciami contro le quali il dorso della mano si alza nervosamente e inutilmente. Ma la reazione muscolare, inefficace, eccita la certezza di un pericolo superiore al fastidio.

La vitalità è questa funzione che, agli estremi limiti del mondo noto, amplifica la sensibilità agli eventi di barriera e crea ulteriori possibilità di distinzione.

Cosi avanti negli anni sono convinto che la rabbia nasce sempre dalla richiesta di una giustizia messa fuori dall’uomo.

Le mosche dicono altro: che certe cose non possono essere cambiate più perché hanno posto il delitto nelle terre disumane.

La mano si alza per affermare che la perdita definitiva della vitalità determina la caduta dell’umano nel disumano, non nell’animale.

La gratuità della strage causa l’impossibilità, dopo,  di pensare l’umano come causa. Derivata dal disumano ci toglie la possibilità di un colpevole.

Poi: per la nostra natura non divina, da questa parte del mondo in cui restiamo, il dolore irredimibile cancella dio dal cielo.

Non siamo fuori da niente di ciò che è geograficamente lontano. Abbiamo scatti. Risvegli transitori che ci illudiamo più lunghi della loro ridicola brevità.

Un niente: e ricadiamo nella consapevolezza del degrado. Tutti soffriamo di essere bipolari. Se sorridiamo è di nuovo la vitalità a togliere il senso di colpa di queste distrazioni.

Seduto rifletto su un anno di stragi segnalate e digerite e vedo scurirsi di dimenticanza la carta del mondo.

Non è depressione e non è pazzia. È l’ultimo rifugio dell’uomo. Un dito si muove sulla tastiera. Un luogo dove ancora possiamo stare in piccoli movimenti senza violenza e senza pensiero. Dove la rabbia dell’impotenza per azioni disumane diventa dolore.

 

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C’è la possibilità di intuire che se esistesse la simultaneità, nelle azioni di conoscenza di fenomeni che accadono in differenti sistemi, potrebbe altresì essere che l’inizio del tempo contenga simultaneamente la propria fine. Lo spazio fisico ci assicura che questo non possa accadere. Il tempo necessario a pensare il nome di una divinità la tira giù dalla sua pretesa inaccessibilità, essendo il tempo derivante dall’inclinazione della materia alla propria rigogliosa consumazione.

Dedichiamo per questo motivo ogni nostro movimento all’affetto di rapporto. La vita del pensiero è funzione del tempo e sa conferire esistenza di cosa ad ogni idea di pretesa perfezione. E questo solo per radicare il pensiero di stamani alla vita di sempre. Per costruire l’esperienza. Sai come accade: la vitalità è funzione di superficie e di confine per fare la separazione e il riconoscimento, per fare il riconoscimento poi il rifiuto o l’accettazione.

Ma ora conta esprimere la storia di uno spino nascosto lungo la siepe del giardino. Quando penetrò nel fianco mentre traversavo. Si può pensare ad un accidente bruciante del corpo che si piega e si storce e suggerire una ricerca se sia questo un segno di scarsa vitalità, di ipersensibilità in punto e anestesia, per il resto. Oppure disegnare con lungimiranza il futuro (una volta che si sarà accettata la scoperta della vitalità come funzione della vita mentale umana, e si sarà cercata la sede di questa inattesa funzione per adesso scoperta tramite esperimenti di pensiero) disegnare, dico, un panorama d’arte e architettura del territorio: che la puntura della spina si diffonda a tutto un corpo adesso dormiente, che faccia nascere il dolore diffuso sostenuto e disperso nel pensiero figurato di un sogno di donna che si sveglia e si alza.

Ogni giorno il ritorno alla veglia e alla coscienza il dolore da un fianco si è irradiato dalla punta dei piedi alle foglioline verdi tenere al vertice dei rametti dei tuoi e miei capelli. Vento alto e fruscio delle piante sull’erba.

Mi riservo di illudermi di un grido acuto di allegro disappunto, una cascata di semi appuntiti che volano via con la voce in astronavi microscopiche perché il ricordo del sogno ha alla sua base la nanotecnologia dei differenti sentimenti e della corrispondente loro forma vocale secondo la specifica allegria di specie, la strafottenza umana di essere contro natura. La ferocia della salute fusa alla bellezza. Il sorriso non alterato. La guarigione dalla malattia. O, più semplicemente: svegliarsi accanto.

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“hasta la victoria

Se la memoria fallisce la successione degli eventi, il passato cambia. E se ci sarà stato un unico testimone la sua testimonianza cambierà in eterno la serie causale che porta ad un presente che é effetto inalterabile di storie con significati opposti.

Ci accordiamo dunque per dare consistenza alla vita psichica che costruisce, con gli accordi tra le persone, le macchine della propria credibilità. Però le epidemie, le nascite, le unioni e le dimenticanze, le morti e le malattie, e ogni altra fatalità compresi gli amori inattesi creano aree di discontinuità. Ci volgiamo attorno smarriti a lungo.

Poi un giorno abbiamo l’impressione di illuminare alle nostre spalle con un’intuizione di un nuovo significato il faro di luce che improvvisa ci illumina. Il passato cambia sotto i nostri occhi che lo guardano e che cioè, con lo sguardo ne creano l’esistenza in quella forma e gettano su quel passato i raggi luminosi della sua giustificazione. E allora la luce del passato giustificato e perdonato ci benedice e ci perdona. Il figlio prodigo.

Noi ci voltiamo e vediamo la sorgente di luce che dunque all’improvviso, nell’atto che la percepiamo, comincia ad esistere e illuminandoci ci legittima. Facciamo cioè una storia adatta ad ogni presente per quanto inatteso o addirittura presunto impossibile. Le scoperte creano pensieri di estraneità, ma l’anomalia dell’amore e delle calamità rivela una forma di noi ugualmente plausibile, perdonata da pre(cedenti) giudizi

Ho adesso un’idea di esseri umani differente, innocente, leggera: figure piane, forme derivate da grumi di acquarello che smuore su tela assorbente e lascia tracce non lineari, aree di materia sublime, segni del progresso di una espansione che inglobano il tempo nella irregolarità della disposizione del colore.

Le aree di pigmento che si dilatano lentamente in modi casuali accostate le une alle altre con margini sfrangiati ma inconfondibili timbri cromatici figurano un’idea di procedimenti indescrivibili. Il ricamo della tessitura di acquarello è vagamente, per esempio, la vicenda della pioggia inondata che si asciuga al sole sui campi.

L’esercizio di osservarne le disposizioni ci fa apprendere la formazione degli epiteli e delle masse degli organi, ci aiuta a rappresentare la diffusione di elementi molecolari sui substrati connettivi, e la stratificazione complessa di piani cellulari che costruiscono i parenchimi tridimensionali ci ricorda le terre dense di campi fertili che esplicano in ogni punto l’apice della propria funzione generativa.

La geologia è anatomia sugli acquarelli epiteliali. Montagna dell’anima l’encefalo ha il vertice di pensiero in ogni cellula della propria massa. È in ogni fibra del cuore, rovente, la forza. Coraggioso blu e paura nera sono sotto il diaframma. Il rischio della cadute e la potenza del salto stanno nel bacino. Il ricordo è figura del sogno nel sonno, e immagine senza figura nella veglia.

Si dice fantasia di sparizione quando il passato è ciò che non è più perché viene neutralizzato nella attività amorfa della biologia cerebrale. Interviene nella biologia di substrato la vitalità che è la funzione specifica della specie umana che consente di mantenere l’integrità dell’identità individuale durante le transizioni nelle quali il pensiero si ritira nei nidi biologici intracranici senza immagine né figura. E poi rinasce come idea di possibilità ancora sconosciute.

Addormentarsi e svegliarsi, agli estremi di buio e luce, richiedono ogni volta tutta la vitalità che abbiamo a disposizione, perché su quelle frontiere si svolgono le due attività fondamentali per la vita del pensiero: – fare le figure del sogno nel sonno che è dopo aver rinunciato alla coscienza per dormire, e – continuare a pensare durante il giorno quando è necessario rinunciare alla figura e restare svegli, per fare le immagini che ci salvano dal nichilismo della ripetizione coattiva.

Cosi andavano le cose nel gennaio del 2017, ad anno appena cominciato, noi già alle prese con un eterno passato che stentava a finire. Con la vitalità tra le mani: una massa di inchiostri e pennini dai quali, via via, disegnavo figurine stente. Per non morire. Per sorridere. Capivo (mi sembrava di capire) che bisogna accettare il ridicolo come forma di opposizione.

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il raggio nuovo


Posted By on Gen 22, 2017

C’è un telo chiaro opaco su ogni (presumibile) figura. Così sullo schermo oggi che i flussi della connessione sono tardivi non si ricompongono i dati per la trasmissione di cose virtuali. Così dico che non vedo niente ma è solo che quel che vedo, icona traslucida omogenea, non è ciò che aspettavo.

Ma anche il chiaro sfondo è figura. Ci si aspetterebbero segni diseguali, questo è. È questa la piega che hanno preso le aspettative. I nostri pensieri in fuga si aspetterebbero terre coltivate e città. Siamo figli dei racconti del passato. Fili di favole tessono il tappeto della nostra vita psicologica. Che è oramai una premessa dell’esistente. Una clausola escludente.

Così non possiamo sapere, da una riflessione ragionevole basata esclusivamente su erudizione, come si mossero gli sciami preistorici. Se ci furono una figura chiara, un opale rettangolare, o uno schermo di pura attesa a sospingerli in fuori.

Quel che si legge nei musei delle grotte è già tardi. Nelle stazioni di posta della corsa evolutiva i predecessori erano già lungo le vie delle transumanze predatorie ed avevano in mente, quanto meno, bisonti verso i quali scoccavano frecce lungo parabole misurate perché sapevano di già le leggi fisiche del moto flesso dalla gravitazione.

E prima? Prima mi appare chiaro nel chiaro del rettangolo radiante dello schermo. Prima è nelle icone deserte, nella galleria disertata da qualsiasi figura, nelle tele di madreperla su cui si è dipinta una serie di sfumate tele di madreperla differenti tra loro e opposte al manierismo del nulla.

Prima le cose non derivarono da una sottrazione di flussi. Prima è l’espressione energetica della vita fisica dei substrati. Superficie vivente di un epitelio trasduttore. Prima è noi quando capita che siamo vigili diurni incoscienti.

Prima ci spinge in fuori più che semplicemente in avanti: a non lasciare intentato il risveglio. Frazione di infinito, prima è ogni volta lo shock estetico alla fine del sonno quando noi risorge dal buio della biologia indifferente portando alla luce la notte nel racconto di un sogno.

La vitalità di un epitelio è il confine traversato che esclude, oltre sé, ogni presunta figura che dunque non si forma sul monitor e mostra lo schermo muto e brillante e delude l’aspettativa di un a/priori. Lo schermo va a stimolare una nostra insofferenza, un nostro fastidio, una nostra irritazione che insieme ci impediscono di risiedere e ci costringono a progredire.

Uscirò stanotte a tentare ancora un percorso senza direzione. A bruciare, nello sforzo muscolare dei passi, il passato. Verso una con il volto buio e la risata rossa che guida su di se il nuovo raggio.

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La resistenza è dolore: perché il ‘vivere nonostante‘ costa molto. Prima o poi dunque, ma sempre, si vuole la liberazione dal dolore corrispondente a quell’opporsi soffocante. Quando il lavoro della resistenza non è più necessario si sente la cessazione del dolore: un benessere che non deriva da azioni positive che abbiamo effettuato ma da riduzione e sottrazione. Non si è ‘più leggeri’ ma semplicemente abbiamo deposti dei pesi che non avevano mai fatto parte della nostra costituzione anatomica. Siamo quello che siamo: non un grammo di più. Forse quello cha avremmo potuto sapere di essere in essenza, che il lavoro di resistere per essere nonostante ci aceva tenuto nascosto. La cessazione avviene per cambiamenti interiori: quando l’esterno è allucinatoriamente percepito ostile e poi viene riconosciuto praticabile. Ma a volte è grazie al venir meno di situazioni oggettive di odio e di cecità con cui avevamo a che fare. È complicato rendersi conto che il ‘nonostante‘ sia lo stesso nei due casi per cui ci si difende dai fantasmi che noi stessi abbiamo inventato con la stessa determinazione con la quale ci opponiamo alla distruzione che viene da una realtà esterna. Dunque la resistenza da sola, perdurante questa genericità non può essere, o non dovremmo contentarci che sia, l’unica nostra risorsa. Neanche la vitalità che la sostiene, pensata come fatto legato ad incrementi energetici di azioni muscolari, è dirimente. Il concetto di conoscenza non riguarda infatti solamente la quantità delle nostre acquisizioni ma la modalità con la quale esse vengono assunte. Si può ipotizzare dunque che la vitalità -che è funzione di limite fisico e psichico insieme-si estenda fino alle ‘fibre’ dei singoli atti percettivi separando, via via che essi si attuano, la realtà dalla fantasticheria. Si può tentare di sviluppare una idea meno muscolare della vitalità. Che diventerebbe un fenomeno di barriera intelligente, una azione di epitelio negli scambi di contatto tra noi e il mondo esterno. La massima precisione di intuizione sulla frontiera fa una nuova presa d’atto del mondo e riduce gli sforzi per sostenere la lotta fisica con mostri che la distorsione illusionistica della natura delle cose e dell’interiorità delle persone portava come conseguenza inevitabile. Come sia possibile eventualmente verificare una tale ipotesi non so dirlo. Forse intanto imparare a esprimere con parole sempre più adatte e costruzioni grammaticali sempre meglio costituite una asepsi chirurgicamente efficace sulle piaghe di una cronica confusine che dovremo operare.

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