musica di altri momenti (*)

Posted By claudiobadii on Apr 11, 2012 | 0 comments


 

 

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La carovana dei pionieri era improvvisamente circondata dai membri della tribù dei nativi. Al mattino silenziosamente erano apparsi tutti come fiammiferi intorno ad una torta. La geometria del risveglio era 1) :un fuoco mezzo spento, 2): un cerchio di carri neri e grigi con cappelli da mandriani e cuffiette da notte attorno e, 3): lungo la circonferenza esterna di una corona ampia d’aria vuota, il resto del mondo umano della nuova terra raccolto in preghiera e sospetto. (Ma specialmente in silenzio.) “Nell’insieme noi siamo quell’aria fumante. Teste di cipolle e patate invisibili. Pomi poco prelibati. Nessuna Eva occasionale troverebbe e trova motivo di tentazione. Il nostro territorio di indagine è così poco ambìto che neanche il diavolo ci ha fatto un pensiero. Orfani di peccati stiamo ad aspettare.” Così il popolo delle diserzioni. Che non ha l’ansia di definire la propria inconsistenza se non come sdegno di fronte a troppe presunzioni. : “Di non contare del tutto nulla non ci si poteva scommettere.” Questo perché è stato chiarissimo -come sboccia una tumefazione sulla testa pelata di un demente offeso da allegria- che il sogno non ha una interpretazione a prescindere dal medico. Cipolle, patate, e altri tuberi antibiotici d’oro vero, sonnecchiano. “Testa di tubero!” dicono i ragazzini. Ma quello che significano quelle parole di scherno -nel testo ufficiale del teatro psichiatrico- si dovrebbe (e dunque si può soltanto) far finta di saperlo. Lì, al luogo del far finta di sapere, si produce un attimo di gloria, quando -parlando senza prima pensare- falsifichiamo, secondo le direttive del metodo, per scoraggiare gli imbecilli in agguato.

I nativi hanno, nel silenzio, il sospetto forte che si esercita con l’attesa. Le nostre stesse parole ci circondano mentre forziamo il significato per essere accettabili: insomma mediamente comprensibili. La verità, come si dice, è che dovresti restituire il tempo che hanno perduto e vengono a cercare sotto la poltrona. Non l’hanno perso qua e lo sanno. Ma il transfert è questa credulità nuova. Questo affidamento delle lacrime alla guancia, e dei neonati alle mani delle levatrici. È breve il tempo a disposizione. Come pronuncerai l’interpretazione a proposito di “una collana di condanne intrecciate“? O del sogno in cui si parlava del “letto del tuo e mio indietreggiare“? Il sogno, al limite di qualsiasi significato verbale, è di già più di quello che potevi, quieto, svegliarti a considerare e non consente alcuna trattazione. Non si presta. I nativi in sospetto possono essere buoni o cattivi: dipenderà da te. Nessuna potenza nel lavoro. Modestia. Intelligenza che si contenta e vive dove si muore. Allora interpretare è incamminarti verso essere un poco meno che qua, in riduzione delle collocazioni e degli stanziamenti. Abitare nei länder infrequenti. Bisognerà, alla fine dei primi minuti, tradurre improvvisamente tutto in nativo silenzio. Secondo il disegno dei fiammiferi, così come circondano le carovane. Cioè come stanno allineati nella circonferenza esterna della corona d’aria vuota, come era comparsa nel mio stesso sogno, che aveva, al centro, un focolare rovente. Le braci. Ma prima di ogni arrivo c’è il segreto di specchi: che il riflesso del fuoco non scalda a sufficienza. Non faccio che scrivere l’inconsistenza personale.

I limiti profumati del soggetto. Li definisco corona d’aria vuota. Dico della terra delle cipolle e dei pomi, che non suscitano desiderio di tentazione. Per dire che il niente è un quasi niente. Dico “la circonferenza esterna della corona”, per avvicinarmi al senso dell’idea che l’interpretazione, come parole in presenza, non ha natura meccanica. Non è stato provato che ci sia, nello spazio tra l’uno e l’altro, la tessitura di intrecci che sorregga una corrispondenza biunivoca. Seppure non amiamo la simmetria delle forme, però adesso, dopo tanta ricerca, si trova la libertà di affermare che, invece, proprio la densità che tanto abbiamo apprezzato come garanzia di solida affettività, può costituire una simmetria eccessiva.

Nel tornare alla carovana tra il fuoco e le cuffiette delle donne svegliate di soprassalto, per tornare alla verità necessaria del linguaggio pratico delle corse verso il lontano occidente: “Essendo te quell’accumulo di materia, quell’eccesso di senso di una super-simmetria, allora” – dico – ” la storia di un’amore non ha un centro, ed è solo sopraffazione”.

Dobbiamo ancora restare al di qua e al di là dell’aria vuota. Ad annusare. Pionieri e nativi distinti da uno spazio di indecisione. L’uno. L’altro. Il rapporto.

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