medicina


Verdi e il verde mare. Libiamo. Se la marea si è svolta si vedrà dalla crescita misurata del riso ai lati degli ultimi duemila trecento metri prima di svoltare a sinistra per la spiaggia. L’orizzonte è una lingua di verdemare. La semiretta dei corpi punta ovest/nord ovest. Sistema tutto una luce di mani evanescenti che allineano il pranzo di pesche mature, il the alla menta, le salviette profumate per il sole. La musica sale alla mente dal filo del registratore attraverso gli auricolari. Distrarmi da questo eccesso di perfezione è impossibile. La cura della disposizione dei bagnanti è quella di un arazzo. Io ho trascorso qui i miei anni migliori. La vita è corsa con la rapidità dei volteggi del tuffatore che infila il proprio corpo in anelli invisibili, precipita lungo un filo di acciaio ritorto, cade dentro dedali trasparenti, poi in fondo trapassa la seta d’acqua col rumore di un soffio e sparisce sembra non tornare mai più a respirare seminando sorpresa e trepidazione sulla riva.
Disteso su uno degli asciugamani sono perpendicolare all’orizzonte. La musica lungo il filo bianco degli auricolari si versa nella mente e dal punto di vista sensoriale ha lo stesso timbro diafano della luce agitata quando ancora non ha incontrato corpi solidi. Questa perfezione lucente dell’aria piena di sole insieme al vuoto cognitivo dei suoni determinano una felicità regressiva. Dall’immagine acustica all’analfabetismo semantico fino alla nascita. Resto a lungo su questo telo da mare profumato, col the freddo su un rilievo di sabbia, sulla spiaggia apparecchiata dalla luce diafana di giungo. L’eccesso di perfezione si completa nell’arazzo dell’inquadratura aerea dei bagnanti. A quella distanza tutto corrisponde: la sapienza delle interpretazioni degli anni settanta nel riposo turbinoso del setting ha dato luogo alle evoluzioni della vita di tuffatore e alle intuizioni traslucide della attuale ricerca sulle funzioni prime della specie umana. Figura, immagine, diafana coscienza del mondo esterno, nascita.

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Sul numero attualmente in edicola di LE SCIENZE  l’articolo “La nostra mente inconscia”. Finalmente una certa chiarezza. Gli studiosi americani hanno definitivamente concluso che le troppe parole di Freud sull’inconscio non hanno nessuna conferma scientifica. Essi gentilmente ma decisamente escludono ogni legittimità alla retorica letteraria di un inconscio che nella notte riproduce incessantemente le angosciose scenografie edipiche. Infine, e qui si sfiora l’ironia, siccome il cervello è ‘uno’ …. pare questo un ‘argomento’ sufficientemente solido per ipotizzare che anche il pensiero possa essere rappresentato come funzione singolare e intera. E dunque il non cosciente, essendo un processo del pensiero, un modo della attività mentale cerebrale, è anche un processo nel pensiero ed ha continuità e identità di fisiologia inesauribile ininterrotta e ‘inseparabile’ dalle azioni della coscienza. Essendo il pensiero funzione coerente della intera attività cerebrale, non si sono trovate vie sinaptiche preferenziali, né strutture anatomo/funzionali dedicata alle funzioni di coscienza e non cosciente. Senza alcuna reale localizzazione il simbolismo topologico freudiano   (ma non solo freudiano….) sul non cosciente, non si regge e decade: da utopia dell’irrazionale (poco importa se buonissimo o cattivissimo oramai) a funzionalismo atopico. Più che una scienza è un vizio riferirsi al non cosciente come a qualcosa di isolato che sarebbe risolubile e poi slegato da forme di pensiero differenti, con azioni di individuazione certa, una volta per tutte. Di per sé, come attività isolata, specifica ed autonoma, esso semplicemente ‘non è’, insomma isolato non è ‘plausibile’. La scienza ‘gli’ sottrae il tempo. Si potrà aiutare una persona a cambiare, ma non basterà risolvere il problema (a livello*) inconscio. Dovrà diventare agente consapevole della propria cura e poi della vita che viene. Sarà felice della certezza di quanto è accaduto negli anni della psicoterapia. Sarà tutta coscienza ridente, se vogliamo. Ma lasciamo adesso il problema ai cultori della disciplina.

Le sperimentazioni psicologiche citate nell’articolo, provano che siamo costantemente sottoposti alla azione di funzioni cerebrali che ci sfuggono, che non possono essere coscienzializzate diciamo così, in tempo ‘utile’, e che esse agiscono indirizzando ogni nostra ‘decisione’. In relazione a questo dato non ci sono dimostrazioni del primato della coscienza sul non cosciente. Non pare che ci siano strutture anatomiche per portare l’uno all’altra. Si tratta di fisiologia e dunque si tratterebbe, inevitabilmente, di differenza di funzioni della medesima struttura anatomo-biologica svolte contemporaneamente e incessantemente. Dunque l’inconscio esiste, ma …. non è freudiano. L’inconscio e la coscienza confluiscono nella azione del pensiero. Quello che possiamo dire è che, su tali funzioni, da tempo si indaga, nel contesto del rapporto indispensabile alla relazione terapeutica di psicologi e psichiatri. E che ‘transfert’ e ‘contro transfert’ sono i parametri clinici  del rapporto medico-paziente in cui si esercita l’osservazione, la diagnosi e la cura della vita mentale.

Questo tipo di terapia implica l’interesse e l’intervento attraverso i mezzi designati genericamente: interpretazione del latente anche attraverso l’analisi dei sogni, frustrazione/rifiuto dei bisogni, soddisfazione delle esigenze, verbalizzazione delle dinamiche in atto nella relazione e degli aspetti cognitivi favorenti e limitanti il benessere dei soggetti… per realizzare il riconoscimento delle realtà più prossima al vero riguardante il rapporto tra paziente e medico e il variare degli affetti in gioco. La metodica psicoterapeutica ha comunque il compito di rendere possibile lo svolgimento del tempo in forma di passione di una cura non infinita, e quello dell’altra definitiva ed irreversibile passione della ricerca che però, attualmente, pare non finire. Perché sembra che alla ricerca sia deputato di rendere irreversibile e stabile il cambiamento realizzato durante la cura.

Al cospetto delle aperture derivate dalle conferme di funzioni mentali meglio individuate nella loro natura, si spalanca un lavoro imponente. I quaderni in questione su questo blog, adesso, mi appaiono prendere la (in)consistenza di libricini in un mercatino di modernariato che si svolge nei paesi della costa adiacente al mio studio certi giorni del mese. Io allora mi metto a scrivere per informare di quanto studiato, sono come uno che lucida librerie, o si agita come un ragazzino adolescente. Di fatto spolvero i volumi, porto via ogni segno di sporcizia sparsa qua è là a terra dall’andirivieni delle persone. Mi pare che nasca una libertà da ortodossie tanto più rigide quanto più furono ‘basate’ su imprecisioni ed equivoci a proposito della materia dalla quale il pensiero origina.

Pulisco la stanza, perché ho la sensazione che si chiarisca l’orizzonte e il tempo volga davvero in primavera come quando capitano cose nuove. Pulisco e profumo con il deodorante. A volte pare di non essere soli, e che non si sa mai.

(*).. ‘a livello inconscio’ è una formula da prestigiatori: essa in genere viene usata per distrarre il pubblico, prima della azione truffaldina del trucco che inganna la percezione.

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innovazioni


Posted By on Gen 31, 2012

innovazioni

la costruzione di una casa si origina dalla posa di una prima pietra sull’ombra della prima persona che passi di là. si dice che implichi un ‘sacrificio’ la realizzazione dei ripari, delle terapie, dei vari delle navi. che un’ombra stabile resistente e pervasiva si fondi sul coraggio della strage dei simboli. una pietra sull’ombra del primo che traversa l’area destinata ad essere nostra in futuro, parola di uomo, non è il simbolismo specifico di una certa evenienza. semmai ‘racconta’ che tutto l’edificio del linguaggio costituisca un grande insediamento di ogni specie di simboli che si insinuano e si inscrivono nei volumi aerei del progetto di una ragnatela che sfrutta il vuoto per disegnarsi. l’unificazione è la trave di una rotta attraverso un cielo sgombro e -di fatto- l’astronave in permanente servizio di delegazione tra noi e i ricami d’aria condensata in forma di gelo sui capelli. parola d’uomo siamo giuramenti si può dire. e -in quanto tali- non possiamo in alcun modo essere definiti apparati simbolici: siamo davvero giuramenti, sputi di saliva disinfettante, aglio contro il vampiro: andatelo a chiedere ai nostri figli quante volte con una sola carezza scongiurammo malattie pestilenze contagi. e poi basta vedere: non siamo tutti uguali. non tutti siamo in grado di uguali cure e asepsi. figurarsi poi di giocare alle pietre rotolanti per discese, dune marine e mucchi di neve. nell’essere ciò che si dice che siamo sta una concreta ragione di nominare azioni rituali che sono leggende. l’unificazione di cose della mente e modi di correggere continuamente eccessi e carenze potrebbe essere l’uomo. ma quello che preme sempre è tenere viva la via sottocorticale e non privarci degli amori stabili: il mare e i ragazzini. quello che preme è che non è la natura che ha il potere delle lacrime bensì una pietra appoggiata dove mettesti il piede spremendo il nostro tempo. ma che dico! quello che preme è il tuo piede sul cuore mentre tu stai camminando verso noi. perché -non potendo pensare ad altro- vivere il ricordo di te è vitalità della presenza continua dell’immagine ed è per questo che non si rischia la scissione se c’è la vitalità. perché se c’è la vitalità può non esserci la coscienza e allora il pensiero non ha spazio (…ma neanche necessità, questo è il bello! ) per l’azione simbolica e il non cosciente diventa comportamento. se adesso non ascolti alcun suono è per via che l’immagine diventa segno. però per amore potresti prestarmi la tua voce e non sarò più muto tra le radici. il suono si è spento in mezzo alle coltivazioni dei segmenti della scrittura: quando scriviamo si compie la mietitura dei girasoli i semi vanno via e nella mente resta un campo di stecchi neri. l’olio si spreme altrove, eventualmente. bisogna avere un gran cuore, parola d’uomo, a scrivere di tutti questi campi di girasoli e di papaveri. letteralmente campi di olio e oppio. una miscela psichedelica e ci siamo noi in tutto questo tripudio di segni. nella massa della comunicazione si è riaperta la crepa serpeggiante e l’omogeneità è traballante e il futuro si insinua da fuori a dentro ma non è nostalgia né pentimento. veniamo avvertiti profeticamente dalla contro informazione ed abbiamo certezze non ancora passate attraverso le condivisioni. certezze individuali cioè quelle su cui poggia il senso di identità e l’ottimismo e la voglia di lottare. poi parliamo per definirle e parliamo fino a sera per strada. chi ricorda gli strilloni di oltreoceano ha un idea di noi quando parliamo per strada fino a sera e anche oltre, fino a notte inoltrata, come si dice. invece non siamo il ragazzo del latte da consegnare nelle bottiglie di vetro. non siamo filosofi cartesiani. non siamo accorti. non siamo cattolici previdenti. Invece sempre facciamo il bagno nel fiume e sempre ci svegliamo a mezzogiorno circa. per tenere viva la passione per il linguaggio. poi verrà la scrittura. ma prima il pensiero non cosciente diventa caffè, come dicevo all’inizio del blog. sempre diventa buongiorno. nei tempi dell’amore, nelle ore illusorie della relazione assoluta, diventa anche altro che però mi è difficile da dire. l’ispirazione era quando per cercare le cose indispensabili sfogliavo i libri d’arte. nella psichiatria non c’è tutto quanto si trova continuamente nei sogni delle persone che arrivano. tutto quello che sogneremo è come quello che arriverà da fuori, dalla massa di mezzi di comunicazione di massa ed è proprio vero che si è riaperta ancora la crepa serpeggiante che si era tentato di suturare  con la teoria dell’inconscio malato e maledetto e la coscienza a fare da unico presidio sul deserto dei tartari: minaccioso col proprio costante rumoreggiare di presagi. oggigiorno l’omogeneità è traballante e il futuro si insinua da fuori a dentro, ma non è nostalgia né pentimento. per qualcuno è crisi di panico. per altri speranza e imperfezione di una asimmetria dei seni della madre, quasi sempre differenti per la differente affluenza di latte: che comunque piena tutto quel mondo di calore e profumo appena dietro la pelle stirata lucente e sottile. (si contavano con le dita le vene azzurre.) ora qualcuno si è ammalato e conta tutto il tempo e il danaro ossessivamente e controlla il flusso dell’amore e resta fermo. l’innovazione nella psichiatria si fa strada dalla ricerca. misuro le proporzioni del tuo viso con il metro del sarto: la striscia numerata con tutte quelle cifre è una scala di perfezioni addosso a te. Penso che debba essere il mondo delle figure a contenere l’innovazione. a contenere tutto quanto si poteva pensare. penso che adesso poso affermare che il pensiero è anche un auspicio, la frase

 “so di trovare”

questo sapere potrebbe essere la guarigione dal ricatto del terrore di morire di fame e di freddo. ma non corrisponde ad una notizia a proposito dei ‘future’ sul mercato del petrolio e delle materie prime. il rame e il litio e il manganese sei tu. è quella storica scoperta da recitare di nuovo. non starò a dirti. la psichiatria ufficiale non contiene l’innovazione. cercavo nei libri delle polaroid. intanto il tempo passava, ed era sera sempre più presto. questo accadeva perché, anche solo consultando le pagine di un solo libro di quelle raccolte fotografiche, anche solo così, la disperazione di non avere il tempo per concludere mai più alcuna ricerca, era fondata. allora avevo capito che si poteva (che si può) soltanto non smettere mai. finisce che l’unica cosa che so pensare con certezza è questa frase

“sta nella vitalità alla nascita una possibilità di resistere” (qualsiasi cosa voglia dire vitalità è la speranza di pensare diversamente da sempre.)

io, per me, mi chiedo cose differenti.

“come farò mai a lasciare che la stanza vuota, piena di luce, arrivi fino a te?” e anche  ” è interpretazione il mio assetto di cedere qualsiasi contenuto, e pensiero, quando tu ti senti amata? è grazie alla fine della mia resistenza e della mia opposizione che le cose tra noi vanno un po’ meglio ultimamente?

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la migrazione delle api


Posted By on Set 17, 2011

la migrazione delle api

Sono giorni di persone cattive e tristi, di arnie svuotate dalla migrazione delle api. I nostri corpi comunque lanciati nel tempo -ad inseguire con audacia le premesse sussurrate- fanno un rumore insopportabile ai sacerdoti. In più bisogna rivelare che specialmente il naturale ancheggiare delle femmine viene perseguito come sovversivo. Arnie silenziose rischiamo di diventare anche noi. Al fuoco e al fumo che non promettono nulla di buono. E ci si sveglia non sempre  in una buona disposizione.

Cercavo qualcosa di oscuro per individuare il tono della mattinata: un giorno di sole e umidità ma senza luci. Ce ne sono. E’ la proiezione di stati d’animo personali – mi dico – e addio la conoscenza. “Biancaneve” dei fratelli Grimm in una edizione illustrata da Benjamin Lacombe. Metto una riproduzione per illustrare il foglio con uno spunto di colore isterico e patetico, commovente se mi intendete. Chi mi intende stabilisce subito l’amore come forma di accordo, determinando inevitabilmente l’esistenza di inquieti diavoli neri per tutti gli altri.

Nelle pagine il rosso ciliegia delle labbra e dei cuori è quello rutilante del sangue ma ha una tonalità che riconduce alla diagnosi dell’avvelenamento da ossido di carbonio quando l’emoglobina trova affinità deviate e non veicola più l’ossigeno che consentirebbe il fuoco della vita ed è di un rosso ciliegia sgargiante che annuncia la morte, se il medico non accorre ad arieggiare, disperdere i fumi invisibili, rianimare, supplire il respiro, restituire. Restituire. Aspettando.

Le parole nate dall’immagine del rosso velenoso di patetici avvelenamenti tardo ottocenteschi diventano riflessione “Capita che non ti uccidano – come progettato – perché si tengono le mani pulite confidando nella ferocia delle belve del bosco e della tundra. Ma la pietà di un viandante pastore in genere o di donne di malaffare senza fissa dimora e di cuore tenero -tutto questo ben di dio- arriva prima del compiersi della disavventura malignamente auspicata.”

Eccomi dunque ancora vivo e guizzante, da anni a chiedermi dove risieda l’organo della vitalità che mi ha sempre consentito di essere ancora al mondo all’arrivo del viandante e della puttana di turno. Io nella buona sorte penso l’anatomia dell’encefalo come la vidi la prima volta magistralmente ritratta a colori irripetibilmente suggestivi o in rigorosi inchiostri di china.

Ho in me quei disegni che svelavano -col tempo dell’osservazione- la precisone dell’occupazione degli spazi e, a vedere bene, la meticolosa passione dell’anatomista pittore. Ora -mettendo precisamente a fuoco la ghiandola ‘pineale’ sulla sella ossea che sostiene anche il chiasma ottico- riponevo in una sede profonda e protetta le parole per chiarire la collocazione del mistero.

La realizzazione d’essere medico. Sempre la ricreazione di un mondo fantasioso che la mente ha cercato, rappresentato, riprodotto, battezzato centimetro a centimetro associando forme a funzioni e disegni a mitologie. La ghiandola è suono di una idea sintetica che reperisce in cunicoli di inferno e foresta incantata una somiglianza adatta alle gesta epiche del misterioso pensare degli esseri umani.

Il mondo della medicina è rigoglioso: non ha perduto mai del tutto la fantasia di indagare nella materia senza porsi limiti. E’ un mondo sfrontato di cercatori di tesori che mettono l’allegria addosso quando entrano nelle stanze. Sorridere, intuire, scoprire, sapere, chiedersi la conferma, domandare solo alla fine- è metodo d’ingresso alle cose, metodo degli scampati al disegno della disperazione.

“Mettiamo  sempre le mani addosso al diavolo, noi…”: sorridendo ebete al tavolo di un bar. Io so che in quel sorriso c’era tutta l’allegria d’un essere sapiente perchè riesco a trovare le parole corrispondenti all’idea della mia storia senza la fatica della narrazione noiosa degli eventi. “E’ l’azione della ghiandola al centro del disegno colorato”. Ora è ghiandola anche il tavolino del bar.

Ha qualità estremamente sofisticate questo delicato accostamento di realta fisica dei corpi e di dura materia costruita in spigoli e inclinazioni: al tavolo di ferro e marmo di un bar sto al centro degli artifici luminosi del giorno, trai palazzi e le strade: costruiti, ricostruiti, cambiati, fusi e rimodellati in centinaia di anni, in mezzo alla palude malarica, dalle mani forti degli operai. Le api.

Al centro di un mondo è tempo rappreso la trasformazione. Farsi sicuro di me, aver imparato a dire le qualità dell’azione di una ricerca senza coscienza “…essa è opposta allo sfruttamento del lavoro che è fatica muscolare muta sottomessa alla velenosa leggerezza di un progetto di dittatura…”- “…è la passione di gettarsi in caduta libera nel tempo alle spalle, dentro la certezza dell’intelligenza dell’altro.”

E’ ghiandola il tavolino del bar cui sto seduto un poco flesso, col busto inclinato sui disegni di questo diverso libro che evidenzia una anatomia differente: che è un arnia ronzante da cui cola il profumo del miele nuovo. “…la mente è lavoro nella sfera della attività mentale non narrativa, arte differente dall’arte nota….” Trovo il linguaggio senza figura per la biologia corrisopndente a specifiche attitudini dell’uomo: una perplessa condiscendenza.

“… perplessità che non diventa confusione perché si ha la conoscenza medica che consente la cura, e condiscende alla fisiologia con la terapia…” Così racconto il pensiero di chi non è stato ucciso dall’ignoranza, neanche questa volta. E realizzo nella mente il pensiero verbale che scrive certe forme di odio “…veleno di affinità fatali…”

Seduto inclinato appena sui fogli stupefacenti impigliato ad oscuri desideri risalenti muri d’aria dal piano di marmo. Sono alla base della piramide sulle pietre dei sacrifici. Esploro su per il naso delle divinità alla radice simbolica del pensiero – su in alto al centro del sentimento platonico, nel cuore aereo dell’idea-in-sé – e atterro sulla groppa di Giove.”

L’allegria adesso costruisce il giorno molecola su molecola mentre l’odore del caffè sale verticale dal tavolino rotondo del bar annebbiando la vista con una trapunta di vampe di emozione che salgono dalla griglia sotto di me. Le figure degli organi cerebrali ammassati nell’atlante di anatomia si sovrappongono alla camminata di persone in fuga tra tavoli e strada e gli spigoli delle edicole.

Il mondo è rosso ciliegia sgargiante e odore denso di caffè e uno spunto di colore isterico e patetico, commovente se mi intendete. Il mondo è uno sciame amico di api che sale a coprire gli occhi. E’ fantasia luminosa di tanti anni ad occuparmi di non disperdere quanto di stupefacente c’è sempre stato nella medicina.

E’ stato bene aver studiato da medico per scoprire il linguaggio che nomina la propria storia che sono tutti questi uomini e donne a correre rapidi tra tavolini edicole portoni e porte scorrevoli e cemento e asfalto. Dire “.. noi dispersi lontani attraversati da tutti gli altri, semidei narranti…”

E appoggiare il viso sulle palme delle mani e riposare gli occhi, rifiutare la visione fisica delle cose, per scoprire se alla sparizione degli oggetti del mondo ci prende il terrore oppure….

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lascia la vitalità


Posted By on Lug 21, 2011

lascia la vitalità

l’immagine che svanisce crea l’immagine dell’immagine che svanisce. porta l’espressione della attività mentale fino alla fisica corrispondente alla vitalità di una posizione psicologica irritante e offensiva. in realtà noi sussistiamo senza una ragione, dormiamo e sorridiamo al giorno che viene, dal silenzio facciamo sorgere parole, il trombone scivola e intona, del niente dell’ottone parleremo giorni e giorni, sul metallo ottuso e roboante scriveremo trattati, siamo certi di poter occuparci di qualche infimo angolo di mondo pieno di deludenti rifiuti con disposizione poetica. ci possiamo benissimo immaginare di restare -noi tutti- attorno ai metalli grigi delle gru crollate sul molo. si sa che balleremo scalzi nelle colline verde smeraldo sull’erba che cresce rigogliosa perché la terra contiene l’uranio impoverito dell’ultima strage democratica. si sanno fare baratti poco giudiziosi tra il moto della danza e il fantasma della morte per radiazioni. è per via dei tromboni e delle chitarra muti nelle loro custodie che meglio si indaga nel silenzio a proposito della costituzione della realtà e sulle differenti forme costitutive di realtà numerose. parleremo del giorno appena passato oggi. parleremo del tempo del quale nessuno si è accorto. diremo che il tempo passa mentre generalmente nessuno ne ha coscienza. diremo che narrare del tempo trascorso tuttavia è una cospicua quota di pensiero. il pensiero razionale è coscienza del tempo. la vita mentale, globalmente, è narrazione di qualcosa che non è stato avvertito mentre accadeva e che dunque -inavvertitamente- viene ricostruito come invenzione. il pensiero cosciente dice di sapere che quella invenzione che copre l’ignoranza del tempo che è trascorso si chiama verità. in realtà la conoscenza dice: la coscienza è la faticosa costante ricreazione di un passato perduto per sempre proprio nella sua verità di essere stato ignorato mentre accadeva. il senso di colpa di non essere presenti nel tempo determina la serie di figure ed eventi grammaticali e sintattici che chiamiamo descrizione narrazione e storia. l’amore è scienza della realtà poesia del presente inaccessibile e muto ascolto degli ottoni e delle chitarre. non ci sono parole per dirti quanto e come sono legato a te. ci sono parole per dirti che si riesce davvero sempre a parlare di quasi nulla e tuttavia si resta in relazione.

adesso -che è certo che la realtà della faccenda d’amore è che per sempre niente diremo della verità di quanto accaduto- possiamo scambiarci promesse di fedeltà. senza coscienza è massimamente la musica. suono del tempo che accade mentre si ha la sensazione che nient’altro che quella musica accada.

ti giuro: relazione d’amore tra la donna e l’uomo è sommamente silenzio dove capita che il rapporto sessuale sia offerta di realtà genitale alla realtà dell’ interesse e del desiderio.

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enigma


Posted By on Mag 24, 2011

enigma

Enigma era la macchina per crittogrfare la posizione di subdole macchine sommergibili e solo intelligenze acutissime si scontravano con sigle da ricordare per evitare stragi altrimenti indimenticabili così ADU divenne Angeli Danzano Uniti ed aeree figure tenevano salda nelle grinfie la fonetica di una serialità codificata di trasmissioni incomprensibili e le parole scritte per ricordare fonemi senza alcun significato di concetto compiuto restano ancora come figure che tengono l’immagine del gioco linguistico che fissa nelle iniziali la sigla che rimanda ad un altro segreto: le figure degli angeli sono intatte nella loro utile insignificanza tanto libere che un artista a partire da là potrebbe anche incidere un acquaforte che unisca terra e cielo per fare il volume che la notte si ripiega e si sistema accanto al cuscino il volume che ruotando tutto attorno all’asse della sua costola  fa una piccola bibbia che riunisce la materia e lo spirito, il tratto dei segni della scrittura e l’invisibile astrazione del pensiero espresso nel racconto.

Enigma non avrebbe saputo decrittare i mari elettroencefalografici che inondavano da anni le scrivanie dei dottori tra le onde cercando verità sommerse e sommergibili che agitavano la superficie e non si appiattivano più se non come segno della fine dell’essere al mondo della realtà umana che origina dall’inagurazione della vitalità alla nascita e non si fermerà mai neanche nel sonno – nel riposare incoscienti – che ripropone il trattato di fisiologia del pensiero che si basa sul raccontare che non è il nulla a muovere i tracciati e spostare istericamente o ad onde lente i pennini allineati sui rotoli di carta che dispiegandosi attorno alla costole del proprio asse stampante uniscono la realtà materiale della biologia, attraversata dalla fisica dell’energia bioelettrica, alla macchina enigmatica della mimica dei volti dei dormienti, che vivono di apparizioni e vicende mai accadute. Non è il nulla a muovere i pennini ma l’evidenza eclatante di realizzazioni di pensiero che sono irriconoscibili nei tratti neri di inchiostro e poi immediatamente limpidi nel racconto che mette in fila suoni e ricordo appena schiarita la stanza stamattina alla fine dell’esperimento di un tracciato nel sonno.

Angeli Danzano Uniti e l’ assenza di coscienza riduce a vitalità pura il pensiero nel sonno la vita mentale sottratta al lavorio della presa d’atto cosciente affidata esclusivamente al destino probabilistico di fluttuazioni energetiche che potremmo chiamare vicende biologiche del sonno cosicché si può instaurare un confronto tra biologia destino immagine colpa figura malattia tempo (di natura). E tempo (umano).

Come Angeli (che) Danzano Uniti, alla nascita forse sfuggiamo la morte, lasciando la biologia genericamente animale alle spalle per andare verso la vita che sfrutta i processi energetici, sottoposti alle leggi di massa calore direzione entropia, per creare le parole i segni le curve e l’incoscienza che conducono la biologia al pensiero umano e nel Pensiero Umano la Macchina Enigma si chiama Vitalità, condizione spaziotemporale di un comporsi dello stato fisico della materia che fonda un tempo inverso a quello della fisica decadente delle cose sempre a rischio sul ciglio degli imbuti gravitazionali o sul limitare delle trappole della logica consequenziale della ragione o liberi, se proprio si vuole estremizzare, d’essere adottati alle sparizioni e riapparizioni quantistiche col difetto comune che tuttavia le leggi della fisica non risolvono ancora i comportamenti del pensiero che torna sempre alla materia e la influenza continuamente di nuovo e se una volta non dovesse accadere, perché aria dal sen fuggita esso diventa ‘spirito’ irreale ed irraggiungibile noi diveniamo sottratti d’ogni bene e privati di pensiero eccoci tutta disperazione ed infelicità se non ancora follia.

I pensieri sono Angeli Che Danzano Uniti e la poesia è la Macchina Enigma che decifra sulla tastiera luminosa il testo oscuro della tastiera soprastante: ma non spiega, solo traduce fa un testo nuovo, non c’è pensiero cosciente del proprio scoprire l’immagine perché l’immagine è il successo della comprensione che è il mettere assieme le parole in un certo modo che è il nostro transitorio e allegro defilarsi dal centro dell’obiettivo ed è anche fondare i pilastri della foto sui margini dell’inquadratura e abbracciarti scartando lievemente dal tuo cuore. Enigma è una cena con amori numerosi e spiedi di quello che continua e menù di carni bianche ora che la disappetenza non compare più nella carta dei secondi piatti e invece ci viene elargita la misura di saper fermare il movimento, giusto in tempo. Giusto il tempo necessario a chiedersi se nascere sia scampare al destino specifico della biologia genericamente animale per andare alla vita secondo la natura di tempi non più naturali, tempi di una natura che la natura non contiene dei quali non fornisce alcun plausibile sospetto.

Ora fuori da quei tempi di coniugazione delle successioni del creato risulta di una allarmante evidenza l’ inutilità di tutto quell’osservare, interrogare, di tutto quel contemplativo illusionistico instupidirsi in decifrazioni fantastiche sulle nuvole, sul destino del nuoto di un castoro, sulla implicita necessita delle navigazioni sghembe degli orsi polari tra gli iceberg senza alcuna geografia. Ora che l’illusionista ci ha posto sulle dita il codice che rende chiaro l’inganno del finalismo delle migrazioni degli alci e della fioritura della magnolia nel giardino dei dignitari giapponesi e nella corte disadorna della casa popolare dove tutti noi ci si riunisce in poco a caso, per cene e feste dove con una trascurata svogliatezza tuttavia l’amore si sviluppa per aiutarci a sostenere anche l’autunno poiché noi tutti abbiamo ben chiaro che altrimenti non sapremmo sopravvivere alla certezza che nel panorama dello sguardo oggettivo non c’è alcuna perseveranza di bellezza nella ripetizione delle cose via via che se ne determina una fisionomia di vecchiezza.

L’istituirsi della variazione irreversibile del modo di funzionare della materia cerebrale alla nascita potrebbe fare l’origine del tempo che poi adesso che molto è accaduto nella mente può essere detto con parole – e sottratto sia al silenzio sia al segreto dell’ignoranza e dell’impotenza linguistica – ‘origine del tempo’. Ora che la metafora guerresca di battaglie sul mare e di forze sommerse e sommergibili costruite per le stragi provvidenziali o catastrofiche secondo il verso da cui si guarda il colore meraviglioso dell’oceano invernale – ora che tutto questo ci ha fornito la allegoria – allora adesso si può affermare che mai diventa spirito il pensiero umano che può essere decifrato da una macchina solo se contiene intenzioni coscienti da arruffare e ricomporre come sedare una rabbiosa rivolta di pochi disperati che rabbia e disperazione rendono prevedibili.

Vitalità è suono di una parola che non ha immagine perché è realtà di una trasformazione dello stato fisico della materia e scoperta di una realtà della condizione clinica dell’essere umano che si instaura alla nascita e le cui variabili disposizioni nel tempo cambiano gli stati della vita dei soggetti. Di fronte alla complessità di questa funzione restiamo sopraffatti da un gioco di parole, distesi come se fosse possibile solo una dimensione femminile perché agire con movimenti muscolari che alterano i rapporti spaziali esterni per dire di più o riportare quanto appena immaginato possibile ai termini di una maggiore semplicità, si sa essere violenza come è violenza la proclamazione di eroi nel mondo originario costituito secondo la regola bidimensionale del piano sul quale la linea distingue porzioni un poco differenti: cieli, brughiere, macchie scure, tutto questo contro sfondi possibili.

Sopraffatti non vinti neppure dispersi e neanche atterriti o disperati semmai senza bisogno di un senso imposto dall’esterno abbiamo tuttavia una realtà contestuale, un sottostante cielo, una tastiera che si illumina quando altri battono i tasti della tastiera opaca sovrastante e allora diventiamo Testi In Chiaro: Angeli (che) Danzano Uniti ed ogni parola resta un riparo seppure non ancora del tutto la nostra ’casa’.

Ci accostiamo a tentare una serie di termini sconosciuti alla biologia (*) : destino, immagine, colpa, figura, malattia, tempo di natura, tempo umano, nulla, vitalità, vita, rapporto, storia, scoperta, genialità, bellezza, fallimento, resistenza, opposizione, dolore.

(*) ( ed alienati nella irrealtà di una loro natura ‘spirituale’ )

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