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Place Vendome

Le idee tendono a perpetuarsi attraverso di noi. Servendosi di noi,. A noi spetta di lasciar fare. Di lasciarci attraversare dalle idee. È questo un punto di vista. Non è proprio scienza o non proprio solamente scienza. Ma se possiamo morire per la libertà e l’amore vuol proprio dire che siamo capaci di morire per un’idea. Poi vuol dire che la vita mentale è in grado di realizzare costellazioni funzionali inderogabili.

Per via di queste congiunzioni astrali la cui influenza ha una forza inaudita andammo insieme fuori dalle case a trovare altri che come noi erano usciti in strada sotto la spinta di stati d’animo non ancora ben definiti ma presumibilmente simili al nostro stato d’animo.

Le idee hanno una genesi emotiva. Nascono discostandosi dal percorso di pensieri ordinari. Sono nuvole di profumo nel cielo sopra tazze di caffè. Spingono e ci fanno muovere ogni volta perché siamo di nuovo certi di trovare qualcuno ‘dopo’ noi.

Abbiamo idea che il movimento nello spazio cambierà il disegno della città intorno a noi perché è essenziale che ci illudiamo che la città sia lei a cambiare come fosse animata e che sia lei a possedere le qualità della bellezza e il calore delle idee di socialità e di convivenza che noi ci abbiamo messo quando l’abbiamo edificata.

Mattone su mattone noi pensiamo la vita come una città, ci facciamo idee sul nostro destino. Contro la fatalità costruiamo case e ponti e macchine che mostrano la meccanica appassionata della nostra vita psichica. Parola su parola costruiamo amicizie per sempre e amori eterni per allontanare il terrore delle cose fuggevoli, per nascondere in quegli amori e in quelle amicizie il cuore della promessa di non rimanere mai più soli.

Con cura estrema mettiamo in loro il nostro stesso cuore. Con cura estrema mettiamo in loro l’idea che che possano capire tutto questo. Non abbiamo idea quanto sia difficile, per loro, aver cura di noi così tanto appassionati ma tutto questa umanità è inevitabile e che sia possibile quel certo modo di stare vicini nel tempo è idea che continuamente ci accade di pensare.

Speriamo con una pazza sicurezza che, dopo anni, se saremo stati capaci di costruire bene le idee con le quali abbiamo tirato su case e figli, quelle nostre aspettative torneranno nelle piccole case che avremo costruito. Speriamo nei sorrisi fuggevoli di ragazzi non più giovanissimi che scorgeremo avvicinarsi traversando giardini piccoli come un fazzoletto una mattina all’improvviso.

Abbiamo idea di cose fiorite che non si poteva sapere il giorno che sarebbero fiorite come non sapevamo l’ora esatta di quale giorno la pioggia sarebbe tornata a cadere sui sassi troppo asciutti.

Abbiamo idea di poter comprendere la fisica quantistica nel “collasso” dell’infelicità a vantaggio di un attimo di benessere quando, aprendo gli occhi, succede che le cose tornano a farsi presenti come ragazzi non più giovanissimi che si aggirano su fazzoletti di prato.

Abbiamo idea che può piovere inaspettatamente e che solo nella simultaneità di quel momento ci si accorge che stavamo morendo di sete e di mancanza d’affetto e che un giorno in più senza pioggia e senza i passi nel giardino di chi non era più presente sarebbe stata la fine.

E il motivo per cui secoli fa eravamo usciti fuori dalla grotta ci viene restituito dai colori delle facciate e dalle gocce che vengono giù dai tetti.

Abbiamo idea che ci sia un posto libero domani. Dove tornare.

È camminando distratti per le strade che comprendiamo come ci sia sempre stata in noi l’idea di essere umani.

Quell’idea è la forma della biologia del pensiero umano. Ci supera, non possiamo deciderla, non sappiamo fermarla e non sarà mai troppo presto farsene portatori docili.

C’è in noi qualcosa di meglio di quello che generalmente ‘siamo’ fosse solo il pensiero disteso come un lenzuolo alla finestra la mattina che dura le prime ore del giorno ad aspettare una cosa buona l’attesa ingiustificata di conferme inattese di noi ancora vivi.

Il ragazzo dal volto bellissimo e dall’animo disperato eccolo, saranno due giorni, a dire “….dottore dobbiamo parlare urgentemente perché…. è successa una cosa bellissima…. una donna non stupida come io ero certo non esistessero…”

E per la prima volta qualcuno è arrivato a confermare una intuizione di quaranta anni fa: che la fine della cura della malattia (che era stata per alleviare il dolore) è l’attimo di tempo libero e lo spazio infinitesimo di vuoto in cui si rivolge il nastro degli eventi quando smette di piovere. Una variazione di forma delle cose che diventa trasformazione della loro natura.

Dopo che si è finito di crescere, nella assunzione della forma definitiva della nostra realtà biologica, comincia il coro sinfonico delle trasformazioni che stabiliscono sempre meglio, da allora e fino alla fine dei nostri giorni, quello che possiamo chiamare identità del soggetto.

Identità che non ha consolazione e ci distingue sempre dimpiu da tutti gli altri.

E per questo ho bisogno di lei: perché mi perdoni questa progressiva divergenza. La differenza che come uno spazio che si dilata ci allontana mentre viviamo. Ho bisogno di una persona che, come me, abbia l’idea che tuttavia si possa essere capaci, per intima convinzione condivisa, a circoscrivere la distanza determinata negli anni, dallo sviluppo dell’identità.

Diversamente dall’amore convenzionale che cerca la fedeltà reciproca noi staremo insieme a perdonarci la colpa del non voler mai assomigliarci. Sarà uno spettacolo scoprire le cose che ciascuno di noi potrà essere mentre ogni mattina ci si scioglierà dagli abbracci via via che andremo avanti insieme.

Ogni mattina andremo. Usciremo di casa senza scuse sospinti dalla nuvola di profumo nel cielo sopra bianche tazze di caffè.

L’idea è una costellazione della funzione mentale che presiede l’andamento delle giornate e governa il percorso delle passeggiate e le idee variabili che noi ci facciamo sulla vita. Perché non c’è un luogo fuori di noi dove si serba il grano del significato.

È la donna che via via potrà trovarsi a dormirmi accanto che, nella trascuratezza nuda del sonno lascerà, senza neanche saperlo, che io metta in lei tutto quanto potrei scordare di desiderare.

Ogni mattina mi restituirà tutto in un sorriso. E mi lascerà dormire quando sfiorandomi con le labbra la nuca si allontanerà senza curarsi della solitudine cui mi consegna.

Oggi questa era l’idea: che senza questi piccoli eventi l’idea stessa di umanità vacilla, che sono certo di non aver trovato ancora nessuna teoria sull’uomo e nessuna religione che supplisca all’incombente povertà cui questo ‘indispensabile’ mi consegna. Che si fa ricerca facendo l’amore….

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una nuvola di caffè


Posted By on Ott 23, 2015

Che rimanga più a lungo l’odore di caffè nell’aria della nostra stanza.

Il fisico quantistico non computa misure. Egli definisce ‘stati‘.

L’odore del caffè si era diffuso e aleggiava vibrando quanto bastava affinché io oggi, ricordando, potessi affermare che ci si amava profumatamente. Amabilmente apprezzai le tue spalle ammantate di una proiezione blu. I miei occhi certo saranno stati a fare l’aggiunta di colore. A dare valore al pensiero che creò una verità di te che non corrispondeva ad alcuna esperienza precedente di donna.

“Nessuna come te”.

La variazione che distingue misurando una cosa dall’altra, e architetta la scala delle gerarchie tra bellezze diverse, corrisponde ad altrettanti stati fisici della funzione cerebrale. Dunque la misura delle cose è il lato evidente e illusorio di un processo composto di simultanee sovrapposizioni che è lo stato delle cose alla base del pensiero. Dicevamo: la natura fisica della realtà psichica. Ora posso chiarire: si allude ad un comportamento funzionale di base che è uno stato fisico il quale realizza e sostiene la funzione del pensiero cosciente: quest’ultimo compie la misura del mondo in modi numerosi sempre diversi. La valutazione della loro normalità riguarda se insistano o meno in aree di plausibilità, la capacità di sentirne il profumo come nuvole di caffè al risveglio delle coscienze. Eccoti che mi hai visto arrivare. Non hai coscienza del pensiero. Ma che io arrivi è, nella tua mente, sensazione fulminea: io nella tua mente arrivo prima che tu possa pensarlo.

Poi (manciate di millesimi di secondo dopo che sono miliardi di anni luce nel reticolo sinaptico) tu ti trovi piovuta sul pavimento di grigio solido e squillante che ti applichi al mondo ai tuoi piedi e ti chini sulla grana delle pietre e domandi scorrendo piano le dita che vogliono sentire il sisma scatenato dai miei passi.

Ti pieghi alle rocce del fiume e ne accudisci il corso e il fiume è mio figlio cui hai dato con la vita la franchezza.

Lenta elasticamente ti tendi essendo un compasso a levare la polvere da un angolo della luce sui vetri e la trasparenza è mia figlia cui hai regalato con la vita la volontà permalosa.

Mio figlio e mia figlia persone di bellissimo aspetto e armoniose misura corrispondono in me a canti di contralto e di basso, a romanze operistiche, a passione poetica e riflessioni sullo specchio filosofico del logos. Posso precisamente misurare di ambedue, differenti ed esatti peso e altezza. Ma affido a giri di parole e a variazioni di tono la trasmissione in volo della condizione mentale e della postura psichica riguardo al materiale che ci lega, alla consistenza della fibra amorosa, alla resistenza a tensioni proporzionali al variare delle distanze tra i continenti che  separandoci ci accolgono lungo il tempo che trascorriamo lontani.

Posso conoscere ma non misurare la forza che mi tiene legato a loro secondo quanto l’amore richiede.

La vitalità è la funzione che trasforma uno stato della mente in una azione discreta di pensiero cosciente. La vitalità coglie la bellezza nella voce del soprano all’Opera che modula ‘Casta Diva’. Della donna della ninna nanna china su uno appena nato. Dell’accordatore di pianoforti. Dei pescatori appesi sopra la rete oceanica che essi tendono con la maestria dei reciproci complessi accordi muscolari.

Procedure identiche della condizione della natura fisica stanno alla base di processi psichici che offrono continuamente risultati differenti dentro un cerchio di plausibilità. Il benessere di questa molteplicità di conclusioni non contraddittorie si amplia come la lievitazione del pane la mattina presto: prima del picchiettare dei passeri sul tetto e del rimbalzo elastico dei ragazzi sul marciapiede della scuola. L’insieme dei numeri tra zero e l’unità sono tutti i punti nel quadrato di lato uno: visti sul piano formano l’idea che il pensiero matematico possa essere, plausibilmente, una nuvola di caffè.

Nella ricerca sulla fisiologia del benessere applichiamo l’analisi del transfert secondo le procedure degli scommettitori. La precisione dei risultati migliora con il tempo. Per esempio: se devi raddoppiare l’accuratezza bisogna quadruplicare l’applicazione dei calcoli…. La vitalità sostiene questa disparità con il sorriso. Non tiene conto altro che del guadagno in termini estetici. La fatica non conta.

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Dunque eccoci a cena per scegliere quanto escludere. Cosa non ordinare. Per osservare quietamente il mondo della cucina da sale apparecchiate. Dove sediamo insieme e me che ti osservo respirare su giù su giù. Me che ti leggo le pietanze che non ascolto le mie parole. Sei testimone che è questa la verità della cena. Il mondo condiviso delle intese invidiate. Ci sarebbe assai da rivelare ma, no, è infatti in evidenza, e che vuoi rivelare. Sono decenni poco raccontati. Personali. Ininfluenti. Nessuno conta più così tanto. Anche se poi si sceglie di mettere in evidenza…. però mai la diffusa qualità. Semmai il genio. Non il cobalto né il mare né il cielo verdazzurro di Brasilia: si mettono al sole dell’osservazione le isole, i fenicotteri, il primo piano e, in poche parole, le rarità. Io, superbamente, alle cene, come un vescovo osservo altezzoso dall’impietosa mia altezza, seduto sulla pietanza al timo. Spargo i miei occhi stralunati dalle ciminiere dei vasetti delle marmellate di pere fichi pesche mele cotogne. Mentre scegliete scegliete mangiando già con gli occhi e consumando il dopo cena che invece dovrebbe essere, della cena, il piatto forte (salvaguardato sappiamo tutti perché…) sfamo gli affanni con la fantasia pseudo-aristocratica in realtà snob, solamente e miseramente snob (se sai l’etimologia): fantasia che lotta contro i morsi della fame. E con te accanto e gli altri sorridenti sopra i piatti bianchi e tiepidi si ergono sull’agora delle palme di tutte quelle belle mani ben lavate e profumate eroi-guerrieri stravolti dagli orgasmi con le ‘madri’. Fantasia sovversiva di incesti inevitabili per la penuria di vettovaglie nell’assedio, per la carenza di alimenti cui mi consegno anche oggi circondato dalle linee asciutte che voglio per me. Stecchi di gambe magre così che palustre è l’aggettivo che meglio si adatta alla mia cena. Palustre acqua smeraldina lascerei sgorgare con ruscelli di parole nel verde di erbette e ramoscelli. Poche parole, strette come mani impaurite. Così strette da far salire nella mente qualcosa che frigge il disegno di un fulmine di fortunale e mette insieme energia e tempo: direi…. “ostinazione”! La ricerca ostinata. Composizioni di persone su divani e seggiole antiche e cuscini in terra. Giovedì composero una scala di clavicembalo ben temperato. Do, do diesis, re, re diesis, mi, fa, fa diesis, sol, sol diesis: se vedi è nella grafica del disegno illustrativo precedente ad oggi. Vuol dire: una ragazza, un ragazzo, una ragazza, un ragazzo, poi accanto due ragazze ancora che si succedevano (mi e fa) secondo l’intervallo di un semitono e poi avanti fino al sol diesis. Legami di sangue. Intrecci di pensieri intravisti oltre il fumo profumato che sale dalla matassa succulenta dei tagliolini. Anche il pranzo della festa nel brusio e nel vapore richiama i fasti del laboratorio di chimica e elettrofisiologia e le cucine, si può anche aggiungere, come io credo sia il pensiero dei fisici contemporanei. Istrici e volpi ribelli della scienza. Penso, mentre ceniamo, alle cose meravigliose che mi mancano ancora da conoscere. Perdo appetito e mi viene l’orgogliosa umiltà che è il tempo che mi mangerei. In fondo, da ora in avanti, il poco di comprensione, quel tanto in più di quanto sarebbe stato normale aspettarmi, non sarà che provocazione anoressica. Offesa di  bicipiti deboli, e quadricipiti esili: sottili segmenti acuti attaccati saldi alle ossa in risalto, come le cavallette appese alle canne sulla curva per il mare, l’ultima prima della duna che va perennemente a fuoco ogni agosto e cuoce i piedi e la fronte.

Signora contessa…. vieni alla ricerca, stacca il biglietto con un morso uguale pieno di saliva di piacere quando affondi la vita delle tue labbra rosse attorno ai fianchi di quei fichi secchi che pochi rarissimi chef offrono, su tovagliette di lino, uno per ciascuno dei commensali arrivati fino alla fine: oltre il fiume dei caffè, solo per chi non teme l’insonnia.

È adesso l’ora buona di smettere di piangere per la ricchezza delle cose mai staccate via per sempre. Nella ricerca trascorsa fu sempre il futuro prima di tutto.

Mi sono regalato, in cambio di una serie di difficoltà e rifiuti, tutto quello che a tutti, quasi tutti, manca ad esser ‘pronti’ per la notte.

 

 

 

 

 

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Mi sono messo a disegnare un albero metafisico con chiome dense come le nuvole. Un albero irreale e ideale. Per aver visto prodursi un ideale dibattito che si apre come si aprono gli occhi e anche come si aprono le mani. Le ripetizioni del tema della proposizione fanno bene alla vita del pensiero. Le liturgie respiratorie dei mantra e della preghiera ripetuta e le mani delle vecchie devote sui rosari che sgranano insieme parole smozzicate e oramai senza passione funzionano perché ripropongono la fisiologia del pensiero pre/verbale del pensiero di seta ritorta del pensiero sottratto al significato e restituito all’informità del bozzolo da cui il filo nasce. Così recitavano le dolenti che assumevano anche i miei peccati assenti nelle liste del perdono pomeridiano e si pregava per me assai prima di tutto e forse non fu sbagliato perché io giravo la manovella della tostatrice del caffè e mi sentivo bene grazie alle differenti azioni sia della mano che rivoltava con delicata potenza i chicchi incarcerati nel cilindro forato sia del suono frusciante e strappato dalle labbra semichiuse di anziane a guardia del paradiso che raccomandavano il gruppi di anime degli abitanti la vecchia casa di ferrovieri a pigione. Ho disegnato un albero metafisico da sotto mentre stavo come se fossi a naso in su ai piedi dell’albero. Disegnare alberi fa bene alla vita del pensiero perché la ripetizione frattale delle forme fa bene al pensiero che è anch’esso frattale cioè ha una successione seriale di tipo frattale. Cioè il pensiero ha ricorrenze e sviluppi imprevisti che poi tornano a riprendere da capo la ricorrenza però mantenendo l’incremento di complessità. Per cui si può dire che esso ha una somiglianza interna una omotetìa intima, un ri/assomigliarsi più volte ricorsivamente e un crescere dilatativo ed un tornare su di sé com’è diventato con tutta la sua incrementata complessità che si sviluppa ancora ricorsivamente e intanto procede lungo i propri specifici filamenti lungo linee elementari di sviluppo che sono in genere amori o narrazioni di tramonti o delucidazione di scoperte che servono per chiarire ogni volta le variazioni apportate agli elementi costituenti dell’inizio che sono poi le prime scarne proposizioni verbali cioè offertori musicali e fughe che contengono velocissimi passaggi sulle tastiere e contrappunti in forma di note allo specchio. Bisogna dire le cose in breve. Cambierò la forma stilistica delle pagine. Cambierò il modo di amarti. Trasformerò l’offerta d’amore in frasi cocenti e te nella bocca rovente del camino d’inverno per scaldarmi le mani. Ti lascerò a tua volta a bocca spalancata per il mio ripetere il tema alternando l’istinto della musica con frasi scientifiche e le frasi scientifiche -cioè gli istintivi spunti di invasione tematica sull’ignoto della materia e della natura- verranno depositate sulla groppa del “Violin Concerto” di John Adams e Philips Glass esattamente la proposizione musicale incalzante nominata come “I.Quarter Note =104/Quarter Note =120”. Mi amerai ascoltando lontana questa musica? O anche “Stillness” di Joe Henry nell’album ‘Blood from Stars’? Tu sai che l’amore è una composizione di discorsi musicali una cremosa pantomima dolce di squisitezze introvabili e intramontabili preludi che si regala come sangue e scivola e rotola dalle stelle? Sai che la velocità con cui cascate di sangue ci imperlano la fronte comunque di certo è quella del suono? La ricaduta dell’amore sulle nostre vite e sui nostri capelli esposti alle stelle avviene alla velocità del suono. La luce non ci serve perché nella realtà della materia cerebrale nella quale risiede la funzione del pensiero il buio regna sovrano e l’immagine per questo smorza ed assorbe tutte le percezioni del mondo fisico degli organi e degli apparati muscoloscheletrico e cutaneo gastroenterico e assorbe e neutralizza tutte le sensazioni del mondo esterno tattili e acustiche e gustative e visive e quando racconto una storia servendomi di uno spunto di storia ti dico solo come tutto si è spento ed esaurito nel pensiero che continua a respirare come un frattale portando variazioni continue su ogni componente elementare di una prima serie di dati lungo una prima serie di fratture sulla linea della comprensione che ci unisce. Poco a poco la successiva segmentazione trasforma infatti il legame primitivo in una unione felice. È un concerto di cura che ripetendo le proposte musicali migliori realizza la somministrazione posologica del farmaco che produce la guarigione. Dovremmo ascoltare Miles Davis e precisamente “The Pan Piper”. Dovremmo condividere tutto proprio tutto specialmente le domeniche mattina e la fine nel fuoco e nel ghiaccio. Dovremmo condividere tutto anche che le madri spingono davanti a loro il carretto della fine dei loro giorni per farci strada. Dovremmo non temere il nero del caffè e i formalismi terroristici degli psicanalisti che per curarci ci insegnano larvatamente ad essere cinici per non turbare il mondo oltre la finestra con il sospetto di una maternità finalmente fisiologica ed esauriente. Dovresti ascoltare “The Orphée Suite for Piano” in  The Music of Philip Glass di Paul Barnes (che puoi comperare qui https://itun.es/it/AEbGc). Dovresti, se mi amassi e volessi condividere la vita come una raccolta musicale e un poema danzante. Ascolta su Minimal Tendencies “Song for Tony- 1st moviment” dei Delta Saxophon Quartett e poi “Reqel” nell’esecuzione del Ben Goldber Quartett, e ancora Lucy Michelle and The Velvet Lapelles in “Diabolical” ed altre grida di strazio e dissonanti tuoni e passioni. Dovresti prima di continuare a dare i tuoi giudizi stantii. Fine. Dovresti essere umile dello studio farti assolvere la pochezza delle approssimazioni prima di parlare prima di tutto imparare a piangere generosamente. Imparare ad invecchiare con me essere bianca d’amore e rossa di vergogna del tempo rubato dei soldi trattenuti delle tasche sfondate dai sassi della prevedibilità che ti appesantisce. Ti regalerò “Ordinay Man” degli Eels perché tu apprenda la scrittura lacrimevole del pentimento sessuato e portare le labbra al sacrificio del seno rosso esplosivo. Queste sono le note. La tua corsa giù per la scalinata è il mio cruccio e il rifiuto.

Alcuni, dicono che il mondo finirà nel fuoco,
Alcuni dicono finirà nel ghiaccio.
Da quello che ho provato di desiderio
Approvo coloro che sono per il fuoco.
Ma se dovessi perire due volte,
Credo di conoscere abbastanza il male
Per ammettere che per la distruzione
Il ghiaccio è pure forte e sarebbe sufficiente.

Questa poesia proviene da: Fuoco e ghiaccio di Robert Frost | Poesie di Robert Frost
http://www.poesie.reportonline.it/Poesie-di-Robert-Frost/fuoco-e-ghiaccio-di-robert-frost.html#ixzz2MBsRtd58

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Rockfeller Center – 1932


Posted By on Ott 1, 2012

Oggi ci occuperemo gli uni degli altri. Perché lo so che da un po’ la passione per lo studio mette in crisi la passione. Non farò nulla per nasconderlo. Sono certe parole d’amore che, studiando l’orizzonte luminescente delle scienze esatte, non salgono su con la stessa convinzione. Ma è che devo studiare perché mi sono messo da tempo in una posizione di equilibrista tra i grattacieli. Essere esposti è ignorare ciò che si determina negli altri al passaggio. È aver abbandonato ogni illusione di controllo sul consenso e vivere sulla terrazza. Un mondo sopraffatto dagli … spifferi. In forma di brevi brividi. Di sorrisi privi di estasi. Di incontri ambigui: “Come stai bene!!?” Il punto interrogativo esprime una punta di perplessità. Mentre io non ‘vedo’ perché non sia naturale: cioè fisiologico. Star bene. “Viene da sé direi… o no?!”  Penso tra me portando avanti la risposta in silenzio: “Uno sta bene di base. Uno profuma di caffè da subito nascendo. Si sparge nelle stanze ostetriche il borbottio delle macchine…

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