anatomia


la voce dove nasci è impervia


Posted By on Ott 5, 2011

la voce dove nasci è impervia

Ad osservarti i piedi sul cemento, i quadri dell’anno mille con gli angeli proletari lungo le mura dei castelli, e le foglie più alte dove l’albero diventa cielo: devo considerare il mio interesse per i confini dopo tutto quello che è già stato.

Dopo di me è fino a dove si estende il linguaggio e abbraccia fino dove arriva il suono e lo sguardo. Se la particella arriva con la sua massa prima del riflesso luminoso: allora non sapremo più che sia l’estensione, i corpi e i profili sull’erba, o alla parete.

Potrebbe essere che ti gridassi nomi verbi e definizioni, e che ti guardassi – perduto – e poi eccomi là ad attendere suoni e paesaggio. Per scoprire che ti fa. La massa nella città del tuo sorridere prima della luce? Allora, davvero, molte cose non erano ancora finite.

Le nostre storie sono la piega ultima del mantello dove sfiora il terreno. La concretezza delle cose è al confine di noi. E infine siamo le impronte degli studenti della scuola superiore, che girano l’angolo che porta a casa mentre tutto ruota.

Siamo tutto ciò che si può pensare poiché la salute della mente accerta il permesso della fantasia: non è desiderio d’essere, questo insistente cercarti, è immaginare di trasformarsi il viso, la ruga sulla fronte, la giacca di lino nuovo che ammicca la felicità se ti eri seduta di fronte a me.

Denuncio la cattiveria di cogliere sempre solo difetti, e studio per non sentire il dolore. Se tu non avessi capito è male perché si dimentica quasi tutto all’ombra della conoscenza. C’è un tipo di scoperta come panna allo yogurt sul lesso di carne. Acidità ardita con la quale mi permetti un bacio alla volta, suggerendo: “… sarò preda dell’intelligenza soltanto, ma, in tal caso,senza difesa.”

“Tutto consentirsi..” dici. Tutto. “Se nasco…” Dico “…se nasco.”

L’immagine è linguaggio. Avevamo scoperto che è pensiero senza memoria. Ricordo, non figurazione di eventi. La voce dove nasci è impervia.

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l’incavo della mano e quello che non siamo più

Incapaci di sognare aggiunsero un balletto alla storia. Due, donna e uomo vestiti di bianco, totalmente senza sesso. Ora se ne ride, ma fu una tragedia anche per noi che non sappiamo di che cosa stiamo parlando. Ballavano, uomo e donna, coscienza e inconscio nell’impossibilità d’amore. Ma il pensiero inconscio non è definibile come pensiero ‘in difetto’ di coscienza. Neanche si sa per quale motivo fossero assegnati alla coscienza -nelle saghe del potere culturale- così imprevisti attributi. Così capita di trovarsi alle prese con  errori conoscitivi, culturali, con il peccato di presunzione quando scopri che avevi proprio preso una cosa per un’altra.

Due senza sesso, vestiti di bianco candido splendente, di lino appena uscito dalla tintoria. Quel passo elegante, ricco di compiti da svolgere, quelle figure tutte arricchite, tutte dovunque arricchite, sulle gambe sulle braccia, belle, a danzare eleganti nell’aria un centimetro sopra il terreno secondo quanto appreso nel Manuale Vivente di Sopravvivenza e di Presenza Scenica, dai maestri nella Accademia di Riscoperta della Soavità, all’ Università del Ballo Narrativo. Non eravamo del tutto digiuni di tutto questo per via che eravamo stati anche noi ai Licei degli Apparati Scenografici, ai corsi del Giusto Movimento Delle Masse. Non bastava però.

Comunque è un dato. Pensavamo più o meno così: abbiamo qui due senza sesso, come parole vicine, che si confonderanno perché non si è voluto saperne di aumentare la conoscenza. Due soggetti ambedue pigri, indolenti, accidiosi alla fine. Che hanno voluto mantenere una condizione esclusivamente poetica senza piegarsi a sapere di cambiare certe parole, per ristabilire una differenza che togliesse la confusione. Se i suoni di due parole differenti sono differenti anche l’immagine è differente: uomo e donna suonano proprio diversi. Ma loro no, ballavano estranei a loro stessi come Manuali Viventi a Disposizione dei Semidei.

Incapaci di sognare, i registi nell’ora di chiusura -quando le maestranze non erano più presenti- eccoli a inventarsi una toppa con la scena del ballo: una toppa: così apparve a noi che d’altra parte, a tutt’oggi, non sappiamo neanche ciò che stiamo dicendo: che infatti non siamo ancora stati in grado di spiegare per quale motivo siano continuamente assegnati alla coscienza -nelle saghe del potere culturale- così imprevisti attributi. Logica e consequenzialità. Affidabilità e prevedibilità. Soprattutto, pretesa indecente, la verità. E loro avevano messo il balletto come fosse una forma poetica, un inciso musicale, il massimo, devono aver pensato, dell’azzardo. Viene da piangere, a guardarlo.

Il ballo nel mezzo della storia non ha nulla di magico e di romantico: è semplicemente un abuso. La verità è anch’essa un abuso ma non sotto forma di balletto, di scena di seduzione, di seduzione priva di sessualità. E così quei due ballavano ed il film andava in pezzi sulla pista da ballo. La verità non ha nulla di eroico e neanche di poetico, come si può notare. Così il film andava in pezzi mentre, assenti le maestranze, i due ballavano in maniera aggraziata e secondo i manuali ma senza un briciolo di sesso, un grammo di realtà. Non si sa come sia accaduto che la verità abbia assunto la fisionomia di un gesto mentale da guerra di liberazione. Ci sono persone incapaci di sognare, questa è una verità evidente e che c’è di eroico?

Ci sono alcuni che mettono dei balletti nel mezzo della loro vita senza sessualità. Farciscono la loro vita di enfasi, di seduzioni probabili per via dei lustrini sulle cuciture delle loro striminzite giacche da toreri, o certe tute attillate da ballerini. Per quanto noi non sapessimo neanche a cosa stavamo prendendo parte, là nella platea del teatro del Cinema della Ripetizione degli Eventi Fondanti il Periodo, il film andava in pezzi. Il Periodo rovinava a terra assai poco eroicamente ed era il sentimento, a prenderne atto: c’è una verità in assenza di coscienza, si chiama dolore: dolore non è l’unico modo di acquisire la verità senza che se ne prenda atto con coscienziosa disposizione.

Reagimmo, per quanto non sapessimo bene a cosa stavamo prendendo parte. Scrivemmo, scriviamo ancora, non smettiamo di scrivere e sappiamo che c’è un sacco di vitalità nelle lettere maiuscole: scriviamo Cinema Della Ripetizione degli Eventi Fondanti il Periodo come se le lettere maiuscole, all’inizio delle parole, donassero loro una profondità, una divertita complicità con chissà quale storia. Gli Anni e i Giorni in cui accaddero gli avvenimenti in questione, i Mesi di quegli Anni, diventano luoghi speciali dove riporre per sempre le cose che accaddero: accadde che eravamo pieni di meraviglia adolescenziale perché le cose erano, come poi si sarebbe detto da tutti gli educatori, davvero più grandi di noi. Non è che sia mai una bella conclusione che le cose siano più grandi dei soggetti coinvolti negli avvenimenti e la verità, come si può ulteriormente notare, è modesta, poco affascinante, soprattutto non è rivelatrice.

Scoprimmo che i due in bianco ballavano senza nessuna sessualità, che fingevano una attrazione che non c’era, che erano stati messi là per distrarre le persone da un fallimento della cultura. Si parlava, a quei tempi, di verità come uno tra gli eventi decisivi della successione ideativa degli esseri umani, come uno spartiacque nella comprensione storica, come un evento incontrovertibile che avrebbe cambiato le priorità nella genealogia sociale. Qualcuno studiava anche il tono della dizione: una dizione con emissione di suono ‘piucchessuficiente’ era pretesa come indispensabile all’azione della pronuncia della famigerata parola. Verità.

Ma i due ballavano, in vacanza di ogni operaio del retropalco, e niente era vero in quel ballo. Il ballo era la rappresentazione di niente di quanto era evidente all’osservazione di una scena di ballo nel mezzo del film. Semplicemente: la verità è una forma del sesso, questo è. E quei due non esercitavano nella pressione dei loro corpi l’uno accosto all’altro, alcuna energia. Non si pensi all’idea di un qualche desiderio, di cui tanto si è sproloquiato negli ultimi decenni. Come detto qualche paragrafo fa “ il Periodo rovinava a terra assai poco eroicamente ed era il sentimento, a prenderne atto: c’è una verità in assenza di coscienza, si chiama dolore..” Così noi avevamo un dolore per via che la verità era che ci fosse un ballo tra un uomo e una donna privi di qualsiasi intenzione riguardo al sesso. Seppure è vero che il “dolore non è l’unico modo di acquisire la verità senza che se ne prenda atto con coscienziosa disposizione” quel dolore per una assenza decisiva era legato al sesso che permette la conoscenza senza pensiero cosciente.

Le cose del sesso sono gli abbracci le mani gli intrecci delle gambe il cozzare felice della fronte e del naso contro il naso e la fronte dell’amante. E’ la storia delle ginocchia che si scontrano e cozzano senza rumore ma con grande produzione di idee e poi è le cose che dopo succedono, cose di indiscutibile importanza. Avevano messo il balletto, un uomo e una donna asessuati, perché parlare di sesso, a forza di essere privi di sogni, era diventato loro impossibile. Avevano tentato di sviare il discorso. Indirizzarlo. Fare un piano sequenza inarrestabile da allora oltre il fiume e la valle fino alla ferrovia. Ma ci svegliammo con un sogno del tutto differente, i capelli di lei che urlano, la verità che è il suo seno, che corrisponde con esattezza all’incavo della mano dell’ uomo. E’ il rapporto la materia sublime dell’allegria.

( notizie sull’immagine dell’articolo : qui )

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spie


Posted By on Giu 4, 2011

spie

La linea della scrittura compone la complessa serie di variazioni degli angoli che sono realizzati nel ricordo dei movimenti, dai segmenti del disegno della figura umana che sempre   seppure in lontananza si distingue senza sbagliare da qualsiasi altra figura di natura animale. Non sbagliasti allora … di certo ricordi. Sai e ricordi i gradi di angolo che cantavano i tuoi e i miei passi sul ciglio, che poi divennero lacrime dalle ciglia giù alla storia, determinati tutti e due a continuare con quegli abbracci imbronciati d’amore, ma era passione, che faceva paura a tutti perché sfidava la ragionevolezza, non lavoravamo quasi più, eravamo uomo e donna delle caverne. Le linee sottili contenute nelle figure di noi scrivevano la parola ‘realtà’ diversamente dagli invidiosi che auspicavano ignoranza e confusione seppure è vero che lo studio che facevamo insieme riguardava il movimento caotico del volo degli uccelli e la descrizione delle curve del seno e del pene nella galleria dei miracoli pulsanti. Deciframmo non so più quanti geroglifici al buio perché le canzoni ci costringevano a chiudere gli occhi e tacere. Ricordi. Eravamo insoliti amanti, simili – nell’insolenza delle cose mirabili – alle carezze che alcuni sanno trarre con maestosa calma dal dorso della mano e alla curva delle ascelle quando volta rapida all’aria marina circondando l’articolazione della spalla. ‘..Il filo, il trattino spezzettato della linea è immagine…’ sentivamo dire, ed ora la frase galleggia alla ricerca dell’ennesima adozione, è una slanciata mezzosoprano in pellegrinaggio, in cerca di audizioni, in ansia di acuti strabilianti tra il ventre e la gola, con un filo d’amori quasi dimenticati e un prorompente egoismo, tutto colorato, nella delicatezza degli apici del suo profilo. Siamo silhouette storiche adesso incomparabili. Le figure sui fogli del ricordo cosciente dei sogni diventarono linee quando ci allontanammo e – se fosse stato possibile realizzare il senso troppo doloroso del tempo definitivamente precipitato nel burrone acustico del nostro reciproco ‘…  mai più…’ -saremmo stati in grado di rifare la scoperta del pensiero che tace perché è nascita. Rimase il  ‘ … per sempre…’ , la ricerca, il filo dei segni della parola ‘noi’. Resta tutto da fare ora: gli avverbi di tempo circolano nel torrente sanguigno e le parole che abbiamo amato e assimilato nelle fabbriche dei materiali metabolici delle cellule sono a nostra insindacabile disposizione e giudizio e verranno ripetute nei sogni ogni volta. So scrivere delle cose che mi hanno persuaso quando da un certo momento non ci fosti davvero più e posso ricomporre sul foglio il tuo movimento, il battere dei tuoi passi sulle scale, il sorriso nelle foto, le trasfigurazione degli orgasmi, il silenzio di sacrestia del cielo bianco invernale la domenica mattina… Ed altro ancora.

Quando la vita mentale corrispondente al tempo passato insieme agli esseri umani che abbiamo amato, trova il presente della coscienza, diventa figura del ricordo, poi la figura del ricordo cosciente determina una complessa situazione affettiva che origina il pensiero verbale, e nel silenzio della solitudine il pensiero verbale diventa creazione di una corrispondenza delle figure con i suoni appropriati e linguaggio. Nella azione conseguente della scrittura la figura del ricordo cosciente diventato pensiero verbale si allontana progressivamente dalla coscienza grazie al movimento della mano perché la vitalità porta il pensiero al movimento che spezza opportunamente la linea dell’inchiostro nei trattini che danno vita alle parole allineate. Così la figura svanisce e viene sostituita dalla scrittura dei pensieri. Sul foglio resta per sempre l’immagine delle cose accadute nella loro forma originaria e definitiva: la forma del pensiero del primo anno di vita senza coscienza e senza parola che si può solo  indovinare e che ora si manifesta nei tratti essenziali di una linea discontinua elegante inarrestabile e muta.

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il mondo esterno


Posted By on Apr 4, 2011

il mondo esterno

Il mondo esterno eccita i percorsi cellulari della sensazione, attraverso la quale, continuamente, veniamo restituiti a noi stessi. Diveniamo disomogenei ed incoerenti soggetti di un mondo intimo che è pieno di cose – nessuna delle quali occupa alcuno spazio – grazie all’impatto sensoriale delle innumerevoli forme di realtà più o meno dotate di vita e movimento illuminate dal sole. Il pensiero ‘umano’ – più di una singolare coscienza – è una azione di persistenza che circonda e ridefinisce, senza riposo, aree grandi di calma disabitata, interruzioni, strappi sulle pareti verticali di roccia, cadute di pietre dalla cupola, l’azzurro scuro sotterraneo, ogni varietà di volo, le sospensioni, la trasparenza delle barriere, la mancanza di fantasia, la natura profonda della conoscenza ed ogni altra azione del pensiero quando il pensiero non è semplice appropriazione di cose, descrizione di oggetti e cronaca di successioni. L’esterno ci accarezza, ed evoca la materia umana a reagire agli stimoli. Il corpo è un microscopio di precisione, intrattiene commerci, esercita traffici, al fine di realizzare lo scambio di tutte le cose possibili con l’ottenimento di una felicità. Siamo cellule illimitatamente vedenti. Le sensazioni infinite stimolano impressioni – originate direttamente dalla materia della sostanza cerebrale – mai percepite in forma di ‘figure’. Pensiamo oggetti mai esistiti. Sono necessarie parole esatte in una esatta composizione, per esprimere la fisiologia di una tale trasformazione, grazie alla quale la realtà materiale degli oggetti, percepiti nello spazio esterno, si trasforma nella realtà della vita fisica del pensiero, che non occupa nessuno spazio. La creazione di ‘immagini’ che non derivano esclusivamente dalla percezione di un oggetto illusoriamente ‘sottratto’ al mondo tramite l’attività fisiologica della visione oculare – consente di cercare e pretendere forme di relazione in cui gli esseri umani non siano mai più padroni gli uni degli altri.

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