strumenti per la resistenza


first kiss


Posted By on Mar 12, 2014


Un video virale, ha milioni di visualizzazioni in poche ore e come dar torto ai visitatori ? Un dato decisivo, durante la ricerca nel cespuglio cerebrale che chiamiamo ricerca in psicoterapia, per fermarsi un momento durante la corsa e sedersi su un gradino della via del paese a guardare l’antico borgo e il cielo intagliato tra i tetti e lentamente, dopo tutto quello che potremo pensare per non fare i conti con noi stessi… valutare la confidenza che ognuno ha intrattenuto con il proprio tempo amoroso… che altro? ah già…. la colonna sonora è “We might be dead tomorrow” di SOKO…

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Proviamo a dire poche cose tra le infinite che sarebbe necessario e per le quali la vita non basta. Cominciamo con una citazione da C. Sherrington “Man on his Nature” University Press, Cambridge, prima edizione 1940 (traduzione italiana dalla seconda edizione inglese: “Uomo e Natura” Boringhieri Torino – 1960) : 

“La mente, per tutto quello che la percezione può abbracciare, se ne va perciò nel nostro mondo spaziale più spettralmente di uno spettro. Invisibile, intangibile, è una cosa che non ha neppure contorno; non è una ‘cosa’. Rimane senza conferma sensoria e continua a rimanere tale.” ( pag.317 della traduzione italiana)

La scienza della natura ci conduce in una via senza uscita – la mente, di per sé, non può suonare il piano; essa, di per sé, non può muovere un dito di una mano.” (pag. 222 della prima edizione inglese)

“Vuoto completo sul ‘come’ la mente possa far leva sulla materia. L’inconseguenza ci sconcerta. Si tratta di una malinteso?” (pag. 232 della prima edizione inglese)

Adesso prendiamo Eraclito:

“Gli altri uomini non si rendono conto di ciò che fanno da svegli, così come non sanno ciò che fanno dormendo.” (fr. 1 parziale)

“Se uno non spera l’insperabile non lo troverà perché è inesplorabile e inaccessibile.” (fr. 18)

“I confini dell’anima camminando non li potresti trovare, anche percorrendo ogni strada: essa ha un logos così profondo.” (fr. 45)

E’ proprio dell’anima un logos che accresce se stesso(fr. 115)

“Non c’è uomo che abbia visto, nè ci sarà mai che conosca, la esatta verità intorno agli dei e a tutte le cose che io dico. Ché se anche uno arriva a dire la verità più compiuta, tuttavia non ne è consapevole; riguardo a tutte le cose non vi è che sapere apparente.” (fr.34)

Lo sforzo di conoscenza dei presocratici. La lotta dei contemporanei contro il sospetto che, cercare la conoscenza sia, in se stesso, un malinteso. Che forse l’antinomia uomo natura è irrisolvibile, e che il massimo – cioè emancipare il pensiero del metodo dalla credenza – porterà solo alla ‘certezza’ che l’essenziale è inconoscibile. La realtà attuale ha il regno della fisica, che indaga la materia: se quella scienza sia conoscenza per gli stessi fisici è ancora un accordo da trovare, almeno se deve essere il ‘mondo’ a confermare una unità di vedute. Allora forse la conoscenza è il modo della distinzione definitiva tra uomo e natura e poi “vedremo…” Ma certo queste parole, ‘realtà’ e ‘conoscenza’ , sembrano stare sempre più chiaramente su differenti mani. Tra le grinfie di una fata e un elfo, magari. Che non sanno dialogare tra di loro, seppure frequentino da millenni la stessa foresta. Così possiamo dire come sia che delicate dita candide e bianche stringano chiavi di celle sotterranee che contengono segreti. E come anche possa essere che zampe pelose brune, unghie ad artiglio, offrano pasticci di panna e frutta del sottobosco. Natura e uomo. Attività cerebrale che regola l’istinto e vita psichica che tenta la conoscenza della sanità del pensiero.

Nella mente si formano idee corrispondenti a ‘uomo’ e ‘natura’, ‘istinto’ e ‘conoscenza’.

Citazione bibliografica. Essa è indispensabile a segnare il punto di massimo sviluppo della medicina e delle scienze umane: “Istinto di morte e Conoscenza” M. Fagioli. Ma in questo caso non devo (mi è di fatto impossibile) proporre citazioni che limiterebbero la necessità di una lettura completa.

Nel libro, le parole della ricerca iniziata dai presocratici, diventano: realtà non materiale, immagine, pensiero, rapporto, rifiuto, linguaggio. E continuando la cantilena: istinto, natura, natura umana, negazione, fallimento, tragedia, lavoro, affettività, rifiuto, conoscenza. Sono granelli del rosario che, poi, gli specialisti e gli studiosi (medici e scienziati insieme) si sono impegnarti a incardinare in una costante ed insperabile riproposizione di resistenza, che allinea i giorni della ricerca in contenitori di tempo di trenta, quaranta, cinquant’anni. (A seconda delle date di nascita.) Nel libro (le parole) realtà, verità, vita, pensiero si succedono per definire le idee a proposito di sé stessi e degli altri, della propria ed altrui attività mentale, delle vicende psicologiche tra i partner di un rapporto: ma differenziandosi da, e rifiutando alacremente, le condizioni imposte da apparenze teoriche precedenti. Una possibilità di uscire dal disincanto di duemilacinquecento anni di approssimazioni tra le aspirazioni legittime verso dati ‘oggettivi’, e il confortante cinismo delle descrizioni riduzionistiche. Leggendo ho sempre pensato quanto fosse difficile riprendere il discorso originario. E strano doverlo fare ricreando nella mente, se possibile, l’infanzia dei secoli quinto e quarto prima di Cristo: infanzia evidente nel linguaggio ‘oscuro’ delle domande. Definite dai contemporanei: ‘frammenti’.

L’uomo accende a se stesso una luce nella notte, quando i suoi occhi son spenti; da vivo tocca il morto, con gli occhi spenti, da sveglio tocca il dormiente.” (Eraclito: fr. 26) 

All’origine sembra, ad uno sguardo obiettivo, che il bambino sia proprio solamente natura. Istinto senza pensiero. Istinto…. “e incanto“- aggiungo. Si. Il frammento n°26, proveniente dai secoli quinto e quarto prima di Cristo, viene definito, ancor più degli altri: ‘oscuro’ !! “Ma anche incantevole di certo” – penso. E’ il mormorio cantilenante del neonato, sulla espressione mimica di un ‘animale’ addolcito e trasformato da un dubbio. E’ la cantilena delle bugie d’amore, che lo istituiscono in una vera passione, l’amore in questione. “L’incantevole cantilena è la bugia necessaria di un inganno?” – è un frammento di incertezza, una incrinatura nella fila delle asserzioni e -“E’ umano il bambino?” E “Così forse si chiede la mente nel quinto e quarto secolo prima di Cristo….”- mi invento io, e poi -“Ma se anche fosse, deve essere stato un attimo!“.

Il pensiero adesso è semplice e poverissimo: suggerisce che il libro propone… no! afferma che il neonato non è natura ‘animale’ da educare alla ragione. Io dico a me stesso:- “In quelle fattezze così diverse da qualsiasi specie precedente, in quell’essere così indifeso e infinitamente in grado di rendere precaria ogni nostra certezza precedente, c’é tutto quanto era necessario perché noi proiettassimo “là” tutto quanto ci serve per la felicità“. La cantilena diventa: istinto, natura, trasformazione della biologia, vitalità, stimolo, immagine, pensiero umano, nascita. Il frammento oscuro (“L’uomo accende a se stesso una luce nella notte….”) fa venire in mente altre parole: sognare, svegliarsi, ricordare, distinguere, immaginare, parlare, chiedere.

L’uomo accende a se stesso una luce nella notte, quando i suoi occhi son spenti; da vivo tocca il morto, con gli occhi spenti, da sveglio tocca il dormiente.” E allora, forse, la conoscenza non ha fondamento nella natura. Può essere solo “umana” : cioè un’invenzione. Una proposizione: più inquietante e assurda di una macchina da scrivere in una radura della foresta amazzonica. Può essere solo equiparabile alle emissioni azzurre di fango di uranio, sul comodino di madame Curie. La quale, sognando la sua scoperta, moriva lentamente. Avvelenata dalla felicità di una scoperta mortale senza una conoscenza più generale delle cose. Eppure noi, nonostante la ‘morte’, identificandoci con quella realizzazione di fosforescenze azzurre, ci ergiamo nel buio, ci illuminiamo la notte, con l’orgoglio spieghiamo le ali, come angeli progettisti. Perché improvvisamente, attraverso l’ubriacatura euforica di una scoperta miracolosa, tuttavia abbiamo confermata l’idea della nostra appartenenza ad una specie differente: una distinguibile ‘umanità. Bagliori azzurri, sui mobili bassi accanto ai letti lungo gli ultimi quarant’anni. Dal 1972. Il frammento di pecblenda, la scoperta della nascita, un libro che spunta dalla tasca del camice dello scienziato e del dottore.

“Istinto di morte e conoscenza”, si andava specificando successivamente, voleva affermare la possibilità concreta di un movimento un ‘andare’ dall’istinto di morte alla conoscenza. Per concludere che il movimento – nel pensiero che non ha una realtà ‘spaziale’ – deve essere pensato come una ‘trasformazione’. La trasformazione della natura in natura umana. Era qualcosa. Era moltissimo. Era ‘tutto’.

Ora, dunque, non è quella parola ‘morte’ che scatena il sogno della resistenza ai tentativi di trovare ragioni di scandalo culturale. Il Fight Club di iscrizione, il club aristocratico dei boxer combattenti, ha l’insegna luminosa, di neon azzurrognolo, che scintilla e illumina la notte intorno: “CONOSCENZA”. Quanto citato prima rende ipotizzabile, (e poi bisognerà studiare millenni ancora per essere onesti nella proposizione), che alla pubblicazione non era accertata alcuna ‘conoscenza’. Fight Club dunque dicevamo: negli scontri cruenti delle dinamiche di rapporto con l’innovazione assoluta saltarono mascelle e sopracciglia, tra schizzi rossi di sangue. La vitalità della proposizione originaria del primo libro, un poco attenuava il dolore ‘fisico’ della certezza che le botte erano inevitabili.

E i libri successivi (*) fecero una finta innamorata, fecero l’inganno per amore, regalandoci la felicità con le bugie, che in fondo le violenze contro la nascita, per non riprendere il discorso di una conoscenza sancita definitivamente impossibile nella cultura, fossero trucchi cinematografici: la vita addolorata per le aggressioni ci veniva restituita meno dolorosa nella favola dell’interpretazione che ci illudeva che quanto accadeva era una metafora. Ma si capiva che l’Autore non aveva in mente di illudersi, con alcun romanticismo di maniera, riguardo allo scontro assoluto. Infatti non si riposava ‘mai’. (…tanto meno adesso, pare…) Però propose una umanità di un incantevole realismo poetico. Un lavoro un discorso e una prassi all’altezza dei trucchi cinematografici muti di Meliès. E, adesso, il razzo nell’occhio della luna è forse l’immagine più poetica che mi viene in mente. Ora: per dire cosa rappresentò (cosa fu, letteralmente) il libro ‘sanguinario’. Sanguiniamo tuttora anche non volendo. E’ il rosso dei capelli di certi sogni, il rosso scuro agli angoli delle stanze, il rosso nella prorompente dizione della parola: “..rosso..”

Ora le parole coscienti: libro, scoperta, sfida, scontro, vitalità, linguaggio, conoscenza. La sfida diceva che, chi aveva pronunciato la parola conoscenza, doveva saper sorvolare oceani migrando, avere buonissime ali, possedere la tolleranza dell’acciaio per sostenere la certezza che non poteva sapere più quando avrebbe di nuovo  riposato. Il battito: sonno, coscienza, veglia, nascita, vita, pensiero, materia, realtà.

Per l’entropia negativa della realtà del pensiero, l’uomo non tiene conto della natura delle cose. Non quando pensa senza riflettere. L’uomo, privo della riflessione, non si fida della propria scienza: e svela un pensiero differente. Nella foresta, progetta San Pietroburgo. Per andarci ad abitare. Essendo scontento del “Cuore di tenebra” delle foreste ‘in genere’. Non riuscendo a lasciare la follia alla morte eroica di Kurz, che in realtà era già morto per la pazzia di aver voluto tentare il rifiuto della ‘civiltà’ senza, prima!, pretendere da se stesso di riuscire a decifrare l’ ‘oscurità’ di Eraclito. Cioè senza aver, prima, lottato contro l’ignoranza sulla origine dell’immagine. Sulla ‘natura’ del pensiero. Sulla natura dell’uomo che è differente dalla natura… della natura.

Le parole, in modi differenti: nascita, immagine, certezza, realtà, rifiuto, linguaggio, rapporto. Il regalo delle rose. Le festività popolari. Il giorno del ringraziamento degli altri. Le proposizioni differenti. Se siamo sognati dalla pazienza di un fachiro. Se siamo la nostalgia di una terra per un migrante alla frontiera. Se si nasce quando lui ripensa e dice “Eri bella come una cicogna su un camino torrido“. Le parole: realtà, riconoscenza, stimolo, pensiero non cosciente, figura, stupore, attesa, proiezione, narrazione, promessa, innamoramento, silenzio, ricerca, risoluzione, candore, riposo, certezza. Sogno.

La conclusione da cui cominciare: istinto, conoscenza.

Istinto (di morte) (le parentesi sono una mia follia) e Conoscenza” è il titolo di un programma rivoluzionario: ineluttabilità del rapporto tra esseri umani, studio, applicazione scientifica del metodo della responsabilizzazione reciproca nell’amore e nel linguaggio. Che non si può avere la conoscenza se non si lascia la promessa di morte alla biologia. Se, prima, non si scopre che sapere la certezza della morte biologica non è sapere. Abbandonare la morte a se stessa e al suo specifico destino. Esclusa la biologia. Consegnata l’idea di istinto agli stimoli biologici della omeostasi, che ritarda la degradazione termica della materia del corpo. Assaporata la panna acida della natura fisica delle onde e delle particelle. Ci resta il mistero a proposito della vita mentale e della sua fisiologia. (La fisiologia corrisponde alla ‘sanità’ meglio dell’altra parola, ‘normalità’.)

Qui rischiamo affrontando quel mistero con la scrittura: con un atto psichico che traccia sul foglio i segni dell’immagine. Prima che essa si costituisca in figura. Perché la figura ci confonde: poiché essa in genere viene pensata come derivante esclusivamente dalla percezione degli oggetti materiali ‘esterni’. Ma alla nascita, quando l’esterno è un mondo che non può essere percepito per immaturità della biologia cerebrale, si deve parlare di stimolo che attiva una funzione: poi è tutto un figurarsi la nave nell’oceano.

Questa nave fa duemila nodi / in mezzo ai ghiacci tropicali / ed ha un motore di un milione di cavalli / che al posto degli zoccoli  hanno le ali / questa nave è fulmine, torpedine, miccia, scintillante bellezza, fosforo, e fantasia / molecole d’acciaio, pistone, rabbia, guerra lampo, e poesia.”

e….

” In questa notte elettrica e veloce / in questa croce di novecento / è una palla di cannone accesa / e noi la stiamo quasi raggiungendo…” (De Gregori “I muscoli del capitano” dall’album “Titanic” – 1982.) (**)

La figura poetica del neonato è espressione di una vita psichica spontanea. Non una reazione istintiva che creerebbe il vuoto con la chiusura degli occhi. La conoscenza non è necessariamente ‘racconto’. Nell’impossibilità di ipotizzare una capacità (qualità?) congenita di pensiero alla nascita, dovremmo (non ci resterebbe che) ipotizzare che non c’é niente in noi prima della percezione. Che nasciamo… senza nascita.

L’uomo accende a se stesso una luce nella notte, quando i suoi occhi son spenti; da vivo tocca il morto, con gli occhi spenti, da sveglio tocca il dormiente.” (fr. 26)

Ma anche:

E’ proprio dell’anima un logos che accresce se stesso” (fr. 115)

Dopo istinto e conoscenza la frase oscura di Eraclito risplende. Gli occhi chiusi sono fisicamente spenti. Ma la parola ha due immagini. Gli occhi sono spenti nella notte, se dorme. Sono però spenti anche da sveglio, quando tocca, senza riconoscerlo, il morto, l’essere umano che ha perduto la luce interna dell’immagine. Gli occhi spenti allora sono occhi ciechi: non sanno distinguere l’assenza nell’altro. Occhi chiusi o occhi ciechi. Eraclito non si dilunga nel dire ciò che sa. Lui dice che tutto è apparenza. Però questa è apparenza di un apparire, di una manifestazione. Del manifestare una scoperta e una conoscenza. E’ l’apparire della donna ai poeti. (“Tanto gentile e tanto onesta pare...”) Della conoscenza agli scienziati. La conoscenza è avere la qualità umana di distinguere chi chiude gli occhi per realizzare l’immagine di sé e del mondo appena perduto, da coloro che chiudono gli occhi per annullare rendendo fantasticamente inesistente il mondo fisico esterno della natura e il mondo psichico interno degli esseri umani. Distinguere i morti dai vivi è accendere a se medesimi una luce nella notte. Non so se è anche conoscenza. Se si può dire che sia questa la conoscenza. Non so.

Resta che abbiamo la sensazione di essere morti quando gli occhi sono incapaci di ‘vedere’. I giorni difficili e purtroppo, talvolta ammalati, quando l’immagine non si realizza. La nenia delle parole che si ferma. Quando si precipita in una infanzia senza coscienza che ora è solo malattia perché il senza coscienza è anche senza nascita (immagine). C’è la certezza di aver oramai individuato e nominato i termini esatti della ricerca medica sulla fisiologia del pensiero. Il senza parola, che la parola (infanzia) significa, non può diventare ‘linguaggio’ se non resta la funzione della nascita materiale del corpo che contiene la vitalità. Allora senza la vitalità del linguaggio umano Eraclito parrà oscuro. Seppure, per via della nostra evoluzione spesso carente, dietro l’oscurità della comprensione del senso delle sue parole, manteniamo la certezza che quella oscurità non è l’incomprensibilità della pazzia. Non abbiamo più la confusione incurabile. L’altro differente e incomprensibile non è pazzo. Non sempre. Spesso semplicemente serve il tempo per ‘capire’.

(*) M.Fagioli:  “La marionetta e il burattino”  –  “Teoria della nascita e castrazione umana” –  “Bambino donna e trasformazione dell’uomo”

(**) Si certo !!  Staremo molto attenti ad evitare il naufragio. Da anni siamo stati avvertiti. E’ che non ci spaventa l’uso della bellezza seppure era al servizio della narrazione delle disavventure. I mazzi di garofani sono anche per la sua bellezza redentrice.

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il rogo del 17 febbraio 1600


Posted By on Feb 17, 2012

pagine 527 – 528 – 529:

” La sentenza di condanna venne letta a Bruno in pubblico dal notaio Flaminio Adriani – nel palazzo del cardinale Madruzzo, vicino a S. Agnese in piazza Navona – l’8 febbraio 1600, alla presenza dei cardinali Inquisitori, dei consultori Benedetto Mandina, Francesco Pietrasanta, Pietro Millini e ‘aliis quam pluribus personis presentibus testibus’.   

 (…..) La copia superstite della sentenza dà notizia solo dell’imputazione di aver negato la transustanziazione, senza informare sulle altre; nella lettera di Schoppe -che ascoltò direttamente la sentenza – a Rittershausen è, però, elencata una lunga serie di ‘heresie et errori‘ basata in larga parte sulle deposizioni dei ‘testes criminosi‘, riscattate, una per una, dalla impenitenza finale del Nolano.

 (…..) Dopo la lettura della sentenza, egli rispose con queste poche parole:

Certamente voi proferite questa sentenza contro di me con più timore di quello che io provo nell’accoglierla’

 Dopo la sentenza, fu trasferito nel carcere di Tor di Nona, dove rimase otto giorni, senza dare segno di pentimento: ‘Il meschino – si legge nell’Avviso di Roma del 12 febbraio 1600, – s’Iddio non l’aiuta, vuol morir ostinato et esser abbrugiato vivo’. Ma il Nolano non aveva voglia di essere aiutato né da Dio – da cui si era sentito sempre abbandonato -, tanto meno dai confortatori dell’Arciconfraternita di San Giovanni Decollato, che ardevano dal desiderio di assisterlo nelle ultime ore. Nonostante ‘ogni affetto‘ e la ‘molta dottrina‘ invocata per mostrargli ‘l’error suo‘, Bruno stette dunque ‘sempre nella sua maledetta ostinazione, aggirandosi il cervello e l’intelletto con mille errori e vanità. E tanto perseverò nella sua ostinazione, che da’ ministri della giustitia fu condotto in Campo di Fiori, e quivi spogliato nudo e legato a un palo fu brusciato vivo, aconpagniato sempre dalla nostra Compagnia cantando le litanie’. Ma Bruno non morì subendo l’oltraggio della morte: ‘Diceva che moriva martire e volentieri, et che se ne sarebbe la sua anima ascesa con quel fumo in paradiso‘. E quando, morente, e con ‘la lingua in giova‘, gli fu mostrata l’immagine di Cristo crocifisso, voltò – riferì Schoppe – il viso ‘pieno di disprezzo‘ da un altra parte. Mentre le fiamme lo avvolgevano, rifiutando il crocifisso il Nolano volle mostrare che si può morire in modo diverso da come aveva fatto il figlio di Dio, lamentandosi di essere stato abbandonato dal Padre, e chiedendo che da lui fosse allontanato quel ‘calice‘. Ergendosi al centreo della scena, Bruno bevve il ‘calice‘ fino in fondo, dimostrando con la sua vita, e anche con la sua morte, di essere, lungo la vicissitudine universale delle sorti e dei destini, il vero Mercurio, il messaggero inviato dagli dei.”

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Possono essere foto su scrivanie* nelle cornici tutte differenti* può essere l’istantanea della figura di uomo sulla poltrona* che sfoglia una biografia fotografica* di bellapersempre Marilyn* (ce ne sono molte biografie di lei)**  lo sguardo sulle persone* colte nell’atto di ricordare e progettare* è sempre un telescopio del tempo**  il bambino che disegna astronavi* il pioniere che lucida il piccone* che ci estrasse le pepite dal fiume**  puoi immaginare il salmone che risale la corrente* a deporre le uova alla sorgente**  puoi abitarle* le astronavi infantili* guardare* per quei loro strumenti* il futuro ulteriore**  immaginare ed essere certo*: alla sorgente il salmone si arresta* depone le uova* muore lì* e la storia si inverte**

nel pensiero il tempo ruota e si gira* poi scorre all’ingiù* verso te e me* verso di noi e più avanti**  sulla plancia* sulla nave spaziale* il tempo è spinto oltre* secondo un fattore di moltiplicazione indeterminato* differente* secondo la fantasia individuale* e questo fa la differenza tra i nostri modi di stare al mondo**

la luce notturna è la radiazione poetica del molto molto lontano delle favole* il c’era una volta di ogni favola**  è la radiazione poetica che fa il non assoluto del buio**  e il buio è l’universo che ci cade continuamente sulla testa**  e l’assoluto è come lo zero assoluto delle temperature* che non è l’assenza di temperatura** la dizione zero assoluto esprime una valutazione indecente della degradazione termica* come quando io dicessi che potrei anche non amarti più** che è una cosa che posso pensare* ma non corrisponde a niente che io conosca**

nel falso buio della radiazione di fondo* è ricordare* è come guardare col pensiero lontanissime stelle invisibili**  è come esplorare il tempo con il pensiero* ma è poesia* perché non è cronaca o storia**  è poesia perché è scienza* cioè una passione d’amore* e* precisamente* una versione dell’universo**  la scoperta è un esperienza sensoriale di un moto del pensiero**  così fu possibile la scoperta della relatività* in un esperimento immaginario* nel falso buio della mente**

come uno fosse di nuovo innamorato* vive le idee nate in quella oscurità* come stimoli derivanti dai sensi fisici**  le aree cerebrali eccitate nel sogno e nel silenzio* come fosse in atto la registrazione dei dati di un esperimento sulla radiazione cosmica* quando il pensiero di  noi è il laboratorio universitario* e tu sei il quartiere* il mondo**  e la città**

la prassi come i minuti ciechi del sesso* e la valutazione immediata dell’esperimento* negli attimi abbaglianti di poche parole* questo è tutto**  umanità* scoperta di un perpetuo moto* amore efficiente* (mai sufficiente)**  ricordo* prima* quando ero violento* che così poco chiedevi come sempre**  ed io* per quel poco* ti accusavo di essere una che si accontentava**

rispondesti* però* che la poesia è arte della concentrazione consapevole* e uno sforzo volontario**  e che è anche la coscienza eccitata che si piega amorosamente alla dittatura dell’immagine**  e che è anche il perseguimento cosciente e determinato di parlare* ma evitando la descrizione e la storia**  che è perseguire insistentemente il tempo* le scintille* nel buio illusorio della scienza**

rispondesti dunque che la poesia è la sintesi* l’abbraccio del gelo attorno ai rami eleganti del ciliegio* che li fa splendere quasi morenti**  dicesti* è lo sfondo dorato della percezione del tuo sesso* e sono le parole di smalto nero* la poesia è un linguaggio scientifico* sono composizioni aleatorie di parole* per rappresentare le condizioni* e le conclusioni* di esperimenti di pensiero* con cui si fanno le scoperte decisive**  quelle che cambiano* per sempre* le condizioni della nostra vita**

così mi sussurravi quando ero violento e stupido* e avevo considerato che le tue poche parole fossero miseria intellettuale* e questo avveniva perché non capivo**

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fate grilli e rane in fuga


Posted By on Ott 16, 2011

fate grilli e rane in fuga

La foto dell’estate trascorsa risplende ferma nel mare poi precipiterà tutto nel rabbuffo dell’aria della luce ma questo è solamente nel ricordo cosciente del momento che segue all’istantanea. Il luogo dove è avvenuto lo scatto e’ la curva del treno nella galleria. Dopo quel momento i percorsi si sono distinti e per un verso è andata avanti la storia dei giorni e le notti e le risate i rimproveri i baci le parole gli abbracci i bronci infiniti tutti e dimenticati per sempre. Dall’altra si è verificato un nuovo stato del pensiero che ora fa la scrittura allegra e disimpegnata. Oggi fa il nesso con allora mentre ho tra le mani una fotografia che poteva anche essere un sogno. Quanto gli specialisti dicono poter essere una immagine inconscia non onirica. (A volte gli specialisti sono teneramente ingenui nella loro sbrigativa risistemazione del mondo a proprio uso e secondo le necessità del poco tempo che talvolta ci resta…sic!)

La vita. Portare avanti un lavoro.  Le montagne di dolomite sulle guance. La biografia dei corsi d’acqua. I prati dove trovarsi. Gli occhi di chi si è  innamorato di noi annodati ai fianchi come una preda di guerra. Noi inginocchiati in riva al mare a pregare di prendere il pesce d’oro che realizza le fantastiche pretese di possedere palazzi con la servitù ottusa e ridente. La libertà decisiva dell’incomprensione. Il mutismo dei segreti quando sono troppo dolorosi. L’incertezza se il riserbo possa nascondere un opaco conformismo. Il dovere appassionato. La disobbedienza: giocando. Il razzismo sottile di essere neutrali. La ferocia che si può comprare oramai. Il desiderio accidentale alla vetrina: che rispecchia un corpo migrante formidabile inarrestabile alle mie spalle. La continua generazione del soggetto tra le liane e le radici aeree nella parte buia della foresta, da solo, circondato dai rumori terrificanti della natura senza cuore.

Ci si deve scavare un riparo dalla ferocia, che -come detto- adesso si può comprare a molti angoli sporchi di certe città della nazione per rivolgerla contro altri di cui ci si volesse sbarazzare senza lasciare traccia. Ci si scavano trincee per fronteggiare l’amore in una lotta di posizione. Si spareranno fuochi d’artificio per cogliere i sogni con le brache impigliate nei cavalli di Frisia del desiderio e per poi -di conseguenza- buttarci letteralmente addosso l’una all’altro perché è finita la quaresima e si fa festa di companatico. Si rigenera il cristianesimo originario con il lusso degli incontri nelle catacombe. Si fa di nuovo la nascità con le dita su un pezzo di carta e gli occhi dismessi e la scrittura offensiva che scrive di non studiare più perché si dovrà cercare quello che non c’é da nessuna parte e va creato e di studiare non c’é dunque più tempo: oramai, anche in questo caso.

Meno male che hai sorriso ancora illuminandomi indaffarato a farmi bello, a cucire lo strappo alle brache da cercatore di lapislazzuli, a cucinare fagioli sul fuoco di stecchi. Non resterò mai a riposo c’è così tanto da fare dire riscrivere per avvicinarmi il mondo. Così tra non molto andrò a lavorare in una bottega sulla strada perché non so tirare avanti se non ho accanto tutto quello che mi serve. Mi do da fare per creare le condizioni, le scuse, le trappole con i fili d’erba, le ragnatele profumate della grotta delle Muse. C’è una storia d’amore tra la fata turchina e il grillo parlante se solo se ne volesse accennare…

Io non mi rassegno a raccontare spiegare esprimere in maniera sistematica. Chiarire cosa sarebbe successo per cui tutto sta cambiando è come uno sparare raffiche di mitragliatrice nel buio. Non è tanto che sia inutile, è che è pericoloso. Non ho mai preparato prima una figura della platea possibile alle parole. Tutto dunque è apparentemente ermetico e incomprensibile ma a me interessa soltanto un accordo a proposito della sicurezza della consistenza. La presunzione delle conclusioni è un vizio di forma: se avessimo orecchie abbastanza sensibili sentiremmo ancora risuonare la prima parola del primo uomo e potremmo avere la chiarezza che siamo ancora in ballo e per questo talvolta andiamo a chiedere pareri medici perché ci sentiamo rane in fuga dall’esplosione della vita mentale umana chissà quando accaduta.

Un parere non erudito suggerisce che siamo realtà costantemente emergenti colte un attimo prima del rabbuffo. Nuotatori in risalita dal mare alla vittoria. E le fate sono le grida di rimprovero di nutrici ricche di senno.

Per questo la ricerca: per accordare il passo al grido del primo istante che chiamiamo ancora vitalità.

(Continuo a chiedermi perché sostengono tutti che l’amore va con la morte? Che il sesso è confusione degradante con la decadenza biologica? Si vuole allontanarci da una ricerca che ha di fronte a sè l’evidenza di una lotta che metta la sessualità nella politica ?)

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musica contro l’invidia


Posted By on Lug 27, 2011

sax tenore

musica contro l’invidia

Dunque c’è una teoria di base e poi una serie di anni. Persone. La difficoltà di escludere atteggiamenti settari. C’è la potenza e la miseria delle parole. C’è l’immaginazione. La conoscenza induttiva. I tags della vita. La nuvola di elementi prevalenti circondati dalla musica. Il fruscio di quanto accade soltanto di rado. Nomi di cose. Altro notte pensiero mani mondo risveglio natura tu rosso linguaggio ferita felicità deserto caffè. C’è la parola disegno e incanto. Non c’è la parola denuncia. C’è resistenza non ci sono odio distanza cultura santità. Silenzio sole e scrittura ci sono. Sottomissione non c’è e penso che avrebbe potuto e dovuto esserci. Avrebbero dovuto esserci appassionatamente troppo presto infinitamente oscurità morte declino ritorno rapidità. Ci sono i pronomi tu e io. Lei non compare nella nuvola come una deliberata esclusione che più che altro evidenzia che lei poteva esserci. Loro non c’è. Noi c’è per ridere e farsi accanto e rubare. Noi chi? Due tre più di tre un mondo intero una piazza di persone? Piazza non c’è eppure la piazza è una ‘figura’ di grande potere evocativo seppure foneticamente non sia entusiasmante ma lo diventa se uno è accogliente alle probabilità architettoniche del pensiero. Piazza doveva esserci perché c’è materia e sarebbero andate assai d’accordo e si sarebbero arricchite l’una dell’altra come una buona compagnia di innamorati. Mente sta bene con ferita. Sonno con resistenza. Molte cose che ci sono starebbero bene con quanto non ho saputo vedere. Molte cose che ci sono inevitabilmente riveleranno la difficoltà. Manca pesantezza che mi appartiene comunque. Manca coraggio che dovrò proporre. Ci sono molte cose bellissime. Deserto c’è assai poco rappresentato eppure io penso sempre come fossi nel deserto. Deserto sta con amore e pensiero che troneggiano. Dietro di loro c’è tempo parole linguaggio. Non so se stanno bene accanto. Io penso che il linguaggio è sempre più difficile un impegno rigoroso e sostanzialmente impossibile. Impossibile non l’ho annotato mai seppure avrò usato la parola. Chissà forse non volevo sottolineare che ci si trova troppo spesso di fronte a quanto pare impossibile. Manca settarismo. Mancano difficoltà e fatica. Dovrebbero esserci. Manca violenza e aggressione. Anche quelle dovrebbero esserci. Notte secondo me sta benissimo con vita. Natura con ricerca. Poesia mi pareva che non stesse bene con nulla poi ho deciso che invece si accorda con realtà. Luce mare mani avrebbero comunque potuto bastare per qualsiasi cosa. Risveglio c’è ma non è gran che bello: una parola eccessivamente sentimentale. Una parola buia dopo tutti questi anni. Le parole luminose mi verranno regalate penso. Ho messo silenzio e per questo non avrei dovuto mettere musica. Musica c’è per una forma di timore reverenziale (quanto confina con dipendenza servile nei confronti di quello che non capisco?) che ho ancora verso i musicisti. Non dovrei averla messa. Troppo onore. O forse ancora troppo scarso amore.

Regolerò negli anni a venire le faccende con quanto c’è di più difficile. Da subito dovrò propormi la costruzione delle difese della città e mettere invidia e veleno insieme. Ho presente la possibilità di coloro che dopo ogni rapporto cortese si allontanano danzando sulle scale dopo avermi corretto il caffè con il cianuro.

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