Trono di spade


Ci sono certi modi di sapere e modi differenti dai questi primi modi. C’è un inizio della vita differente per ciascuno. I sommersi e i salvati, ci sono.

Non che la vita riservi le fatali sorprese dei campi.

Però comunque essa accende fuochi più o meno calorosi.

Ci sono quelli delle favole sussurrate alle orecchie dei neonati. Ci sono i laghi ghiacciati del silenzio ottuso sbattuto come una porta sui sorrisi.

Ci sono i silenzi lacrimosi bagnati di sudore e ci sono le grida di passione. O può capitare di aver ascoltato, alla fonte del latte, lo scolo umido delle preghiere inutili.

C’è il candore della dignità che si sogna come un vestito bianchissimo. (Giacca e pantaloni. Blusa e gonna a leggere pieghe). C’è la malizia precoce: filosofia spicciola della sfiducia.

Ci sono mugolii lenti come preghiere recitate con ardore, nenie altrettanto calorosamente versate come miele sulle guance sulle labbra verso il collo e le orecchie dei neonati. Ma ci sono anche dolorose confessioni incomprensibili. Scuse belle e buone -al posto di quello che sarebbe indispensabile- che suonano come delusioni.

Ci sono racconti che fanno venire alla mente idee. E ci sono descrizioni aride anche se vorrebbero mettere in mostra fioriture.

Ci sono fertili proposte in forma di domande ridenti. Provocazioni per imparare le curve dei seni e la prominenza delle tensioni del desiderio. Ma ci sono anche risposte definitive come conclusioni di un percorso sacerdotale. O, peggio, settario.

Non è che la vita metta in scena un calvario. C’è tuttavia la complessità delle differenze originarie che sono prima del diritto. Prima dell’uguaglianza delle garanzie del diritto. Ci sono aspetti della persona che non hanno garanzie difensive. Che non possono essere protette con attività strategiche.

Per questo ci appassioniamo alle saghe dove numerose fazioni intrecciano destini di sposalizi e di divorzi, alleanze o lacerazioni di patti precedenti, nuovi eredi e riapparizioni di presunti morti.

Guardiamo le storie comprendendone la veridicità. I draghi feroci e capricciosi. Le regine fiere e capricciose come i draghi: di certo faranno, come ci aspettiamo data la necessità attuale di storie a tinte forti, fuoco e fiamme.

C’è il passato che porta frutti abbondanti o inesauribili carestie fino al presente. C’è questo presente che il passato tiene in scacco nel bene e nel male. C’è il passato che non è quasi mai passato.

Nel passato ci furono sorrisi per i nuovi nati o ghignanti malefici per neonati che stavano solo una porta più in là della stessa strada.

E noi ci lasciamo mostrare le traversate e i naufragi in diretta. All’opposto restiamo spettatori di vite dei vincitori in streaming. E pensiamo cose sulla nostra vita. Una vita che irride alcuni. E che ad altri sussurra che è là per loro.

E guardiamo arrivare una delle eroine sfuggite alla morte. La nostra vita ulteriormente possibile. Insperata. <Eccoti> le diciamo, <bella come Beatrice del mio paradiso, ecco il tuo svergognato impunito comparire attesa e sciantosa sullo schermo>.

Così poi, truffati dalle favole in treD della tecnologia, siamo tra sogno e realtà: continuamente. E ci guardiamo intorno ora che fa bel tempo. Sul mare. Ai giardini. Con la scusa che il sole incoraggia, e il caldo fuori stagione è un ulteriore spinta a rischiare la fantasia estiva in questo tempo atmosferico imprevisto come un amore fuori stagione, come il ritorno di fiamma per relazioni e oggetti d’interesse e storie che credevamo freddi e spenti.

Così guardiamo il “Trono di spade”: questa fiction televisiva piena di artifici che allietano con “visioni” dantesche le ore serali. Ma la storia differente di ognuno fa diversa questa storia che sembrerebbe la stessa per tutti.

A me rende ragione di come sia che resisto ad una realtà che non mi piace affatto. Come un poco eroicamente coltivi le mie piccole saghe personali, le vicende dei voti incoraggianti oltre la sufficienza all’uscita dalla scuola dei ragazzini. Il racconto smozzicato se la piccola ha mangiato e ha disegnato tra le mura luminose dell’asilo.

Indago dall’alto del volo mentale il panorama su cui fioriscono prati di rose quando tu arrivi con passo leggero. E le steppe di ortica grigia o di funghi tossici quando torni stanca a volte quasi appoggiata al muro come fosse un bastone, sul mare pesante di cemento che hai attraversato mentre io non potevo esserti vicino.

Assisto alla nostra vita un poco perplesso come fossi io il drago che il trailer del Trono di Spade mostra roteare dall’alto. Il destino? Fosse così concreto ci potrei anche stare. A fidarmi dei suoi capricci essendo io il mio destino che si compie senza che possa averci molto da dire quasi come oltre la mia sicura e diretta volontà. Ma almeno con la chiarezza topografica dei cartografi.

Altri sono i draghi che volteggiano…. Tempi impolitici di lessici alterati e confusi.

Ma questo non compete ad oggi. Ora penso alle sere di primavera davanti alla regressione all’infanzia.

Le saghe televisive, per qualcuno di noi, sono per tornare alla salvezza di certe notti in cui, per farci dormire un uomo o una donna trovarono (o non trovarono mai o poi non più) il tempo di raccontare cose inventate. Prese chissà dove. Perché il passato del nostro passato è il passato dei nostri padri e madri ed è l’infanzia dei loro padri e delle loro madri.

Come faceva quel passato, per alcuni di loro, ad essere già così pieno di racconti di pura invenzione?

E pensare che il nostro presente individuale, le nostre maggiori o minori capacità di cavarcela nel grigiore attuale, deriva solo da quelle favole e da quelle invenzioni. Esse sono arrivate ad alcuni di noi. E quelli cui sono arrivate sono e resteranno i più fortunati. Per loro quelle storie, nate non si sa come e dove, ancora assicurano la scrittura e le capacità complesse necessarie a comprendere interamente e senza dubbi le cose scritte, le favole narrate tutte nuove.

E allora ce le raccontiamo in certe sere. Come fosse una saga televisiva. E chi le ha avute in eredità le racconta agli altri cui furono sottratte. E la gioia di raccontare, fatto salvo alcuni invidiosi, si incontra con la curiosita di vedere figurarsi, ora, non quello che avrebbe potuto essere, ma quello che è ancora possibile.

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