la calma


Sul numero attualmente in edicola di LE SCIENZE  l’articolo “La nostra mente inconscia”. Finalmente una certa chiarezza. Gli studiosi americani hanno definitivamente concluso che le troppe parole di Freud sull’inconscio non hanno nessuna conferma scientifica. Essi gentilmente ma decisamente escludono ogni legittimità alla retorica letteraria di un inconscio che nella notte riproduce incessantemente le angosciose scenografie edipiche. Infine, e qui si sfiora l’ironia, siccome il cervello è ‘uno’ …. pare questo un ‘argomento’ sufficientemente solido per ipotizzare che anche il pensiero possa essere rappresentato come funzione singolare e intera. E dunque il non cosciente, essendo un processo del pensiero, un modo della attività mentale cerebrale, è anche un processo nel pensiero ed ha continuità e identità di fisiologia inesauribile ininterrotta e ‘inseparabile’ dalle azioni della coscienza. Essendo il pensiero funzione coerente della intera attività cerebrale, non si sono trovate vie sinaptiche preferenziali, né strutture anatomo/funzionali dedicata alle funzioni di coscienza e non cosciente. Senza alcuna reale localizzazione il simbolismo topologico freudiano   (ma non solo freudiano….) sul non cosciente, non si regge e decade: da utopia dell’irrazionale (poco importa se buonissimo o cattivissimo oramai) a funzionalismo atopico. Più che una scienza è un vizio riferirsi al non cosciente come a qualcosa di isolato che sarebbe risolubile e poi slegato da forme di pensiero differenti, con azioni di individuazione certa, una volta per tutte. Di per sé, come attività isolata, specifica ed autonoma, esso semplicemente ‘non è’, insomma isolato non è ‘plausibile’. La scienza ‘gli’ sottrae il tempo. Si potrà aiutare una persona a cambiare, ma non basterà risolvere il problema (a livello*) inconscio. Dovrà diventare agente consapevole della propria cura e poi della vita che viene. Sarà felice della certezza di quanto è accaduto negli anni della psicoterapia. Sarà tutta coscienza ridente, se vogliamo. Ma lasciamo adesso il problema ai cultori della disciplina.

Le sperimentazioni psicologiche citate nell’articolo, provano che siamo costantemente sottoposti alla azione di funzioni cerebrali che ci sfuggono, che non possono essere coscienzializzate diciamo così, in tempo ‘utile’, e che esse agiscono indirizzando ogni nostra ‘decisione’. In relazione a questo dato non ci sono dimostrazioni del primato della coscienza sul non cosciente. Non pare che ci siano strutture anatomiche per portare l’uno all’altra. Si tratta di fisiologia e dunque si tratterebbe, inevitabilmente, di differenza di funzioni della medesima struttura anatomo-biologica svolte contemporaneamente e incessantemente. Dunque l’inconscio esiste, ma …. non è freudiano. L’inconscio e la coscienza confluiscono nella azione del pensiero. Quello che possiamo dire è che, su tali funzioni, da tempo si indaga, nel contesto del rapporto indispensabile alla relazione terapeutica di psicologi e psichiatri. E che ‘transfert’ e ‘contro transfert’ sono i parametri clinici  del rapporto medico-paziente in cui si esercita l’osservazione, la diagnosi e la cura della vita mentale.

Questo tipo di terapia implica l’interesse e l’intervento attraverso i mezzi designati genericamente: interpretazione del latente anche attraverso l’analisi dei sogni, frustrazione/rifiuto dei bisogni, soddisfazione delle esigenze, verbalizzazione delle dinamiche in atto nella relazione e degli aspetti cognitivi favorenti e limitanti il benessere dei soggetti… per realizzare il riconoscimento delle realtà più prossima al vero riguardante il rapporto tra paziente e medico e il variare degli affetti in gioco. La metodica psicoterapeutica ha comunque il compito di rendere possibile lo svolgimento del tempo in forma di passione di una cura non infinita, e quello dell’altra definitiva ed irreversibile passione della ricerca che però, attualmente, pare non finire. Perché sembra che alla ricerca sia deputato di rendere irreversibile e stabile il cambiamento realizzato durante la cura.

Al cospetto delle aperture derivate dalle conferme di funzioni mentali meglio individuate nella loro natura, si spalanca un lavoro imponente. I quaderni in questione su questo blog, adesso, mi appaiono prendere la (in)consistenza di libricini in un mercatino di modernariato che si svolge nei paesi della costa adiacente al mio studio certi giorni del mese. Io allora mi metto a scrivere per informare di quanto studiato, sono come uno che lucida librerie, o si agita come un ragazzino adolescente. Di fatto spolvero i volumi, porto via ogni segno di sporcizia sparsa qua è là a terra dall’andirivieni delle persone. Mi pare che nasca una libertà da ortodossie tanto più rigide quanto più furono ‘basate’ su imprecisioni ed equivoci a proposito della materia dalla quale il pensiero origina.

Pulisco la stanza, perché ho la sensazione che si chiarisca l’orizzonte e il tempo volga davvero in primavera come quando capitano cose nuove. Pulisco e profumo con il deodorante. A volte pare di non essere soli, e che non si sa mai.

(*).. ‘a livello inconscio’ è una formula da prestigiatori: essa in genere viene usata per distrarre il pubblico, prima della azione truffaldina del trucco che inganna la percezione.

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” (SENZA) retorica “
claudiobadii (3356623475)
per
OPERAPRIMA

 

<Non sono mai stato capace di piangere sulla spalla di nessuna che non fossi tu>. Non chiedere in quale libro di lettere d’amore ho copiato l’inaugurazione. Il risveglio è il traguardo: il ritorno alla stessa striscia bianca da cui eravamo scattati. Cercavo una qualsiasi linea del discorso. Ad ogni traguardo tu ed io cambiamo il nostro modo di alternare le parole, per disegnare con l’imprevedibile e accidentare la strada. Io la strada che porta a te. Continuo a parlarti da qua. Ma non trovo mai le parole di un romanzo per dire le cose. Dire è bizzarro e incerto, e da amare soltanto è dire. Insomma dire è quanto si dice ‘umanità‘.

L’umanità è il versante privato delle persone. Bisogna essere onesti, cioè escludere la retorica. Studiare una parola che abbiamo appena graffiato scavando alla rinfusa nell’erba. I pugni tra due ragazzini sono il laboratorio per la distruzione della retorica. I pugni che ammaccano appena, le botte che saldano le amicizie. Dicevano sempre non devi fare a botte. Ma fare a botte nel cortile e nel campo era la quotidianità. Volevano fare bambini ben educati. Non era quello il modo migliore. Obbedire ai divieti genera la non violenza invisibile, che è cieca come la rabbia furiosa, perché l’obbedienza è in qualche modo impotenza. Perché il divieto è difficile da interpretare per un ragazzino.

La retorica semplifica la comprensione aggiungendo un cuore rosa. O rosso scarlatto, con un corredo di spine. Il cuore, quasi nero nel buio della cassa toracica, è il genuino cuore umano: invisibile, privato, di mestiere è operatore agli scambi e ai trasporti, e ministro della distribuzione del sangue, e grande aspiratore, e imperatore dell’impero coloniale. Autorità biologica centrale è la cassaforte delle poesie all’uranio. Se proprio viene scosso da troppe domande, sussulta. In silenzio vive. Gli si attribuiscono funzioni improprie, come il pensiero, e specie il pensiero sentimentale. È, al contrario e per sua natura essenziale, un agente anti ideologico. Svolge una lotta. La retorica mette il cuore al centro della retorica e così dicendo mente, o forse si inganna. Ma la clinica si oppone alla letteratura. Per cominciare.

Molti interpretano sogni dichiarando poi la conoscenza del non cosciente. Ma non vedono che le persone nascondono il proprio privato per una precisa sfiducia che non si riesce a curare. La scienza ha mantelli che non distraggono dal freddo e riparano, ma lasciano la sensibilità del clima invernale, l’amore per gli aghi di ghiaccio, il lago ghiacciato del sentimento polare quando, sotto il gelo, nuotano foche balene e pesci-preda. L’intelligenza affluisce al tuo volto come pallore per contrazione del circolo periferico. Così ti sento arrivare con pretese d’amore e onestà. Attratta da una parola. Ti dico, vedendoti camminare verso questi mari, che il cuore nero è buono e il cuore rosso cattivo. Cattivo di una vivacità insana.

Penso tutto questo mentre entro in città attraverso l’arco di una porta affollata di carrettieri, stradini, venditori ambulanti, e mendicanti occasionali: è, come vedi, un arco poco trionfale. Penso che è arco quotidiano del pensiero, un biglietto di ingresso per il loggione, uno spettacolo trionfale per pochi soldi, una vita di scorcio. Sono i farmaci generici che curano lo stesso, sbucando fuori umilmente da scatolette sbiadite. Il cuore della medicina che manda avanti milioni di persone, e non invoca miracoli. La sanità d’altra parte è fisiologia, anche il benessere e l’intelligenza sono fisiologia.

Invece è più complesso ipotizzare che forse libertà e uguaglianza sono pensieri nati durante le epoche, che forse una idea originaria di queste due cose non c’era. La calma c’era. Il sonno, come universo possibile. Il sonno e la calma c’erano come condizioni da difendere. Condizioni, poi cose pensate. Allora, forse, c’è stata la ricerca delle condizioni per dormire, per mantenere la calma. Le costruzioni contro la contingenza, almeno le costruzioni per tenere separati da sé il freddo e i leoni. Allora è stata la ritualità del morire, la riproposizione del morire continuo e che restava incomprensibile all’origine delle amplificazioni? Ma la ritualità non fu sempre amplificazione. Spezzare il pane non lo è come fare il pane non lo è.

I pugni tra ragazzini non lo sono. La retorica: non essere certi se uguaglianza e libertà fossero cose primarie della mente, o se furono create, e poi dire che invece sono patrimonio e sostenere, dunque con tono enfatico, il proprio patrimonio d’essere umani per avere la libertà e l’uguaglianza. Ma nessuno le trova in sé e si cade nella liturgia. Esposizioni, congressi pubblici, alti suoni: ma il privato sviluppa linee di condotta assai  soggettive, gli affetti sono tagliati con forbici coltelli rasoi e a volte si determinano ferite. Il privato più potente dell’inconscio?

Retorica: neanche si sa quanto l’onestà sia patrimonio o invenzione. Ci si arriva con abnegazione. E’ una cosa che protegge dagli allarmi della contingenza, è necessaria come i ripari per il sonno e per la quiete, ma non è scontata. Non c’è il riflesso all’onestà come non c’è all’eguaglianza. La libertà quasi nessuno sa cosa sia. Si sa la solitudine cos’è, e non pare neanche quella una cosa intima. La solitudione si pensa che sia sempre una conseguenza. Senza il ricorso all’enfasi le cose chiamate onestà, libertà e uguaglianza restano ancora domande. Sebbene le principali domande.

Il cuore nero è perché è macchiato di buio. Le parole non devono essere sempre pensate come una fusione di suoni e concetto, non è una buona idea tagliarle in due metà uguali di significante e significato. La cultura è anche violenta e specialmente quando con enfasi si inchina alla pretesa chiarezza. Io vedo la pelle dei cacciatori africani traversata dalle unghie delle tigri. Righe rosse il sangue spinto dal cuore. Penso: c’è un sapere retorico. C’è una cultura che non si domanda nulla. Una cultura peggiore delle ferite. Sento il suono di un eco senza curiosità. Penso ai farmaci generici, economici, che guariscono senza far chiasso. La calma. Il sonno.

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