domeniche


inerzia e pazienza


Posted By on Dic 7, 2014

Questa lotta continua contro un invisibile inerzia deve avere isole di fiammiferi accesi. La cieca luce del piacere di riposare con le dita sulle palpebre, il viso tra le mani e i gomiti puntati alle ginocchia. L’inerzia del potere da un lato e la pazienza della potenza dall’altro. L’arte è non dilungarsi. Il disegno del fiammifero alla corrente forse è legato ad aver scovato di Laura Boella “Le imperdonabili”, e la raccolta degli scritti su ‘Combat’ tra il 1945 e il 1947 di Albert Camus “Questa lotta vi riguarda”. Per chi trova il tempo di condividere che

‘i cuori pensanti sono imperdonabili'(*)

“Perfezione è la parola chiave dell’imperdonabile: essa riassume un intero catalogo di virtù legate alla verità, alla bellezza, alla aristocrazia: silenzio, attesa, capacità di durare, grazia, leggerezza, ironia, sensi fini, occhio fermo, chiarezza, sottigliezza, agilità, impassibilità. Ma poiché si tratta di perfezione rubata a un mondo che la disconosce o non sa che farsene, scovata nei luoghi e nei generi più diversi, in un grande filosofo o nella mossa di una ballerina, nella rilegatura di un libro o in antiche stoffe preziose, imperdonabile è la non contemporaneità, non essere segno, testimone del proprio tempo, ma stare avanti o indietro rispetto a esso, in ogni caso in posizione eccentrica, senza legami con saperi costituiti o con ideologie. L’ Imperdonabile è dunque assolutezza, purezza, o almeno l’aspirazione a esse: la cifra, viene subito da dire, della parola e dell’esistenza femminile, in qualunque forma si esprima, teoretica, poetica, religiosa.(Laura Boella, quarta di copertina de ‘Le imperdonabili’)

«Attraverso i cinque conti­nenti, negli anni a veni­re, verrà ingaggiata una lotta senza quartiere tra la violenza e la parola. È vero che le possibilità di vittoria della prima sono mille volte superiori a quelle della seconda. Ma ho sempre pensato che se chi spera nella condizione umana è un pazzo, chi dispera degli eventi è un vile. E or­mai l’unico motivo d’onore sarà ingaggiare quella formidabile scom­messa che deciderà una buona volta se le parole sono più forti delle pallottole». Concludeva così, il 30 novembre 1946 su ’Combat’, uno dei suoi incisi­vi interventi Albert Camus, il quale dall’agosto 1944 al giugno 1947 colla­borò alla rivista della Resistenza fran­cese.

(*)dalla prefazione di L.Boella della edizione Mimesis de “Le imperdonabili” 2014.

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moto perpetuo accelerato


Posted By on Set 21, 2014

Nulla di decadente nelle figure. Rifiuto, fin dove mi è concesso, la nostalgia della somiglianza. Ad ogni movimento della mano che preme per fare il tratto di un disegno mi affido. La verosimiglianza registrata nella memoria si strappa. I ricordi sono pensieri di ostia e di papiro. Il cuore fortunatamente è un oceano. Ricorda traversando eventi stratificati. Le pitture circolano in ogni angolo, si aggirano sulle superfici, sui muri interni della mente. La conoscenza è cosciente. Il sapere capacità inconscia irreversibilmente acquisita. Il sapere è saper fare. Se non amiamo come si dovrebbe si dice che non si sa amare. Conosciamo quello che dovrebbe essere ma non siamo capaci di fare. Coscienza. Conoscenza. Non coscienza. Capacità. Comportamento. Contraddizioni. Conflitti. Paradossi. Posso spendere la ricchezza risparmiata. Smagrire la presenza attiva nelle geografie culturali urbane. Niente più musei, biblioteche, teatri d’opera, rassegne. Niente presentazioni.

“Andiamo?” …. “Meglio di no, cara mia”.

Generazione di calore a mie spese. Il pensiero fuso con il tempo genera entropia negativa di un moto perpetuo accelerato. Non riconosco perciò vantaggi particolari nelle ortodossie dispensate in saldo continuo. Mode si inseguono come le indossatrici con voglia di guadagni, cipria d’oro sui nasi aggraziati e i seni adombrati di essenze. Appesantite adorabili vecchie soffiano nei narghilè dalle terrazze/sofà delle associazioni. Frenesie a scartamento ridotto.

“Andiamo?”…..”Solo una cenetta svagata. Disimpegnata. Nell’oscurità della campagna in fondo alla strada. Invisibili. Inarrivabili.”…….”Ma è tutto illuminato a giorno. Anche il prato.”……”Saremo rane. O zanzare. Il ritiro dalle scene ha necessità di una vera trasformazione.”

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“The Reproductive Revolution: Selection Pressure in a Post-Darwinian World
www.reproductive-revolution.com/index.html

“È una negazione la parte preponderante delle nostre affermazioni, se esse sono espresse senza bellezza”(… su queste pagine pochi giorni fa)

Allora la bellezza è un parametro per individuare il grado di umanità del pensiero dal momento che l’evoluzione è caotica e opportunistica e che improvvido e approssimativo e casuale si pone nello spazio/tempo ogni suo risultato. Che è un gradino e un passo di una condizione di non linearità. Mi siedo sulle ginocchia, sulle ginocchia mie. Con tenacia torno un ragazzo coi muscoli elastici e i tendini che restano increduli. L’atletismo ormonale della contrazione a sedici anni è resistenza, pazienza, attesa, e scatto contenuto. Insomma so, meglio di allora, che la mimica silente del sorriso ha la stessa qualità della potenza muscolare annidata nella promessa del sesso e del coraggio, prima dei tuffi dagli scogli. Seguo lucertole e api sui fichi dell’albero estivo. Finisco la lettura de “I SIGNORI DEL PIANETA” di Ian Tattersall. Il linguaggio, forse, potrebbe essere stato generato tra i bambini. Per via che essi pensano in modo differente dagli adulti. Il linguaggio, con la potenza contrattile che esplode da un silenzio che ne conteneva la potenzialità: è quella l’idea che viene giù, di un tuffo dagli scogli. Che gli esseri umani non sono provvidenza ma disordine. Che il linguaggio non serve per comunicare ma per pensare. Alle soglie mentre escono dal primo anno i ragazzini, ricordando un sogno…. potrebbero aver effettuato un tuffo evolutivo. Copio il testo di pagina 249:

Personalmente sono molto affascinato dall’idea che la prima forma di linguaggio sia stata inventata dai bambini, molto più ricettivi rispetto alle novità di quanto lo siano gli adulti. I bambini usano sempre metodi propri per fare le cose e comunicano in modi che qualche volta lasciano i genitori disorientati. Seppur per ragioni ESTRANEE ALL’UTILIZZO DEL LINGUAGGIO, i piccoli ‘sapiens’ erano già provvisti di tutto l’equipaggiamento anatomico periferico necessario per produrre l’intera gamma di suoni richiesti dalle lingue moderne. Essi inoltre dovevano possedere il substrato biologico necessario per compiere le astrazioni intellettuali richieste e anche la spinta a comunicare in maniera complessa. E quasi certamente appartenevano ad una società che già possedeva un sistema elaborato di comunicazione tra individui: un sistema che implicava l’uso di vocalizzazioni, oltre che di gesti e di un linguaggio del corpo. Dopotutto, come nel caso di qualunque innovazione comportamentale, il TRAMPOLINO FISICO NECESSARIO doveva già esistere. (…..) è facile immaginare, almeno a grandi linee, in che modo, una volta creato un vocabolario, il feedback tra i vari centri cerebrali coinvolti abbia permesso ai bambini di creare il loro linguaggio e, SIMULTANEAMENTE, I NUOVI PROCESSI MENTALI. Per questi bambini, ciò che gli psicologi hanno indicato come ‘linguaggio privato’ deve aver agito da canale, favorendo la trasformazione delle intuizioni in nozioni articolate che potevano quindi essere manipolate simbolicamente.”

Il sorriso si svolge rapidamente nella distensione delle fibre del procedimento di pensiero. Intuizioni, nozioni articolate, manipolazione simbolica. I bambini creano i nomi delle cose e il ritorno in sensazione di felicità è la via neurale di feedback che conforta e conferma. Ma anche richiama ulteriori dati compositivi dalle regioni sinaptiche prospicienti il vortice virtuoso che si è innescato. Nel segreto delle grida dei giochi i piccoli ‘sapiens’ -restando protetti al di qua dello stupore dei grandi- producono forse -più che ‘senso’ del mondo- la propria consapevolezza di sé medesimi, almeno per cominciare. La nominazione delle cose, l’attribuzione ad ognuna di un suono attraverso comportamenti fonetici appropriati, recluta e abilita nuove vie neuronali di consenso e guadagno. La sostanza dei mediatori implicati nella trasmissione lungo le vie nervose è l’esperienza del piacere endogeno che chiamiamo, oggi, il sé libidico. Esso non si serve dell’altro essere umano per il proprio godimento.

Eco senza Narciso, il linguaggio inventato dai bambini non è comunicativo ma espressivo. La nuova alleanza cui si allude nel testo di paleoantropologia, situata fuori di metafora in una società plurima e non più di soggetti neonati ma di personcine aurorali e capaci, sta nella condivisione dello stesso sistema di segni. Però è forse ancora, all’inizio, appartenenza implicita, non socialmente pubblicata, non riconosciuta forse, se non nella cerchia dei giochi. Quel pensiero privato sviluppa la nuova attitudine mentale verso scogli alti. Il mare che scintilla non attira al vuoto giù sotto e in basso, ma al cielo respirabile. Solo dopo, una volta maturata la fine attività di modulazione della mimica facciale coerente con la coscienza di sé, i ragazzini si fermano, guardano giù e, tenendosi per mano senza più pensare, dimenticando la coscienza ma senza perderla, volano lontano preparando il tuffo nel galleggiamento del corpo nel vuoto. È un sogno che si sveglia nel sonno dentro il quale si cade ogni notte.

Ora parlo dello svegliarsi. Di stamani. È la mattina di domenica un momento sensibile alla misura della qualità della vita. Ragazzini e adulti sfilano dalle camerette alla modesta superficie del soggiorno comune che è anche cucina e guarda il giardino. Di tempo in tempo, quando tra le otto e le una è concesso dalle distrazioni amorose, il pensiero ripercorre al contrario gli eventi evocati dallo studioso dello sviluppo dell’umanità dalla dis-umanità precedente: manipolazione simbolica, simbolizzazione, nozione articolata, intuizione…. Nessuno si occupa di questo che scrivo. L’espressione verbale della nozione articolata si pone perfettamente in una silenziosa ‘inutilità’ ed essa, l’inutilità è l’evento simbolico che protegge l’attività della mia ricerca intellettuale mattutina: il silenzio è una coltre di cotone profumato costellato di ricami, dei piccoli impegni di preparazioni di cucina, di disegni sui fogli bianchi delle due bambine, della apparecchiatura -coi tesori della pasticceria di fronte- di colazioni di gusti variabili.

E poi ci sono in aria i messaggi televisivi e c’è la richiesta se per favore qualcuno può (vuole) prendere il limone all’albero della vicina (quasi centenaria essa è perduta nelle regressioni della biologia che scompone l’integrità del pensiero e fa a pezzi il mondo e non sa più protestare contro noi innocenti ladri al suo giardino). Scrivo e intorno si ride si chiacchiera si aprono getti della doccia e si fa il disordine necessario a scaldare il mattino. Ai margini disegno questo deserto silenzio. Sopra sorge la notte, che non è il sole nero avventuroso del non cosciente salvifico, ma di certo il parziale declino delle norme verbali ragionevoli come esclusiva forma di espressione.

Ogni tanto grida di ribellione infantile tingono la scrittura del necessario senso di lotta contro la stupidità, volteggio nel vuoto prima della caduta del tuffo, e il vuoto è il paradosso incorporeo di questa disperata fiducia che con i miei simili potrò essere, alla fine, comprensibile in questo modo di scrivere, vivere e insistentemente cercare, da quando la coscienza mi permette di ricordare.

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dannazione


Posted By on Feb 12, 2012

riflessioni numerose. una: i cattivi non sono cattivi. un’altra: non vivrei senza di te. una terza: un segnale musicale illumina la pista di atterraggio in mezzo ai ghiacci. poi. l’immaginazione è creatività. la conoscenza è un processo. il sapere non ha in sé strumenti per la propria crescita. una cattivissima te mi porterà via da qui. o nient’altro. o nessuna.

resto lungo la linea perché il sapere ci arresterebbe sulla soglia della decenza. noi la soglia la percorriamo. non si vuole andare costantemente oltre. non risalire fiumi e conquistare regioni. la soluzione potrebbe non essere estensione o area o territorio facili da rappresentare. un punto semmai. nell’iride la luce rotea prima di sprofondare nel buio attraverso un apice centrale.

la seduzione è una violenza e per questo molti considerano la violenza seducente. ma la frontiera non consente seduzioni di appartenenza. la terra di nessuno è una frontiera e ogni solitudine pare tollerabile. il pensiero soggettivo isolato è un vortice che porta a sé garantendo il processo di conoscenza. distrattamente si colgono saluti che traversano la montagna e lungo il fiume si leggono gli indirizzi che sbiadiscono sulle buste chiare della corrispondenza romantica. quelle transazioni affettive sono il presente.

quando arrivasti precipitai sulla cresta montuosa delle comprensioni possibili. il mondo a prevalenza di dentro. il giudizio è difficoltoso. meglio il movimento o l’immobilità quieta e la costruzione di colonne sonore. la coscienza è obbligatoria a preparare caffè e cereali e  a fare il rifiuto necessario. e organizzare la festa di compleanno. il non cosciente sono le fiammelle sulle candele della torta. i riflessi negli occhi splendenti. quando nell’iride la luce rotea prima di sprofondare nel buio attraverso un punto. il pensiero cosciente e non cosciente volteggiano continuamente abbracciati.

non è possibile coglierne attimo per attimo i tratti distintivi. per ragioni di salute mentale. e di continuità dell’esperienza soggettiva della realtà. la coscienza ci fa dire “siamo coscienza e movimento, sogno e passione”. e il sogno e la passione in piena determinazione obbligano la coscienza a vincere sulla neutralità. però passione sogno e non cosciente pensiero non sanno oscurare la necessità che debba essere il pensiero cosciente a cercare e trovare l’ombra la spiaggia e il cuscino per il sogno dell’amore e della soddisfazione del desiderio. e il sangue per la trasfusione.

il pensiero non cosciente obbliga la coscienza a scrivere i canti delle esclusioni e a preferire le cronache delle ingiustizie. allora storici poeti e psicologi  scrivono cantano e declamano le sviste fatali e i tradimenti. le dimenticanze. le interpretazioni dei sogni. la conduzione delle rivoluzioni. la coscienza deve solo occuparsi che il software sia funzionante. che il correttore sottolinei in rosso i refusi. è affascinante cogliere che tutte e due insieme fanno la passione e la precisione. il fuoco nell’ampio camino.

ai giovani amanti appassionati all’idea della vita senza fine la coscienza suggerisce di sostituire la ricerca costante in medicina. la coscienza regala i sorrisi quando ci si rende conto chiaramente che la promessa di felicità eterna non è prevalenza di irrazionale liberatorio: è irrealtà. il pensiero non cosciente indispensabile non è prevalente per superiore legittimità. qui alla frontiera si vede bene che la coscienza balla alternando i passi attentamente sulla linea del confine. è il confine il disegno liberatorio tracciato continuamente dalla vita mentale dei fondamenti.

il pensiero non cosciente non è la libertà assoluta o mitologica. è un’offerta di scelte non più settarie. impedisce l’ironia a proposito dell’ingiustizia inevitabile e consente una infantile continuità nel lavoro di conoscenza. quanto di specifico umano ci sia in questa biologia della mano che traccia queste parole sul foglio elettronico…. a partire da una attività psicologica di ideazione che non si riesce a rintracciare fino alla sua decisione originaria…. beh: sarà l’uso del tempo che lo definirà.

certo non so dire quando esattamente ho deciso. le particelle che compongono la forma della decisione. e i criteri di scelta dei termini. ma proprio in quel vortice incerto si qualifica l’identità soggettiva. pensiero non cosciente e coscienza si alternano girando. non è possibile avere continuamente punto per punto la fisionomia delle due condizioni. la coscienza soggettiva imperante e salutare sta proprio nella modestia di accettare quella incertezza come tratto specie-specifico di umanità. per una miopia della coscienza noi siamo costretti ad essere ogni volta. la coscienza non ha mai il per sempre una volta per tutte.

mentre noi, mia adorata….

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ossessione (1)


Posted By on Gen 3, 2012

la capacità di immaginare è legata alla realizzazione della certezza dell’esistenza dell’altro. accade insieme. la generazione di una idea è anche quella di una idea differente e contemporanea che potrebbe apparire del tutto incoerente con la prima. non si può neppure parlare di una successione di eventi: è un ologramma che illumina due prospettive. o più. resta sempre l’ossessione: trasformazione interna poi prassi coerente, o intanto baciarti per lasciarmi sedurre dalla dolcezza delle tue labbra? se faccio devo essere già cambiato, o sarà quel fare che induce poi la trasformazione? risposta: accade insieme e alla base della prassi c’è una certezza dell’esistenza di ‘altro’ da sé. è specifica umanità, scrivendo, inventarsi con gli interlocutori: evocare. come un tempo nei deserti e sulle rive del mare. quando il linguaggio cambiò non appena ci fu da raccontare l’invisibile della mente che non corrispondeva a nessuna realtà esterna. il linguaggio mutò perché dovette arrivare a narrare la propria genesi dalla materia cerebrale che creava le cose che non c’erano. il linguaggio fu differente e non fu più in grado di tornare indietro quando espresse la propria esigente natura di poter rompere il silenzio della riproduzione. la rottura del silenzio che esprimeva implicita la propria origine. l’origine che conteneva completamente il proprio chiarimento. il tempo faceva la giostra e l’arco della ruota del pavone. il tempo si pavoneggiava in periodi storici mentre noi restavamo alla catena delle parole. il mulino andava avanti col lavoro della ripetizione. i savi non erano che schiavi delle formule. qualcuno deve pur allietare la festa. sono stato con persone così belle da far impallidire la bellezza. mi sono vergognato della mia normalità. non si poteva far altro. non saprei come ne sono uscito. forse fu l’interpretazione sull’invidia come negazione. la distinzione: la bugia è coscienza. la negazione è una attività inconscia. la comprensione di una capacita linguistica differente dal solito si origina in quella transizione. che si potesse saper scegliere le parole per i due modi del pensiero ha originato l’illuminazione di due prospettive. non è stato semplicemente capire e distinguere: è stata la acquisizione di una capacità pratica. una prassi non sottomessa al tempo fisico. forse è questo il linguaggio che cercavo. quello che non è per spiegare le cose. che è per lasciarle vivere. certe altre volte per non farle morire.

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la ford modello t e il cambio del mondo

la ford T, l’immagine, il lavoro, il pensiero e l’azione sociale

Abbiamo ripetuto infinite volte il gesto che produce il lavoro alla fine della giornata: ma non riesco a pensare ad una coattività malata. Non si vede ai nostri piedi che l’ammassarsi degli oggetti prodotti: tutti uguali tra loro eppure quella ordinata somiglianza mi consola e non genera alcuna sensazione di noia. Il tempo del lavoro e la natura dell’universo delle cose che il lavoro ha allineate e distribuite sono espressione di umanità cosicché possiamo ridere riflessi negli occhi d’oro della specchiera alle spalle della donna che ci serve la frutta e il vino nei nostri rarissimi giorni di festa.

Siamo figure antiche, popolazioni arcaiche oggi viventi ai margini dei boschi e delle tundre. Fossimo naviganti comanderemmo rimorchiatori attraverso gli stretti tra gli oceani: nientedimeno. Dunque né del tutto perduti ma neppure presi in definitiva considerazione. Siamo bambini delle prime classi elementari: potreste sentirci pronunciare, a voce alta, leggi regole e definizioni che sembriamo leggere su una lavagna celeste e tutta la nostra serietà non è che nuvole. “Leggimi, leggimi i pensieri !” – pretendiamo continuamente dai nostri amori. Perché non vorremmo mai durare fatica.

Per parte nostra rispondiamo più che altro una specie di decifrazione delle azioni del respiro che costituiscono le riprese che scandiscono il discorso. Sono soltanto istruzioni per l’uso delle anime le parole d’amore: e riteniamo che, in genere, tutte le parole lo siano. Comunque dovranno diventarlo. Guardo dalla vetta del grattacielo sfuggito all’attentato dell’odio e della stupidità dell’estremismo religioso i giorni allineati come cose fabbricate con le azioni delle mani alla catena di montaggio.

Ci sono automobili lucide tutte uguali alle porte spalancate della fabbrica e le donne e gli uomini in fila che non vedono l’ora di salirci sopra. Che vogliono sentirsi addosso l’odore dolce di vernici come la seta del vestito il fumo delle sigarette e – all’apice delle notti dopo la festa che si è svolta per la via principale della città – le carezze che si attendono da secoli e poi alla fine si pretendono come diritti sindacali. Chi ha amato davvero sa che permane un mondo domenicale nelle scenografie dei pensieri dotati di certa gioiosa praticità.

Quando la porta della stanza della ricerca si chiude – dopo aver lasciato uscire tutti fino all’utimo quelli che hanno scelto di non lasciar perdere niente – è allora che mi resta ogni volta impressa in fluoresenza l’idea di possibilità molteplici: è questo il semplice schiudersi di uno spiraglio. “Non sono finito” – penso. E  guardando di fronte mi colpisce che – nonostante la mia modesta forza non mi abbia mai consentito di essere certo di non fare mai qualcosa di sbagliato – tuttavia il buio assoluto non si è completato chiudendosi addosso a me come il coperchio di un sarcofago. “Anzi!

Oltre il limite dello schermo di veglia si compongono caleidoscopiche forme di ombre in agitazione. “Una ricerca è costituita in un luogo precisato e ogni volta inizia con fin troppo esatta puntualità. Le persone non sono quasi mai nello stesso numero e le cose che si dicono non possono essere previste da nessuno poiché non ci sono mai stati accordi prestabiliti di nessuno con me.” Mai si è realizzato la contenporaneità fatale di una assenza di tutte le persone e la ricerca è potuta proseguire.

Non so se potrà essere il linguaggio a chiarire tutto. Ora diventa importante la (parola) fantasia perchè essa consente di ricreare il pensiero che si è formato, a proposito del mondo e delle relazioni, in assenza di coscienza. Posso dire che alcuni sognano la attività della ricerca come un rapporto sessuale di grande intensità. Ma questo, seppure li rafforzi e li inorgoglisca per qualche breve giorno, non fa alcuna trasformazione. Altri propongono una immagine di indecenza quando colgono la  necessità, per qualsiasi ricerca, di opporsi all’istituzione.

Ci sono dunque sogni assai più riservati di quelli a contenuto francamente sessuale, ed essi hanno il gusto dell’insistenza nell’ affermare la necessità di riproporre il rapporto nei tempi e nel luogo stabiliti. Io penso che questa è una buona disposizione d’animo per portare avanti quanto si è cominciato circa trenta anni fa. Adesso è necessario trasformare quanto si è sempre definito immagine in lavoro e restituire alla realtà non materiale del pensiero la certezza di potersi tradurre in una potente azione sociale.

L’immagine della ricerca adesso potrebbe essere pensata come una affermazione del tipo: “L’assoluto non esiste come realtà umana.”

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