la quarta volta di sempre


per la quarta volta a teatro


Posted By on Giu 1, 2012

Forse domani andrò a teatro. Domani vedrai: a osservare la messa in scena i personaggi le movenze e le scenografie frutti del narcisismo antipatico dei registi teatrali. E forse anche dei registi delle opere liriche. Tutti quei registi sono narcisisti antipatici. A dire la verità tutto il mondo che ruota intorno a quelle operazioni culturali è un mondo fittizio dove non si capisce nulla. Dunque specialmente i registi teatrali e anche gli organizzatori delle mostre e poi i critici d’arte sono invidiosi. Il narcisismo li mette temporaneanente al riparo. Essi diventano quello che diventano per via della loro centralità appartata. Per la sofferenza che li distingue e che è inerente al loro lavoro, e dunque è per loro inevitabile, di scomparire all’inizio della rappresentazione. Allora si impermaliscono fingendo di no. Però la simulazione di generosità scende dalla fronte alla radice del naso così la loro voce diventa appena nasale, a volte un poco troppo evidentemente. La loro modestia è sfacciata essendo loro certi di avercela data a bere.

Non ero andato a teatro che tre volte in tutta la mia vita e sicuramente non è che questo mi abbia reso peggiore. Certo non poter dire di essere stati a teatro almeno trecento o cinquecento volte è una grande limitazione in certi ambienti. Soprattutto è una ridicolaggine doverlo confessare: e bisogna confessarlo, non so perché ma c’è una pressione in certi ambienti. Io credo che i migliori non vadano quasi mai a teatro. O all’opera. Anche se per l’opera non ci giurerei. Perché forse l’opera ha il fragore delle voci che travolgono il narcisismo dei registi teatrali. Il teatro non ha quel fragore. Le voci nasali impostate dei registi-attori, le voci consapevoli e compassionevoli, le voci innalzate di un mezzo tono sul vertice acido della fonetica non possono mai essere dimenticate a teatro. La voce degli attori non è abbastanza fragorosa. Del teatro è bello tuttavia l’inchino finale. Dovrebbe essere tutto così: il pubblico in piedi a strillare e rumoreggiare sempre sul punto di andar via per due ore a parte l’intervallo, e gli attori e soprattutto il regista a inchinarsi ripetutamente. Così domani magari andrò. 

Non so perché tutto il grande scialo di opere artistiche e musicali le cosiddette rappresentazioni che sono certo che non abbiano mai reso nessuno migliore. Che sono uno sberleffo sulle mattinate di mare. Che quelle rappresentazioni non valgano neanche, cioè non valgono specialmente e soprattutto i tuoi occhi la sera con il vino. Ieri con il sorriso di intesa. Io sono arrivato ad essere certo che lo scialo delle opere, l’esposizione del corpo delle opere, la manifestazione del punto di vista dei registi e delle persone di cultura, degli operatori culturali, degli assessori regionali scesi dal liceo alla politica ma anche degli insegnanti restati nel liceo classico per lo più, sui classici attraverso la voce nasale dei registi dei professori dei critici dei rappresentanti culturali, dei presentatori di mostre e via dicendo, (poiché tutti costoro sono sempre doppiamente invidiosi sia degli autori classici che degli autori letterati e artisti in genere e sia degli attori, ovviamente solo dei loro attori migliori ) non valgano ad altro che ad incrementare l’eccitazione narcisistica di certi personaggi centrali: impalati sorridenti di compiacimento nelle piazze e sulle pedane.

Non so una volta forse… ma ora il pensiero a prestito sembra diventata la penitenza indispensabile al successo della accettazione. Ma nel mio piccolo, nella gloria celeste di mare di questa costa abbandonata tutto questo teatro e queste mostre e questi eventi che da sempre ci sono sfuggiti perché neanche avevamo i soldi peraltro per inseguirli nel mondo, ebbene tuttavia tutti questi eventi e i loro rappresentanti neanche e soprattutto te valgono. Specialmente per via di te essi non valgono a diventare davvero migliori. Le parole specialmente non valgono in genere in certi contesti. Dovrebbe esserci l’arena abbandonata come le nostre spiagge in inverno: questo e un occasionale recitazione. Una recitazione ai gabbiani. Una per gli uccelli di spiaggia e di pineta. Invece tentano sempre di pronunciare al cospetto tutte le parole che non potranno pronunciare mai davvero.

Ma vanno via e sciamano nei teatri e alle mostre. Non vorrai che si perdano l’opera, la mostra, il balletto e la conferenza. Non vorrai che non accumulino cinquecento o millecinquecento mostre opere ed esposizioni. Non che poi siano migliori di quando sono entrati. Però diventano più insofferenti, davvero intrattabili per via che non sei in grado di capire la loro sensibilità offesa. Che vuol dire ” non ti amo, mai ti ho amato..” Il disamore dei presenzialisti. Il cinismo della cultura. La lotta per una conoscenza affettiva. Noi ci soffriamo un poco per non poter tirare via dal loro volto quel sorriso cattivo. Tanto la voce denuncia una lesione che non è semplicemente mimica: essa ha il tono della crudeltà di ragazzini che agiscono al riparo. Di nascosto. 

Certo dovevo pur esporre questa limitazione. perché devi sapere che è irreversibile. Noi stavamo dietro alle rane. All’accademia. Siamo fionde d’amore mio amore. Noi che abbiamo tirato assai spesso verso le nuvole in giovanissima età non siamo come tutti gli altri. Siamo simili a tutti quelli come noi che hanno tirato al cielo. Che al cielo non si arriva. Domani voglio andare per la quarta ed ultima volta a teatro. Per trovare l’allegria di buttarmi tutto alle spalle venendo a succhiare il vino sulle palme delle tue mani. Come un cane fedele. Per diventare capace di offendere a dovere la malattia di quelle voci. Quei toni cardinalizi che non hanno mai reso migliore nessuno. A questo mondo. 

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