agende


Se tutto passerà questo è stato. Devo piantare sotto uno strato di fertilizzante le cose. Gemme e foglie rendono l’idea del tempo ad un osservatore che mi assomigli. Nelle discussioni ti chiamo vicino al margine della tavola. Gli scontri sono rifiuti per vivere. Prepararsi. Prepararsi. Me lo ripeto sempre. Il rifiuto non riduce le opportunità. Ne crea sempre una in più. Il rifiuto non è la discrezione dialettica. É altro. È una cosa che non avrebbe ‘dovuto’ realizzarsi e invece. D’altra parte non so come procedere diversamente. Guardo l’ombra disegnata dalla luce tra i bambù. Si, no, si, no. Il ‘no’ del rifiuto fa un ritmo binario che arreda le pareti con una sottilissima composizione pittorica di vettori. L’irregolare distribuzione degli interstizi illuminati è, per analogia, la necessità di stabilire una velocità angolare al margine delle sfumature come si effettua il calcolo infinitesimale per realizzare l’esattezza del ricordo di un sogno.

Ma basta, mi dico, e zoppicando a causa di una gamba impigliata nei pantaloni faccio il verso ad una cicogna sul bordo del mattino nella sala che esplode di giallo. Volumi interi di giorni stanno arrivando e decido che l’estate me la preparo da ora. Non voglio che nessuno…. penso dentro di me festeggiando la data di oggi. Salto sui quadrati delle piastrelle del corridoio mentre la gamba imbavagliata scivola alla fine fuori dai jeans e sento un rapido dolore -un momento di tristezza, credo- smascherato da questo sole perfetto e indifferente.

Le cannucce della tettoia sui fiori sono anime regolarmente disposte per consentire il chiaroscuro. Il dolore svanisce assorbito e distribuito in milioni di fibre muscolari del polpaccio. Dopo la tristezza lancinante per cause sconosciute, con regolarità l’amore variabile torna sempre. È ‘te’ senza figura, te/immagine. Vieni sempre dopo la crisi del pensiero quando l’illusione cosciente ‘vorrebbe’ fermare la vita mentale per un riposo che è una fisiologia  ‘impossibile’: il riposo sarebbe assenza di vita che è nell’asfalto nero della strada ma soltanto più lontano, oltre il filare delle rose.

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gli anni passati soli


Posted By on Dic 19, 2013

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“ESSERE DONNA”
claudiobadii

Ecco. Il nesso era in una indignazione. Riesce sempre più difficile tenere la lotta contro chi è vicino e crede di potersi difendere dalla accusa di stupidità solo per la sua vicinanza. Non ho molto da dire. Che ci sono quattro gambe del tavolo e sono: amore, forte, potente, valido. Una viene tenuta e definita dalla articolazione delle altre tre. La quarta dimensione ‘compare’ all’improvviso come referente e soggetto di attribuzioni altrimenti instabili. Alla fine la certezza che esiste l’altro…. è l’altro. Da questo restavi lontano. Ma non serve quando l’altro c’è. Quando l’altro modo di cercare, curare, rapportarsi e parlare è la nella stanza. Quando anche la stanza intera è come una donna nella pineta. Quando le persone sono come gli alberi nel soggiorno a profumare l’aria. Il nesso attraversa il tempo. Dicevamo ieri sera: essere di fronte all’altro è misurare la propria distanza dalla nostra nascita. Appunto, chi abbiamo di fronte è distante da noi in modo direttamente proporzionale alla maggiore o minore realizzazione di certezza del seno nell’inaugurazione della vita mentale alla fine del parto. Forte, potente, valido amore. Certa, chiara, suadente narrazione scientifica. Tutto quello che vuoi, che io sappia potere…

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vaso con tulipano


Posted By on Ott 12, 2013

gente di mare2

Mare Calmo
©claudiobadii

C’è un bicchiere grande sulla libreria. Ha in sé le labbra di una ragazzina assetata.

Per favore hai da bere?

Chissà” – mi domando adesso – “se può essere una traccia inconscia della genesi della patologia di Anna O. quando aveva visto il suo cane leccare avidamente la scodella dell’acqua e poi lei aveva prodotto il sintomo isterico per cui non riusciva più a bere e si scatenava la crisi di dissociazione all’idea stessa di un bicchiere tra le labbra.

Invece la ragazzina aveva bevuto svuotando il bicchiere. Offrendo la gola. Senza alcuna isteria. Ma poi girando per lo studio in queste ore di solitudine e libertà la mente si imbatte e si confronta con certe opere di Franco Angeli. Simboli la falce e il martello stanno dentro la pittura di pregiati capolavori di grafica che acquistarono consensi di notevole valenza estetica negli anni sessanta e settanta e ottanta del secolo scorso. Per me hanno rilevanza estetico politica perché per me la politica ha una enorme rilevanza nel rivelare l’estetica intima di un popolo. Il metodo di indagine è di ripetere riprendere riproporre l’essenza delle figure il loro disegno i tratti originali. È tutto colore ciò cui vedo nel quadro “E da una ferita scaturì la bellezza“. Disegni di forme adatte a essere riempite di toni monocromi.

Data la semplicità di quelle forme adatte a stendere su di esse ricercati timbri monocromi il pensiero si appiana e non cerca altre complessità e penso che forse la passione per l’estetica dell’isteria fornì una motivazione profonda al controtransfert dei freniatri spingendoli in massa ad occuparsi delle ragazze. Andavano per l’europa ad astrarre la figura femminile dal contesto attraverso l’enfasi della teatralità posturale della malattia. L’isteria venne ‘curata’ (ma non è vero che fosse mai stata guarita) con il far rievocare i ricordi secondo l’idea che ri-legare l’affetto alla rappresentazione che era stata intollerabile avrebbe interrotto il circolo vizioso di una coazione a scindere dissociare rimuovere distrarre l’una cosa dall’altra.

Nella stanza dove mi trovo a scrivere era comparsa ed aveva ‘abitato’ -uguale alla donna di cui leggevo nei testi di psichiatria dinamica- la ragazzina simbolo vivo che un giorno aveva avuto bisogno di bere per la sua sete e che dunque avrei potuto citare uguale alla casistica di chi guarisce nella capacità di chiedere di nuovo il ‘seno’, il bicchiere di acqua fresca come fosse un oggetto del desiderio rievocato senza terrore della delusione. Che vuoi la sete non era impossibile da sostenere e la sua vita non fu in pericolo di disidratazione mai. Io dunque avevo ‘ceduto’ offrendo il bicchiere mentre al posto dell’offerta di una cosa fisica (un oggetto parziale) avrei dovuto interpretare. Io scelsi di trascurare il ‘dover fare’ che ben conoscevo. Perché fui certo che non era male. Risolsi il fuggevole impiccio psicologico -se dare o no dell’acqua- legando il movimento rapido di un assenso (un ‘si’ detto con il capo senza palare) all’azione delle mani sotto la cannella che sciacquarono il bicchiere e attesero che diventasse quasi gelata sulle dita prima di tendersi verso le mani della ragazzina.

Perdevo l’attaccamento al passato della tradizione. Nel passato grande, quello della storia delle rivoluzioni scientifiche, depositavo i cocci di una deontologia tanto rigida quanto purtroppo fragile a causa di nessun approfondimento e sviluppo. Dimenticavo un’obbedienza ulteriore nel senso di trasformare in ‘qualcos’altro‘ un modo di relazione ben appreso. Un mio modo di essere si scontrava con quel modo neutrale sempre ritenuto, grazie alla sua neutralità, di più elevata moralità. Penso ora che le trasformazioni delle guarigioni sono essenziali per privarsi dell’osservanza.

Il contesto di una relazione conservata immutabile” -mi chiedo oggi- “non sarà per tenersi una riserva di cinismo negli angoli scuri della stanza e conservare le ombre utili agli agguati di una futura vendetta?

Forse quel giorno di molto tempo fa devo aver pensato che bisognava pur smettere di vendicarsi. Quel ‘devo aver pensato‘ allude ad un luogo utopico perché seppure fu tempo e luogo, eppure quel certo giorno la coscienza di questo pensiero non ci fu. L’utopia poi riguarda sempre più di un solo giorno e un solo momento. Quando riuscii a scegliere tra molte ipotesi teoretiche quale fosse la scoperta scientifica reale nell’ambito della psichiatria di nuovo devo aver pensato che non valeva distruggere e vendicarsi. Anche quel luogo e quel momento che ci sono stati non ho coscienza di averli avvertiti precisamente. Eppure adesso sono certo della loro emergenza nella mia vita e della loro definitiva formazione in un punto e in un momento sconosciuti. Sempre ci fu un ‘agire’ appena dopo una quasi impercettibile esitazione.

Quel là e allora di presenza fisica in tempi e luoghi differenti da adesso e anche tra loro, ha la pienezza di un “Vaso con tulipano” che è le parole  ‘devo aver pensato‘. E’ luogo e tempo nella mente il sogno quando porto i fiori dal negozio e li sistemo nel vaso verde smeraldo e azzurro che sta al centro del tavolo d’angolo. C’è un entanglement tra veglia e sonno (un’inseparabilità funzionale seppure c’è una differenza formale): l’adesso fiorisce allora proprio , dentro quei giorni decisivi. Il verbo ‘fiorisce’ -che è al presente- lega due tempi lontani che diventano coesistenti nella mente. Posso dire che oggi ha addirittura bisogno di quei giorni per avere un senso. ‘Devo aver pensato’ è un segno concreto di Utopia, un ‘non-luogo’ che esiste ed è il palazzo del tempo dove non sono stato mai e verso il quale adesso sono istantaneamente tornato dandogli esistenza e realtà. Era un luogo del quale ho avuto nostalgia. Esso era presente nella mente e variava insieme a me. Inseparabili io e quel luogo abbiamo comportamenti di interdipendenza e oggi è istantanea allegria di ieri. E la nostalgia il corpo del non cosciente.

Il sogno, la coscienza, la veglia, il sonno: compongono una completezza umana incardinati nel legame di origine dall’attività della fisiologia cerebrale incessante. Ho infranto la regola.

Ma è come faccio sempre alla fine!” – mi dico.

Quel posto sono io. Il mio modo di essere.

Il buonumore si articola per fili di luce intergalattica. Noi siamo dunque anche e soprattutto ciò che utopisticamente non siamo. Ciò che non siamo non è non-essere. Ciò che non siamo è insistente e persistente esistenza di pensiero nostalgico sempre sul punto d’essere sconfitto e superato. La libertà di pensiero è dunque una casa che possediamo nei luoghi non ancora sognati. E che poi proprio nei sogni pensiamo decostruendola cioè dandone via via descrizioni impulsive e incomprensibili solo ad una prima occhiata invidiosa. La casa ha i muri di materia storica cioè frammenti di epoche rivolgimenti stasi reazioni repressioni e incendi. Siamo città verdi e azzurre. Marine di Sironi. Tori picassiani a inchiostro di china e colombe.

Marx tra Londra e la svizzera verde pieno di repellenti pustole dermiche niente affatto gradevole pieno di rabbia bambinesca bisognoso e lamentoso con la rivoluzione da fracassare come un giocattolo sempre a portata di mano.

Il non-essere non esiste con la propria ontologia di inesistenza. Il non-essere non è inesistenza d’essere. Ahimè il pensiero bizzarro dei filosofi! Essi forse non sognano i frammenti delle loro medesime storie poiché  dicono che l’uomo che dorme senza la coscienza è non-essere del proprio pensiero.

Mi sa che la professione di medico sulla costa tirrenica ha avuto un influenza diversa su tutto”  – sorrido – “mi sa che sul mare non alimentavamo la vendetta perché pareva tutto un regalo il verde e l’azzurro per quanto naturalmente fusi e indistinguibili oltre una certa distanza dalla riva stavano al centro dello splendore del panorama e l’affetto per le ragazze estive nude che quando divenne  preminente e tenne tutto in un contesto di bellezza evoluta dalla natura agli esseri umani consentì di comprendere l’idea di una esigenza. Un mondo da rivendicare e un modo di pretendere.

Tra le braccia dei primi amori verde e azzurro divennero pensieri di estetiche azzardate e modi di anarchia. E’ perché la potenza del mare arriva a lambire le propaggini della biologia encefalica. Se il non-essere esistesse sarebbe qualcosa. Non si forma l’ansia insistente dei creditori nell’indagare riflessivo di chi il mare lambisce. Altro è tutto il mondo e il cielo quando è il mare la notte, e non aria fritta o ricordo indigesto delle voci nasali e madri di cartapesta gelata. Il mare scrosciando si inginocchiava di fronte alla bellezza dell’uomo. Di verde smeraldo ha gli occhi il mare e ci guarda con ammirazione. Si cresce amati. Si hanno pensieri di tiepida arroganza. Non tutti si perdono. E chi è rimasto adesso è forte e sicuro.

“Il non-essere non esiste”.

È una ipotesi posta di faccia ad una ipotesi opposta ma non di altra natura. L’ontologia del non-essere è di essere. Dunque troviamogli un nome più adatto.

La medicina si offre di comprendere. La fisiologia del pensiero riassume la figura debole dell’ente filosofico. Nel teatro delle marionette si tagliano i fili e si ripongono gli scheletri di legno nelle scatole. Si sfilano via i guanti di burattino dalle mani che tornano libere. Amleto alterna stati di umore opposti e recita pensieri corrispondenti. Egli pensa il non-essere e forse, secondo felici paradossi letterari, è, dal non-essere, addirittura pensato.

Quando la malattia della mente càpita hai sempre la sensazione di uno spirito che muova le persone.

Per noi amati dagli occhi smeraldini delle onde questo non fa paura. È l’origine materiale alla base della vita mentale che guida il pensiero del filosofo e del malato (e anche di certi altri adesso non pertinenti all’indagine). Il non-essere che è nominato sulla scena del teatro inglese del ‘500 è essere della rappresentazione dell’attore. Poi la credenza dell’essere del non-essere diventa pazzia quando la separazione tra soggetto e pensiero è perduta.

Quando l’anima (il concetto filosofico di essa) ci attraversò seduti nei banchi di fronte al professore di filosofia che era un prete spretato noi avemmo un brivido subito trascurato ma indimenticabile.

È soltanto un onda di marea leggera” ci aveva detto sul mare il pescatore.

E noi tornammo a giocare scuotendoci dal tremore come un cucciolo bastardo dall’acqua della pioggia. La conoscenza dei fenomeni ci toglieva la passività e il fatalismo degli ignoranti. Molti sono rimasti ignoranti e hanno aggiunto arroganza e cattiveria.

Eccomi dunque adesso a rilegare i lembi della tovaglia con un grande fiocco attorno al vertice curvo di un bastone di ciliegio per partire in cerca di fortuna La ragazzina è in equilibrio sull’orlo del bicchiere nell’impronta invisibile delle sue labbra. Il collo appena inclinato traccia solo l’inizio della curva dell’arco isterico. Non ci sono mai state risa piene di appassionata finzione. Mai eccessi. Che sia un’invenzione letteraria tutta quella ‘agitazione’ attribuita sempre alla pazzia? L’ansia dei folli è un tormento delle mani e degli occhi che toglie forza al movimento e li fa inermi generalmente, anche se non meno pericolosi se se ne ha solo compassione senza medicina.

Allora la ricerca si orienta sui movimenti minimi. Le onde di marea sono quasi invisibili hanno spostamenti poco appariscenti. Lo spostamento della geometria delle piccole onde che si deve cogliere se si vuol navigare senza rischi ha la consistenza del sogno. Si coglie dunque molto durante il sonno della veglia. Si coglie proprio servendosi dell’attività del sonno nella veglia. La coscienza lo sa in modi strani. Lo sa dopo.

Lo si sa negli anni: quando si trova la capacità di interpretare le flessioni ad angolo acuto o dolce dei ricordi con voce differente e insomma corrispondente alla geometria di quegli angoli. Non le storie ma le estetiche sono le più adatte a seguire nel suo distendersi attraverso il racconto dei sogni l’anatomia della materia subatomica che è sempre alla base della formazione del pensiero.

Origine materiale della vita mentale. Studio della funzione. Cura attraverso l’azione del linguaggio che ha effetti complessi sulla fisica della vita mentale.

Il bicchiere è rimasto là da mesi. Spolvero i ripiani e lo rimetto al suo posto. Conteneva l’acqua che è sparita nella gola canterina di una ragazza adolescente. Adesso la ragazza sta bene. Il bicchiere mi guarda e mi dice

Ricordi?

E io penso ad occhi verde smeraldo che mi guardano con affetto e mi proteggono dall’invidia.

Sono uscito e come ogni tanto faccio sono andato verso il mare. Dove sono cresciuto. Il mare è mio padre e mia madre. Il mare è la terapia con un genio. È calmo stamani. Rimane quasi immobile pur mosso impercettibilmente dalle maree del pensiero che sostiene la capacità e la forza di adesso.

Il mare calmo non è più inconscio.” mi dico.

Allora forse tutto è cambiato. Allora forse la trasformazione è realtà. Perché il non essere non è mai esistito. Anche se la pazzia che il non esistente possa venire a prenderci e portarci via, quella si, esiste nella malattia della mente che crede all’esistenza dell’irrealtà, al non essere del non-essere. Ma il non-essere è solo negazione dell’essere.

Ho due proposizioni: il non-essere ontologico del filosofo ed esso è angoscia sintomo della esistenza clinica di malattia. Poi c’è l’esistenza del non-essere come negazione dell’essere e questa è la certezza del pensiero che consente e sostiene la cura.

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bandiere rosse per soprabito


Posted By on Ott 6, 2013

citywash def

 “Bandiere Rosse Per Soprabito”(©claudiobadii) QUADERNI&OPERAPRIMA

Il pensiero del medico indaga la funzione. L’origine materiale della vita mentale viene figurata come ‘residenza’ del pensiero nella materia fino a quando coniare altre parole adatte. Il pensiero implica cambiamenti della forma neuronale. Il pensiero consiste nella crescita o decrescita di spine sinaptiche. Il pensiero è la propria funzione. Il pensiero non è -neppure agli estremi- pensiero di sé. Semmai fulgore fisico di tuoni, rintocchi, campanelli, chiacchiericci, scivolosi angoli, sincretismi, vicinanze, intimità di una folla stipata: un momento prima dell’imbarco. Il pensare ha qualità primariamente fisiche. Ontologicamente privo di finalità origina come estremità in cima all’oblio. Anche la luce è la propria funzione. Rappresenta il punto in cui si ferma la retorica delle scienze figurative. La parola ‘realtà’ non ospita nient’altro che il proprio suono. Ed esso sarebbe difficile da localizzare da qualche parte. Questo appare ovvio se si vede che l’attività neuro-chimica che lo compone confina con interi altri sistemi. A lungo teniamo la bocca chiusa se si hanno immagini. La vitalità è prevalenza di fenomeni di inondazione e bonifica. La parola che la esprime ammanta una notte quieta e iniziative incessanti di silenzio nelle quali la vitalità si esprime. Svelando che ‘riflessione’ ‘comprensibilità’ e ‘morale della ragionevolezza’ sono -clinicamente parlando- irrealtà. Escluse tali espressioni allusive la scienza è centro di una festa nuova.

“Sono io, che sto salendo le tue scale.”

La realtà fisica è concepita in entità intangibili che si sostengono esclusivamente su rivoluzionari concetti di ‘relazione’ e ‘proprietà’. Il pensiero è il segnale di un contatore Geiger che dichiara che non c’è abbastanza coesione nella materia per realizzare davvero dei ‘luoghi’. Per cui se non fosse per la quarta dimensione spazio-tempo definita individuata e tratta dall’assurdo all’inizio del Novecento adesso al parlare di realtà fisica tutto precipiterebbe.

“Figurarsi il disastro di essere una farina di atomi nel corteggiarti mentre ti accarezzo!”

Lo spazio è noi e noi così detto è la vibrazione di richiami in aree. Intanto la coscienza scientifica -che non è la razionalità etica- realizza assai meglio del sogno l’irragionevole in camere di preferenze e aspirazioni. In volumi abitativi sottostanti volte e archi. La veglia fantasiosa senza rompere alcuna sintassi sventola radici. Nel panorama post-atomico abiteremo in un fondo seminterrato o nel retro di una stazione abbandonata. Andremo in giro ammantati di bandiere rosse come soprabiti.

-Il tempo è necessario a certi circuiti neurali per raggiungere un certo assetto: sarebbe in sostanza un tempo circuitale insito nei meccanismi cerebrali. Di questo non si può avere ovviamente coscienza, ma potrebbe anche costituire la trama temporale del nostri vivere.- (Le Scienze – ottobre 2013 – ‘Spazio, tempo e cervello’ pag.19)

Il tempo esprime la resistenza della materia al formarsi dell’idea della attesa indispensabile a dare forma alla scoperta. Il pensiero creativo più di tutto tiene lontana la pazzia poiché le durate necessarie allo sviluppo delle ipotesi sono le trame temporali che costruiscono un muro e un balcone sicuro sulla vista sottostante. La vista è su una realtà di oggetto si realizza al riparo della vitalità di una immagine. La figura si può manipolare con una serie di azioni mentali e poi può venire distrutta causando senso di perdita e depressione. L’immagine sono azioni mentali di fisiologia cui sottende la capacità di ‘intendersi’ su una possibilità di trasformazione.

Sono alla lavanderia a gettone per asciugare i panni appena puliti. C’è un sole che tra poco va via perché deve piovere. Lo si vede esaminando la luminescenza delle nuvole a occidente sopra il mare. E quando piove la biancheria e le lenzuola la maglia scura quasi nuova e i maglioni di lei e miei resterebbero umidi e avrebbero poi un odore stantio. Per questo ho voluto venire. Per avere addosso io e lei un buon odore sempre. Sono piccoli movimenti. Ho dei vantaggi e non sento sacrificio. Intere famiglie del tutto distratte nel bar di fronte a casa seminano ulteriori domeniche di briciole di brioche e cappuccini e latte macchiato grigio/bruno e succhi rosati di pesche e the dorati e trasparenti freddi economici di coloranti. Mai amato il brusio borghese che io ricordi. Oppongo il fruscio delle macchine da biancheria e il profumo delle sostanze chimiche di autopulizia e sterilizzazione indispensabili. Stasera sarò ancora abbracciato da questo aroma che mi tiene vicino un universo extracomunitario. Questi mio comunismo di detersivi iper tecnologici.

Una modesta canzoncina salsa cubana bella come sanno fare solo loro bella di niente rimbalza ‘argentina sulle tegole vecchie‘ di quelle teste cattive di padri impomatati e di quelle ragazze invecchiate di astio nei fianchi sempre un poco troppo stretti che rivelano corpi usati come pugnali. La poesia dell’infanzia scolastica ancora oggi si infrange sulle tegole vecchie di una scorticata coazione di rituali domenicali che si vede anche alla cima delle scarpe di certi ragazzini già corrotti dalle vernici antigraffio che valgono una parte cospicua della rata mensile dei concessionari di automobili.

Non ho mai amato niente di questo odore di mense al granturco. Mai amato niente di queste crociere a secco sulle prue delle pasticcerie amore mio. L’affetto che ci tiene ha in comune trascurare la cattiveria cretina di certe mentalità delle undici di domenica.

Ti porto insieme nelle aree piene. Compongo io la materia come vedo. Non ti faccio promesse per domani e di protezione. Sono io la promessa e tu l’eterno presente.  Le parole che prima non c’erano sono manifestazioni variabili di una certa forza di legame della materia cerebrale che spruzza in aria i nostri capelli dal cranio. Ti amo come dicono i miei capelli in aria. Sottomesso alla passione come al vento all’elettricità del clima da giudizio universale di stamani. Svegliarsi nel calore si oppone alle maledizioni di un inferno in arrivo che sempre qualcuno fa.

Siccome è da un poco che scrivo nell’angolo della lavanderia a gettone sono diventato tutt’uno con lo sguardo stupito di una signora di età e provenienza per me inimmaginabili. Lei misura osservandomi scrivere quanto potrebbe mancare al suo turno di asciugatura della macchina grande da mezz’ora temperatura media….

Quando vado via capisco che ‘questo’ tempo resterà sempre legato a quello sguardo che mi stava addosso come una bandiera rossa perché ho scoperto che la signora non era che una cicogna rivoluzionaria silenziosa che mi ha offerto riparo da questa domenica. Confesso che la mia ricerca si svolge al suo apice dentro le lavanderie a gettone e nei supermercati semideserti delle una di domenica. Per cui il nesso umoristico è che la risposta sicura e quieta all’impaccio di molti che vengono a cercare le elevate nebbie della saggezza riposa -a loro insaputa- sulla densità dell’aroma dei detersivi industriali. Le mie parole si sono affinate carezzando le spine molecolari degli antisettici del citywash.

“Il tempo è necessario a certi circuiti neurali per raggiungere un certo assetto: sarebbe in sostanza un tempo circuitale insito nei meccanismi cerebrali. Di questo non si può avere ovviamente coscienza, ma potrebbe anche costituire la trama temporale del nostri vivere.”(Le Scienze – ottobre 2013 – ‘Spazio, tempo e cervello’ pag.19)

Ho impiegato -mi rendo conto adesso- tutto il mio tempo per il coraggio dell’espressione e questa è la trama temporale del mio vivere cioè tutto insieme la mia vita. Felice domenica cicogna rivoluzionaria. Decollando sulla pista del marciapiede tutto è ancora tempo di meraviglie. Le rivolgo soltanto un ” Arrivederci, buongiorno…” come niente fosse. Ma è assai diverso da ‘niente’ quello che so essere vero in questi tempi.

 

 

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la certezza


Posted By on Giu 2, 2013

agenda
IL TACCUINO E L’OROLOGIO DELL’INTELLETTUALE

La salute mentale non figura in niente una specialità se non, invece, un non patire, non avere l’allarme addosso, non temere chissà cosa, dormire subito, stare anche a lungo sotto al sole senza nervoso. Mi prendo dunque, per me solo, dei bellissimi occhiali polarizzati per impedire il riflesso, che mi conferiscono la fisionomia di un soldato di stanza nelle colonie. Si sta bene nel durare ostinato della luce pomeridiana, allo schienale della seggiola del bar a guardare la cisterna dell’acqua necessaria alle locomotive a carbone. Il fuochista alimenta la caldaia, il vapore muove i pistoni nei cilindri e pompa il movimento alle ruote di acciaio lucido. Stare bene è guardare la locomotiva, e, dalla punta di quella sua fronte di metallo abbrustolito, puntare il regolo della macchina prospettica lungo i binari fino all’infinito: che si può perché la ferrovia non curva per chilometri e si dilegua luccicando verso sud. La vita mentale addensata nella percezione della macchina a vapore sfuma su un sentimento posto nel punto di fuga invisibile tra nuvole bianchissime: i due piani prospettici alle estremità del mio attuale stato d’animo hanno ‘cose’ differenti non contraddittore, ma non so dire se il benessere era già prima e adesso tiene insieme calma e paesaggio, o se il benessere è conseguenza dell’accordo tra la lucentezza dei binari e la compostezza del pensiero senza scosse, assorbito nella biologia, come luce su un filo.

Penso: “Siamo stati accanto fino a questo momento in cui la riduzione fisiologica della potenza non fa la rabbia del risentimento, e ora finalmente i padri si occupano con dedizione silenziosa della loro innocente abbronzatura, e ci mostrano gli aspetti spigolosi e le asprezze del nostro carattere, con una nuova, sconosciuta, imbarazzante assenza di qualsiasi risentimento. Dunque abbiamo finalmente riscontrato l’esistenza di genitori privi di affanno che non costituiscono più motivo di preoccupazione. È stata una sensazione rivelatrice necessaria a svelarci che, fino ad ora, ci eravamo costantemente occupati di loro, della certezza del loro tradimento, della loro inevitabile stanchezza, della loro ottusa intransigenza, della loro cronica parzialità. Queste certezze su di loro, che si sono adesso rivelate erronee, hanno per decenni alterato la nostra vita, che fino ad ora, come si può intuire, è consistita solo nel differire una delusione. Adesso è finita.”

La locomotiva si muove. Posso pagare e alzarmi dal tavolino sotto il sole, pensando che non è così terribile non essere più oggetto del desiderio sessuale di nessuna. Infilo gli occhiali polarizzati per non subire i fastidiosi effetti del riflesso di questo primo sole. Sotto il sole cammino per tornare a casa, dopo tutti questi anni. C’è un momento nella vita che il padre fa quello che dicono i figli. Il benessere di oggi è legato alla certezza che posso fare quello che mi chiederanno di fare, che li amo.

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