c’era una volta


dedizione della coscienza


Posted By on Ott 21, 2014

La grande esigenza di rivendicare qualcosa di se. Proporsi dal silenzio in linea verticale. Cioè salire su emergendo. Ne abbiamo viste tante. Ma gli occhi sono rimasti trasparenti. L’umor vitreo e l’umor acqueo non trattengono le tracce della luce che li attraversa. Ma la retina, strati sovrapposti di cellule nervose, i neuroni delle quali si lanciano nel vortice del nervo ottico, ha una propria memoria? Le parole del linguaggio verbale cosciente cercano nelle aree corticali i propri suggerimenti. Le cellule corticali scambiano fibre con gli ammassi dei nuclei della base. Vibrano -traversando la cortina tra razionale ed emotivo- gli indispensabili feedback tra arcaico e moderno. L’idea stessa di universo infinito e quella di vaga bellezza si generano dalle correnti di quegli scambi. La coscienza smarrisce l’intenzione e al servizio del non cosciente smette di opporsi. Nel cosmo fiducioso di queste correnti lattee bassorilievi babilonesi di processioni rituali inanellano personaggi di teatro, comparse cinematografiche con barbe arricciolate. Così il linguaggio verbale allinea le parole. La regista, donna di nebbia profumata, tuona: “NIENTE DI PERSONALE”. Ci si desta irragionevolmente rassicurati.

-‘Le cellule corticali scambiano fibre con gli ammassi dei nuclei della base’. Così pronuncia il maestro al compito di dettatura della scuola primaria. Prepara alla conoscenza i ragazzi costringendoli all’apparente ossequio del tempo necessario all’apprendimento. Si fida pensando che “…. almeno i più intelligenti non confonderanno la difficoltà del lavoro con la fatica di un servizio.”

-‘Vibrano traversando la cortina tra razionale ed emotivo tutti i feedback dell’universo tra arcaico e moderno. L’idea di universo infinito e quella di vaga bellezza si generano dalle correnti di scambio.’-

Non c’è che volgersi, col viso ancora liscio come una pesca, tre quarti di angolo retto alle nuvole. Si incontrano terrazze, chiome d’albero, e il seno di donne mature: madri e sorelle maggiori. La libertà si genera alla fine. Per dedizione. Il minimo indispensabile a spingerci avanti. Qualcuno crescerà.

-‘L’idea di universo si genera nelle trasparenze notturne di materia cosmica che fluttuano sopra la nostra testa. I feedback vibrano traversando la cortina tra razionale ed emotivo.’

Il pensiero verbale dice regina di nebbia ma ho nostalgia di te, spesso, passeggiando solo sulla spiaggia.

Read More

miraggi


Posted By on Mar 12, 2014

image

“MIRAGGI”
copyright: claudiobadii

Nel deserto o nella tundra devi avere un punto di riferimento. Ma sono quasi tutti punti immaginari. È quello che sembra di vedere, e devi avvicinarti, per essere certo che era qualcosa di reale che avevi percepito. Il fascio dei fotoni, in viaggio da quell’area minima di orizzonte, collassa parzialmente sulla superficie irregolare della seta di sabbia portando con sé la polvere d’oro che la sabbia diventa sulla poetica degli strati di cellule retiniche. Per quei riflessi, forse miraggi, qualcuno decide di risalire fin là.

Read More

garantire la diseguaglianza


Posted By on Feb 24, 2014

image

“FERMARE IL TEMPO”
copyright: claudiobadii

Aver voluto essere fin troppo presente. Uno per tutti può bastare nel pantheon. Non un esempio. Proprio uno in carne ed ossa: chirurgo, muratore, contrabbandiere, frontaliero, operaio, disegnatore, danzatrice, rivoluzionario, oggetto di pensiero creativo, personaggio di un sogno. Fermare il tempo e il mondo in un’occasione e una figura d’insieme. La democrazia non resta ferma, nel pensare continuo caratteristico della vita mentale che ha origine materiale. La socialità avrà dunque il compito, non di tenere tutto sospeso in attesa delle nostre passeggiate in piazze e strade, ma l’altro compito di garantire la ‘diseguaglianza’ che tiene vivo il desiderio.

Quando la mia casa è invasa da troppe persone che fanno ognuna cosa diverse che non condivido, mi ritraggo in una stanza. A cercare qualcosa che mi calmi e mi tolga l’incomprensione. Mi consolava stanotte la visione televisiva di una scultura di marmo bianco di Picasso. Ampia pesante ‘calda’. Sempre un’operazione ‘plurale’ alla conclusione dei suoi manufatti. I giganti che disegnava accorenti lungo cieli di spiagge sono essi stessi mastodontiche baleniere piene di ambra grigia a esprimere il profumo della originale biologia che ‘fa’ il genere ‘umano’. Le sue statue che ricordo bianche o colorate mi fanno pensare per contrasto ad un arte differente dall’arte che lui ha “còlto’ che ha ‘visto’ lui solo. Quella non sua è arte degli altri, l’arte magra. Quella che ha lasciato come unica possibilità. Lui, all’opposto era febbrile, florido e fertile ma cercava…  che cosa? Fino alla fine -ogni giorno- non ha mai smesso di cercare e teneva lontani tutti. Da ultimo anche i figli. Era solido d’anima e perseguiva -perseguitandola in verità- l’arte: come a quei tempi forse si pensava di dover fare con una femmina. E mi pare proprio, a vedere quelle statue e quei giganti lungo le spiagge celesti, che l’arte fu colpita e che è rimasta offesa nella ‘volontà’ e che dopo di lui abbiamo avuto una generazione di opere in anoressia. L’arte era vinta -forse- più che innamorata, e si arrendeva sotto le montagne di marmo caldo torrido dei disegni dei quadri delle sculture, delle litografie. Quel poco che si ha di lui che lavora mostra che non aveva esitazioni e non sbagliava niente. Unico guidato dal sentimento e mai dal pentimento. Gli occhi di neonato tutta la vita se li è conservati con il lavoro quotidiano. Il ritardo della riflessione esclude il genio. Per divertimento scrivo il suo diario, come un analizzando potrebbe scrivere fogli del giornale di bordo del proprio medico. Gli analizzandi analizzano il contro transfert. A garanzia. Picasso disegna cose impresentabili, trova forme che non c’erano state mai. Scrive:

“Ogni tanto chiedo l’elemosina e non sono i momenti peggiori. Del resto, del tempo senza pietà non vale la pena di accennare. Del lavoro quotidiano sono convinto che è una cura definitiva. Se anche soltanto adesso posso dirlo è da molto tempo prima di oggi che pratico l’esercizio. Nel tempo ne ho viste e chiamo ‘pietà’ la rarità dei momenti quando questo ‘lavorare sempre’ suscita una convinta comprensione, e chiamo ‘elemosina’ il lavoro solitario senza risposta. Non so come sia che nonostante non possa parlare di un successo che mi abbia davvero soddisfatto, che non c’è stato mai, in animo non conservo il sentimento di aver ricevuto né elemosina né pietà. Tutto quello che penso, di fronte alle mie statue di giganti e di uccelli e di marziani e gufi e tori e colombi…. è che ho sviluppato, nonostante tutto, fantasia e conoscenza.”

Già, ecco gli scherzi della solitudine. Mi serve di illudermi di conoscere i pensieri di chi va via dalla stanza illuminata ma non so far altro che disegnare le loro ombre. Si dice che l’artificio di circoscrivere il niente, per non dimenticare chi andava lontano, sia stato alla base della navigazione e dell’attesa. Il contro transfert si piena di colori forti e decisi.

Read More

la cicogna portata dai bambini


Posted By on Nov 10, 2013

"CAMUS" ©claudiobadii

“CAMUS”
©claudiobadii

Scoperta. Gli appuntamenti. I puntini sulla carta altimetrica del tempo tuo e mio. Eccoci ancora al tavolo della stanzapianoterra. Il bordello domestico innocente e il casino dei poveri che fa per noi. Scarpe grosse data la pioggia. Oggi una catinella è diventata la strada. Cantiamo sotto la doccia di gocce azzurre e argento e si è fradiciata la carta de “L’ordine libertario – Vita filosofica di Albert Camus ” scritto da Michel Onfray  e pubblicato a settembre 2013 da Ponte alle Grazie che ho comprato ieri. Riso diventano le pagine e ridi tu di me con questa pasta di alberi (le pagine di cellulosa disciolta appunto) sotto il temporale. La cellulosa per fortuna, riparata nei libri riposti dentro le librerie, circonda tutte le pareti di casa ed è anche un tunnel lungo. Ci abbiamo abitato quotidianamente. È il viaggio di nozze che dura cent’anni. C’era una volta. Tra le mie dita ricordo sempre pagine disegni come negli occhi il sesso femminile. Non fa differenza. Mi ci sono sfamato una certa curiosità e l’insonnia che è un regalo divino una grazia e una benedizione per chi ce l’ha avuta. Come particelle fluttuando si andrà a cena con certi amici ripetenti come noi che non siamo mai stati promossi alla maturità del cinismo. Usciremo insieme. Il verbo con l’avverbio che è scudiero fanno festa. Intanto ho otto ore di aperitivi di pagine e silenzio. Ho insieme a te una piccola casa di libri e geometrie piane. Abitiamo stanze che sono poco distanti da un bar per borghesi tronfi e scemi e da una lavanderia per persone quasi sole. La vita smisurata la facciamo stare nel progetto abitativo composto di stanze più e meno numerose secondo i momenti. Come nei sogni esse si ampliano si incastrano una nell’altra sono cioè le dita degli innamorati. O si sciolgono e si stendono una dopo l’altra in una cosa che è la collana di perle che abbiamo comprato alla fiera. Le finte perle di plastica dura contraffatta con l’irregolarità delle perle vere quando vengono passate tra lingua e palato. Le parole che misurano le piccole irregolarità che fanno credibile il linguaggio. Stanze a pianoterra chiare adesso erano ripostiglio e garage bui senza finestre tre anni fa. E poi -dopo la seconda adolescenza che prelude ai nostri quasi troppi anni- con il lavoro delle parole e delle tue creme di verdure possiamo starcene accigliati senza troppi complimenti che distruggerebbero la differenza del colore, di fronte ai fiorellini sotto le magnolie che non lasciano crescere gran che con quel peso d’ombra. A causa delle magnolie dunque si studia in penombra di fronte al mare brullo del ‘fuori’ che è di proprietà come si dice, e veramente è di più della somma delle stanze. Leggendo il mio libro dico che vige in un certo senso un ordine libertario anche qua dunque. Come tante persone oneste, per una ragione o per un’altra, senza che ci pesi per niente, stiamo quasi sempre tra noi e, a causa di questo imprevisto isolamento, non abbiamo molte occasioni per avere una conferma di ‘noi’. Di certo ognuno per conto nostro siamo convinti di tutto ‘questo’. Non è tempo di godere la socialità ora con la stupidità dilagante e l’approssimazione e tutta questa filosofia della bontà dell’uguaglianza verso il degrado. Con un fondo di sentimenti differenti ti ho lasciata là a guardia e testimone del nostro sottoscala. Io ho l’appuntamento domenicale esito di un innata tendenza al libertinaggio che non hai voluto togliermi. Tu ai fiori eserciti tutto quanto io ignoro. Per me sei perfetta e fedelissima. Mi serve pensare immediatamente così dato che voglio essere presente anche stamani ai profumi e alla scienza dell’aria calda spinta addosso alla biancheria. Ehi. Ancora non è chiaro come sia possibile che negli ultimi tre anni non abbia perduto il gusto di scrivere queste pagine. L’idea che ne ho è che dovunque capiti ti penso e non riesco a lasciarti in pace. Come se fosse evidente che essermi irraggiungibili mi rende le ragazze desiderabili. Attraverso da mattina a sera il tunnel dei libri in forma di aria di strada e volume profumato della mia stanza. Il suono dei passi dentro le gallerie attuali fa eco alle passeggiate sui crinali e sulla spiaggia di sempre. Sono felice, non c’è altro. “Camus intendeva smarcarsi non tanto da questa lettura sbagliata dell’esistenzialismo quanto piuttosto da una filosofia che, quando è cristiana presuppone la critica della ragione a favore della divinità, e, quando è atea, divinizza la storia. Camus non vuole scegliere tra Dio come storia e la Storia come dio, e pensa all’arte di vivere in tempi di nichilismo.” È il mio regalo di stamani. Vivere contro la pretesa del nulla. Cioè quello che sei ai miei occhi. L’amore, forse, neanche c’entra gran che.

Read More
DSC_0183

“La Gradiva Attuale”
foto per gentile concessione di Cristina Brolli
tutti i diritti riservati all’autrice.

Amicizie importanti. Balconi solitari. Accompagnatrici nella hall. Vergogna. Materializzazione dei personaggi cinematografici sui volti delle attrici. I passi sul velluto alto. Come vivere fosse senza attriti. La massa del tuo corpo leggero in teatro. I fastosi dubbi del soggetto per conclusione. Dormirsi vicini. Il sogno non è che una proposizione provocatoria. Non è vero che qualcuno ne conosca il latente. Che latente è se posso dirne gli entusiastici enunciati. È però importante che ci sia chi si avvicina. I palombari nelle stanze dei relitti. Vedette sul sommerso. Fin’ora i filosofi si sono limitati ad interpretare il mondo come i medici poterono in un primo millennio almeno inquadrare distinguere schematizzare disegnare. Nell’800 volemmo assumerci emozione ed ansia di trasformazione del mondo. Cura e restituzione dell’integrità. Ma il marxismo provocava l’esclusione dei dissidenti in manicomio. Il materialismo qualsiasi cosa volesse dire suonava alto e esplodeva nelle cantine. La conoscenza esatta della fisiologia che è norma di sanità non è neanche un relitto in fondo al mare è una nave arenata obliqua quasi sulla riva.

Il peso fa fondamento nella sabbia. La vita mentale senza una scienza lascia ragionare i filosofi secondo una logica più che altro morale. Il materialismo è spiritualista. La base del pensiero marxiano non risolve il problema clinico della pazzia. La scienza si dissocia dalla ricerca della sanità dell’essere umano. Il primo diritto viene abbandonato alla fortuna ad una serie di opportune circostanze incontrollabili. Il potere viene preposto all’economia. Il valore ha misure aziendali. Io con quanto mi spetta comprerei una cosa inutile. Non secondo i bisogni. I palombari esplorano relitti dentro i quali vagano come la mano che regge la matita che traccia una linea continua intrappolata nell’anello di Moebius. Che non è l’infinito solo l’ossessività della ripetizione. La disperazione dell’efficacia.

Nell’ottocento tutto cambiava. Si avevano disegni accurati di cinetica e chimica dei comportamenti biologici. E la mente seguiva attenta sviluppi e successi. Poi la trasformazione delle condizioni di base di ricerca esperimento e sintesi conoscitiva. Camici puliti anche nei laboratori. La diagnosi attraverso il sangue. L’asepsi divenne neutralità. Il pensiero indaga la natura non chiede più. Il mondo diviso tra materia e spirito non vede nell’origine materiale della vita mentale la speranza di una differenza della specie umana incardinata in un certa funzione propria della conformazione cerebrale. La vitalità.  Così era tutta una perplessità implorante dio e lo spirito di uguaglianza e di fratellanza come soluzione quando (sempre!) tornava l’onda anomala dei disturbi del pensiero medesimo.

Il pensiero credette di poter indagare il pensiero nel rapporto oggettivo con la malattia dell’altro. E l’altro aveva una malattia che -indagata- esercitava  a propria volta fascino e repulsione nel pensiero degli scienziati indagatori che cambiava il loro modo di essere e di comprendere in relazione all’oggetto che avrebbero dovuto isolare con un affetto scientifico di asepsi e definizione senza sfumature. Aveva una malattia che -indagata- esercitava incontrollabili fascino e repulsione nel pensiero degli scienziati.

Sulla prua della nostra nave annusiamo venti di tempesta. Siamo nei secoli speranzosi del contro-transfert. Nel buio della confusione apparente di un alveare. Tutto vibra armonicamente. Una natura di per sé inoffensiva ci si muove intorno. Restiamo immobili. Di dieci anni in dieci anni. Le gocce di pappa reale ci imperlano la fronte. Incoronati e muti. Lieti senza poter dichiarare la letizia. Un grido che altera l’armonia dittatoriale potrebbe costarci la vita. Profanare l’istinto di sciame è mortale. L’inalterabile natura è rigida e fatale. È un samurai dotato di una tecnica assassina. Così restammo. A osservare. Sonnolente tecniche di descrizione psicologica e strategie di accerchiamento inefficaci: insomma zuccheri e insuline velenosi. Indagini psicologiche fini. Ma era stato accettato che: il bambino appena partorito è perverso. Dunque avevamo una teoria che consentiva indagini fini su cyborg. Il bambino è perverso e polimorfo per sua natura. Psicologia in serie prodotta nella fabbrica delle tettarelle di plastica.

Balconi solitari. I decenni volano. Qui le piume oscillano cadendo. Fanno il pendolo dentro l’imbuto della gravità. Nelle moderne sale di ricerca le mani dei parrucchieri in ectoplasma corrono sul palcoscenico della stiva come attori e attrici del muto. Muto ma non sconosciuto o inconoscibile è quanto dovremo scrivere. Interpretare poi esprimere il senso di quanto capito e tornare su geroglifici mantenendo la figura della nostra scrittura sillabica. Percorrere il filo della linea di primo piano sul palco degli scantinati degli studios di questa MGM popolare. È discorso diretto il mio tacere. Lontana la locomotiva sferraglia. Il viso piegato sulla rotaia è una forma di attesa perché non possiamo sfuggire quanto si avvicina. Il nostro futuro venendo dai luoghi in cui noi l’avevamo scagliato non appena lo avevamo anche deciso arriva strepitando o cantando e il vibrare dei treni sulle rotaie del far west e il ronzare degli alveari si estendono come ‘intuizioni’ di cui siamo certi.

Improvvisamente è qui e ci travolge e dilaga alle nostre spalle. Allora rapidamente alcuni di noi fanno una diga sul bacino del passato. Corrono fuori alla linea del traguardo del giro ciclistico del mondo. Gentili ragazze in nero si ergono filiformi sulle prue di navi di scena. Ciascuna a suo modo, nave e ragazza, stanno ben piantate affondate nella sabbia sicura della ricostruzione scenografica di un’isola. Il regista grida “Guarda avanti al tuo mondo nuovo”. Le ragazze, alcune, vengono pagate profumatamente per la loro bravura a lasciar trapelare la luce di un sogno che è l’unico segno di realtà e dunque l’unica giustificazione a fare un film ancora.

Come dentro la sala cinematografica profumata di velluti anche una certa illuminazione del mondo dovuta ad una interpretazione riesce ad agire sulla forma mentale che derivava da certe nostre convinzioni su quanto era accaduto. Una nuova persuasione però non riguarda retroattivamente soltanto un nuovo accordo su versioni della storia. Invece è una cerimonia matrimoniale. Una promessa di fedeltà. Si riassume nell’idea che suggerisce che “Dunque,tutto quanto è stato, valeva la pena….”

Read More

tigri


Posted By on Apr 12, 2012

“Essendo te quell’accumulo di materia, quell’eccesso di senso di una super-simmetriaallora” – dico – ” la storia di un’amore non ha un centro, ed è solo sopraffazione.” (in operaprima: musica di altri momenti)

Così finiva l’articolo precedente di ieri. Così finiva ieri. E si ripropone, per via che da tempo non ci sono parole precise per dire, davvero, fine. Per essere contemporaneamente liberi di continuare. C’erano delle pretese. Allora ci siamo scelti. Si è scoperto che scegliersi vuole anche dire che da tutto il resto si era inesorabilmente differenti. Tra il pensiero e le cose della realtà, compresa la bella struttura anatomobiologica cerebrale, nella quale il pensiero nasce e si sviluppa, non si trova un confine preciso. La mano che carezza la pelle in qualche modo cerca all’infinito una distinzione, e poi si arresta. E poi torna domani, perché, nell’arrestarsi, non ha finito. Però tra le persone le differenze ci sono. Ci sono differenze senza fine. Che stabiliscono più che il tempo della vita, il luogo e la posizione spaziale delle specifiche esistenze.

Amiamo le differenze del sonno. Dello sguardo. Della postura. Ci si appassiona, ad un certo punto, che non ci si scelga solo per accordi di parole. Ma per i modi di sedersi, e di sfiorare con il dorso della mano il dorso della mano, e per i timbri di gridare o cantare, e per il flettere leggermente il busto in avanti senza cadere, ma proprio quasi assolutamente cadendo tuttavia, nella scortesia di andarsene -del tutto offesi dall’inconsistenza della proposizione- silenziosi e svergognati, camminando di lato come aragoste verso il corridoio laterale della platea. La ricerca è che siamo sgusciati dalla poltroncina quasi centrale della terza fila lasciando il convegno, il concerto, la messa di commemorazione, la parata delle celebrazioni del culto della personalità. Al massimo si è compiuto solo questo in effetti: il gesto di andare via. Senza spiegare niente. Facendo l’annullamento.

Non era che acqua oramai inutile. L’immagine, che non è figura ma vitalità incosciente del pensiero, determina di voltare le spalle. La rabbia l’abbiamo lasciata che mangiava a morsi piatti di spaghetti come non si deve fare. Di qua le ragazze disappetenti si cibavano in una famelica astinenza delle loro carni smaglianti di profumo. Il silenzio procedeva dall’alto in basso. Il benessere che era già fatto da anni che era fatto continuamente si scontrava fragorosamente con fari sbattuti in faccia. Con assenze indicibili. Assenze raccolte nella parola assenze. Non cose. Gesti psicologici in luoghi lontani da ogni possibilità di scelta. Ora è tutto un fiorire di altri atti distinti e convergenti. Ma, come sempre è, secondo la durata delle cose implicite, altri gesti, apparentemente distinti, differenti, non correlati ma tutti pieni di ebete stupore, causano a loro volta all’opposto un mal di testa che si dice sia per artrosi cervicali, virus, cambi di stagione, strane congruenze tra natura e riflessione non cosciente. Tutto quanto potrebbe anche esserci, di certo, e allora dovrà essere cercato.

Forse il pensiero porta l’idea di una velocità superiore alla velocità della luce -di cui si bisbiglia in fisica- sfiorando sciaguratamente la religiosità orientale. Il margine del burrone dei rischi da correre. Le intimità -differenti dalle intimità private– si confrontano con la parola dialettica, che è una parola difficile perché si riferisce a una serie discreta di tempi successivi. Ma era tutto là prima e sapevamo, di sicuro, che sarebbe stato molto probabile che avvenisse una fine. L’unica cosa che potrebbe darsi si sappia fare, al momento, è assumersi le responsabilità che ha a che fare con l’arbitrio cioè con parole dure stridenti e presuntuose. La parola soggetto non è ironica. A disposizione -non percepibili come figure- le parole scritte ritrovano una esistenza di pensiero quasi come potesse darsi che la scrittura fosse la trasposizione, il disegno, della transizione tra biologia e vita mentale.

La parola tempo resuscita dal mal di testa con la parola finalmente. Il mal di testa muore. Non è pensiero quando scrivo “Eccola sulla linea del confine, sul filo del disegno, silenziosa, l’unica che valga la pena, che da sempre sorride come se non pesasse nulla.” Voglio dire: “Come se il nulla non pesasse più, come avesse trovato un modo migliore di stare al mondo.”

Se c’è un motivo di adesso è che allora presi questa decisione. Non è passato neanche un secondo. ALLORA…QUESTA non hanno nulla fra di loro. Stanno insieme da sempre anche se solo adesso si capisce. È una strettoia. Bisogna annullare. Perché era solo acqua che da indispensabile diventa inutile e gravosa. Perché non c’era mai uno che chiedeva, c’era la superbia. Ma soprattutto perché…. nella solitudine conseguente….

Cercheremo ora una terza tigre, ma come le altre anche questa sarà una forma di ciò che sogno, una struttura fatta di parole e non la tigre in carne e ossa che al di là di tutti i miti solca la terra. Conosco queste cose abbastanza bene, e tuttavia una forza continua a spingermi in questa vaga, irragionevole e antica ricerca, e continuo a inseguire ora dopo ora un’altra tigre, la bestia che non si trova nei versi.” (Jorge Luis Borges, ‘L’altra tigre’ – 1960): è nel quarto foglio, pagina 7, prima del Prologo, nell’edizione ‘I GRANDI Tascabili Bompiani’ – anno XX n°772 – di ‘Le Ore‘ – Michael Cunningham.

[banner size=”468X60″ type=”images” corners=”rc:0″]

[banner size=”468X60″ type=”images” corners=”rc:0″]

Read More