ragazze


Sketch 2014-02-21 17_10_43

“GRAFFITO”
©claudiobadii

Mi prenderò la libertà di confidare in noi. Tu ci hai descritti. Definiti. Io, senza neanche una parola di avvertimento disporrò di te. Tu sei la presenza intellegibile. L’amore, voglio dire, è quel tipo di capacità che si può avere di porsi di fronte all’altro che, improvvisamente, si sente capito, di non dover spiegare nulla. Si può non averla questa capacità di alleviare, intanto, tanto di quanto prima pesava agli amici ai commensali agli ‘altri’. Gli altri, alle persone dotate di una certa capacità appaiono comprensibili sempre. Questi che hanno la capacità hanno uno spazio intimo nel quale i cosiddetti ‘altri’ possono riposare le loro ossa rotte. Quando siamo profughi dagli scontri di piazza contro la polizia del dittatore e quando siamo profughi dalle torture della polizia segreta dei rapporti privati. La polizia segreta dei nuovi strumenti di controllo poliziesco, i Facebook, i WhatsApp, i socialnetwork, come si chiamano i moderni luoghi del narcisismo collettivo.

Serve una qualità di grandiosa modestia. Far sentire gli altri legittimi. Il grande male, la tragedia diffusa, la polvere di gesso che copre tutti… è la ‘certezza’ della propria illegittimità, il senso di precarietà, i numerosi sospetti a proposito di sé nel momento che si comincia a riflettere su noi stessi.

E’ stato necessario studiare, prepararsi, essere previdenti faticando quando erano grandi le forze. Abbiamo studiato lungamente. Abbiamo scovato, traversando dalla teoria psicoanalitica freudiana disperata e parziale alla nuova scoperta della nascita, poi guadammo la prassi terapeutica il fiume dello Stige, l’interpretazione della realtà psichica, l’annullamento della realtà materiale, il rifiuto delle scuse coscienti per il sapere dell’inconscio che, però, faceva dimenticare tutto. Dunque troppo. Gli analizzandi mangiavano le focacce di pane dolce per dormire e non uccidere più. Ma non era ancora il tempo della loro vita, perché il transfert era idealizzazione e loro -nel sentirsi ‘bene’- invece erano ancora fragili, ipersensibili, irritabili, neuroastenici, deboli, impauriti, isterici. E non essendo ancora il loro tempo di vivere restavo fermo anche io nella relazione di scambio, senza nessun margine di ‘resto’, senza nessuna altra possibilità. Non era, voglio dire, nemmeno il tempo della mia vita. Il contro transfert risentiva dell’obbligo di accordarsi sapientemente al transfert. Era impossibile, di fronte alle loro evidenti difficoltà (a capire a vivere a trovare la forza a superare l’isteria a superare la fragilità a superare il loro odio verso di me che li rendeva nevrastenici) che io potessi avere la calma per vivere ‘normalmente’ … ed il contro transfert era solo disciplina di lavoro, difficoltà, inquietudine, paranoia… “Poi ce la fanno a farmi fuori…”

Decenni di parole e di pause, ogni volta sette giorni. Avevamo fatto tanto per dividere il tempo in frazioni non decimali per accordare il ritmo delle pause e degli incontri alla luna alle mestruazioni alle fasi calanti e crescenti. Al sangue. Trovavamo con le mani cieche quel sangue secondo un sapere che veniva dal nomadismo delle dita sul seno materno profumato dei primi momenti. Fasi crescenti e calanti. Le imposte aperte e poi accostate per fare giorno e sera secondo il sonno reciproco del neonato e della donna. Lontano dal mondo della produzione del padre. Abbiamo studiato per trenta anni. Aprire il libro. Chiudere il libro. Fase crescente, gli occhi sono saracinesche, persiane, che calano si serrano fanno il buio artificiale per sognare una comprensione, per chiudere le braccia attorno a te e fare l’amore. Per chiudersi a te e lasciarsi succhiare il latte come non ci fosse altro.

Lo studio dei libri, delle teorie, della scienza fisica, della scienza letteraria, della critica sociale, della politica, erano il setting: la sistemazione delle cose nell’universo esistente. Non ho ricordi differenti da quel procedere, ogni giorno, avendo intuito contro/intuitivamente ‘qualcosa’. Non ricordo niente altro. Come un amore di passione che non ragiona anche se non diventa bramosia e, pur volendo la carne e la saliva, tiene la distanza e l’idea di desiderio come certezze inestinguibili.

Studiare i contenuti. Poi si arriva alla linguistica, alla neurofisiologia, alla neurobiologia, alla certezza della origine materiale della vita mentale. Le dita sulle pagine fanno sempre il nomadismo come si era cercato. Le dita tracciano, muovendosi sulle pagine, il disegno del reticolo epidermico della cute sulla ghiandola mammaria che è irrorata dal calore. Lo studio ha questa sua legittimazione di desiderio, ma non c’era più, in quel tempo, la madre vista stando in piedi di fronte a lei. Nella regressione che doveva togliere l’isteria che è irrealtà, si perse la visione della madre intera. Si andava ai milioni di anni. Alla paleoantropologia. Se non avessi studiato anche quella branca della scienza dell’uomo avrei temuto che fosse una regressione pericolosa. Le parole che nominano le aree pulite del sapere mi rassicuravano che era possibile.

Dalle teorie mi sciolsi per arrivare all’impotenza assoluta del pensiero non razionale. Persa la visione della madre intera tornato ai milioni di anni dicevo parole senza senso. “Veglia senza coscienza”. (Dove altri dicevano immagine inconscia non onirica, che forse intendevano tutt’altro da quello che io credevo volessero esprimere..). Ma io non volli scomodare più la seta usurata dei discorsi altrui. Mi facevo le ossa con le carezze alla voce delle donne sconosciute. Fisica, scienza sociale, paleoantropologia, linguistica…. Per la pazienza di altre donne. Che concedevano le infrazioni e non si fecero mai ‘legge’.

Grazie a molto di questo che è solo sabato pomeriggio torno fino all’antropologia ultima, quella dell’evoluzionismo attuale. Ecco la mela rossa che, vada come vada, lascia affondare i nostri denti bianchi. L’evoluzione non ha un andamento lineare. Le mutazioni vantaggiose crollano. Mutazioni controproducenti emergono e progrediscono. Gli ominidi, lenti nella savana e appena sufficienti sui rami, sono riusciti. Saranno due milioni di anni fa. Imprevedibile. Non ci si sarebbe scommesso. La legittimità figlia della improvvidenza. Il successo di non essere annullati e spazzati era steso ad asciugare sulla via della resistenza (c’è un articolo e un disegno in proposito nel blog..). In equilibrio precario lungo la linea confinaria. In equilibrio precario di un sabato pomeriggio di due anni fa. Per un sorriso.

Il controtransfert adesso è una scelta di marginalità a presidiare i confini solamente, a controllare nulla. A guardarti telefonare certamente ai tuoi amori senza voler sapere. Tanto lo so. L’ho sempre saputo e ti ho amato comunque. Diversamente, senza quella bellezza che ti rendeva orgogliosa, silenziosa, misteriosa, traditrice, non avresti avuto nessun fascino. Io lo so che voi donne considerate amore solo questo coraggio che si deve sapere, e saper immediatamente dimenticare, la vostra bellezza. Di saperla solo quando ci offrite di succhiare il seno in silenzio. Poi dobbiamo essere stupidi e lasciarvi. Io ero fatto per questo. Perché avevo sempre tenuto in segreto la necessità di pensarti dentro il miele dell’universo appartenente al buio dei tuoi segreti luminosi. Così ti ammantavo. Così ma in modo che tu non vedessi. C’era una probabilità minima di riuscire. Una ‘vita migliore’ è un’ipotesi contro intuitiva nel migliore dei mondi possibili che l’amore pretendeva di esaudire. Resto come ero, abbastanza povero, con te sulle dita. Ti lascio scivolare sulle falangi. Sei un’Araba Fenice che scompare nelle aree cieche degli spazi nascosti e ricompare sull’orizzonte dei polpastrelli. Io sono una specie di prestigiatore. In verità mi muovo lentamente attorno ad un atomo d’elio fissato al centro della visione per non lasciar cadere fuori del campo del mio interesse neanche una delle scintille che spruzzi. Mi avvito sul perno di te, che inchiodi le mie mani in un punto non casuale in aria.

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L’origine materiale del pensiero vuol dire che l’immagine può essere al di qua della percezione sensoriale. La vitalità sta prima della nascita, e la nascita precede il primo sogno. Tu ed io siamo prima di noi, al di qua, ma mai siamo stati le nostre “cause”. Non io sono causa di te e non tu la mia. Siamo il “subito dopo” quando diventammo buoni motivi per vivere. Però, perché accadessimo l’una all’altro, dovevamo essere in grado di immaginare (perché non eravamo in possesso dell’esperienza del nostro rapporto felice) la possibilità di…. noi prima di noi.

Al di qua di noi Toro Seduto riposa: è l’idea di probabili amori nelle foreste degli emisferi cerebrali destro e sinistro, nelle colonne di cellule neuronali, tenute nelle ragnatele di sostegno e nutrizione, lungo propaggini che sfilano via di traverso e in basso, e piegano di qua e di là in tutte le direzioni. Alcune sembrerebbero tornare sui loro passi e poi girano lateralmente a destra o a sinistra della loro origine e vanno a rammendare la scissura centrale formando la radice aerea di pasta bianca friabile del corpo calloso. Il pensiero ravvivato cuoce quella focaccia con i flussi della propria energia, e nel cuocerla esso stesso si compone con la farina di scintille. Il Capo Indiano e l’Indovina Senza Età, nella creazione delle loro scommesse quotidiane su chi abbia fatto il sogno più lungimirante, si scambiano dubbi sul tempo che farà e si rappresentano il viaggio della transumanza stagionale, e inventano forme nuove di pensiero con i miti da raccontare ai nuovi nati. I figli degli amori invernali.

La Ragazza di Spago è l’Ombra di Sé e la Vela è un Lenzuolo e una Bandiera. La vela non ancora rappresentata ricorda la Libertà avvolta dai tricolori sulle barricate ma è nuda, questa figura qua. È il lavoro raccolto di una intera mattinata, è trattenuto insieme sulla tela come i capelli della ragazza nell’asola di un laccio azzurro tanti anni fa. Quando non sapevo l’intimità delle dita tra le ciocche scure di fili profumati. Molte cose non so, neanche ora. Ti toccherà curarti di me per amarmi e starmi accanto. Non trascurare quello che mi ha reso così. E quello che è mancato per cui non mi ha reso in alcun modo. Devi curarti di quello che si potrebbe diventare. Capire momento per momento i molti modi del trasporto di affetto. Volevo mettere sui pannelli le cose più belle degli ultimi due o tre mesi: la traccia dei tuoi capelli, la poesia, io che mi sveglio e subito voglio essere morto per restare impigliato nelle reti dove poltrivo dormendo. Me sui giri di corde annodate. Me che dormo sul linguaggio appena svolto davanti agli occhi nei libri che ho scelto con cura per diventare meno ignorante. Io che dormo alle banchine dei rammendi dopo la pesca miracolosa. Me che volevo diventare un marinaio e non l’ho mai detto a nessuno. E nel mettere su i due pannelli -che coprono la curva dell’arco e cambiano il volto della stanza- quasi per affermare che alla fine sono diventato marinaio, mi sono lasciato sfuggire una visione, una proiezione di figura e avevo detto “Questa è una vela, vedete…

Abbiamo disegnato una vela. Non c’è sulla canapa un punto in cui si chiude nessuna delle convergenze reticolari. Ci sono tracce rassicuranti degli abbracci della Donna Ragno che tesseva argomenti ineludibili, dalla poltrona dei professori, alla seconda ora di lingua straniera. Sottilissimi fili traversano i corpi di spago grosso perché i nostri sguardi erano pieni di ardore e la avvolgevano mentre pronunciava: ” Ich bin, du bist er/sie/es ist ” (io sono, tu sei, lui/lei/esso è…) Quelle parole sono i fili sottili e i nostri sguardi appassionati di allora e di adesso. Sono le trame del pensiero filosofico, della necessità della sintassi, del rispetto delle forme verbali. I fili grossi  ben incollati sono messi perché non si poteva lasciare solo una serie di ricordi, di tracce nel presente, poiché abbiamo anche una identità sessuale di donne e uomini e abbiamo saputo assumerci altre responsabilità grafiche. Responsabilità di segni ampi per riposare nella presunzione d’amore, nella sicurezza delle mani altrui e della altrui disponibilità alle carezze.

(E dovessi, poiché voglio, dirti tutto, comincio che mi trovo bene con il pensiero buono e vivo dei morti che amo e malissimo con i più, più morti che vivi in agonie rumorose sui marciapiedi delle sette di sera.)

La psichiatria ha la cura fatta di parole. Ma ha sempre la necessita della ricerca sulla genesi del linguaggio. La formazione del pensiero dalla materia o, meglio, la costituzione della natura fisica del pensiero che consente l’iniziativa verbale ed ogni altra capacità di immaginare una realtà differente. La psichiatria deve scoprire la fisiologia di una specifica attività cerebrale diversa da quella che presiede al movimento volontario, agli atti riflessi, alle azioni intenzionali. Una ricerca sulle condizioni di base di una funzione globale (generale) della vita mentale viene condotta al meglio attraverso il canale dei rapporti collettivi di gruppi di persone secondo il metodo di dover fare riferimento agli eventi che sedimentano giorno dopo giorno nell’ambito (“durante”) le ore di psicoterapia. Dapprima solo il medico si propone un interesse di cura. Poi la partecipazione non più passiva di altri che si sono curati fornisce maggiori garanzie al lavoro, e trasforma il rapporto in qualcosa di differente dalla sua forma originaria.

Questi stati ripetuti di partecipazione, che si incrementa volta per volta, costituiscono eventi che trasformano la figura del transfert che lascia i propri riferimenti alla anamnesi di vicende traumatiche soggettive e si  rivolge alla scoperta di nuove possibilità di relazione sociale.

Per quanto posso dire la ricerca è adesso l’analisi degli eventi inconsci che si sono svolti a partire da una vicenda originale di scoperta scientifica. La cura sta nello studio delle vicende non coscienti come si sono svolte nella cultura “ufficiale” che prima dovette confrontarsi con la nascita(*) e poi con gli inevitabili errori della percezione determinati da odio rabbia e tentativi di annullamento di possibilità di immaginare qualcosa di altro.

E’ emersa una analogia tra l’anamnesi della cultura e la storia personale degli esseri umani.

note: (*) TEORIA DELLA NASCITA – M.FAGIOLI

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