Posts Tagged "nascita"


il mare violetto d’agosto


Posted By on Ago 17, 2017

Mi sei stata tramandata come un impero da comandare un po’ per grazia di dio, che sarebbe come dire una parte di genetica, e per il resto per volontà di una nazione cioè, esaurendo l’analogia, in accordo con la cultura dei nostri tempi irruenti. Si tramandano le relazioni? Gli accordi d’amore? Si tramandano come una tradizione alle successioni nei mestieri e nel comando i legami tra donne uomini e mondo? Non so, forse, dicono i tuoi occhi violetti inquieti quasi sempre obliqui e mai, però, se mi chiami ché in quei casi mi inseguono insieme alla voce che pronuncia il mio nome finché mi giro verso di loro e, fermo, ascolto il nuovo comando e la lista dei desideri. L’impero dei sensi miei si concentra in quei rari momenti e per il resto lo scrivere è pienare il tempo e il vivere tacere esule libertà mesta spavalderia sottoproletaria. Il viola conosco impero e cultura: così l’iride decide la spartizione del tempo e dei poteri. Oggi che sul mare viola urla il vento occhieggia il riflesso dentro me di te che chiami. Il giorno tramanda di noi frammenti di suono. Nella regressione alla nascita il mare spadroneggia.

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nascita, sonno, rivoluzioni


Posted By on Apr 2, 2017

Una rivoluzione non si è mai vista, perché una rivoluzione non finisce. Per sua natura si estende e si estende, ma poi finire vorrebbe dire quieto ritorno e reazione. Per questo, delle rivoluzioni, si colgono gli albori: poi solo un delta frastagliato di evenienze politico/sociali, che paiono solo quel che sono: uno svanire e la risacca e conchiglie ai nostri piedi. Rivoluzione simultanea di volo e nostalgia del volo, di vita dell’uomo e percezione del mondo fuori dall’uomo. Nei racconti, al calduccio dei focolari e sui solai di macerie tra sopravvissuti, molto dopo, la fantasia -prima delle cronache storiografiche- ricrea il tessuto temporale nelle veglie di racconti. Ritornano, con la voce, il rosso, il sangue, la bandiera. L’eroe, il fumo delle palle contro i palazzi del tiranno, l’ansia di giustizia. Certe parole forti paiono idee innate nell’essere umano, tendenza e capacità di immaginare: cioè tenere insieme molte cose differenti nell’astrazione in numeri suoni e parole. Suoni e note, segni parole e scrittura.

Posso intuire che rivoluzione è un’idea  innata che corrisponde alla nascita dell’io inconscio dell’essere umano che non sa rappresentare la propria fine. La nascita del pensiero umano alla nascita non ha l’angoscia di morte. Molto semplicemente, ad una osservazione clinica di trent’anni, posso ipotizzare che una rivoluzione sia quasi immediatamente, fiduciosa certezza del sonno.

([email protected])

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flash forward


Posted By on Mar 8, 2017

Il tempo iniziò quando la pulsione si unì alla vitalità: il riflesso della chiusura degli occhi, dopo che i fotoni ebbero attivata la retina, sarebbe stata la pulsione che avrebbe riportato al prima della nascita ma il pensiero continuò attraverso il buio fatto dalle palpebre per via di un salto evolutivo per cui il neonato dell’uomo, nel suo primo rapporto con il mondo oppone il proprio sé libidico alla sbrigativa reazione dell’istinto di fare buio contro la luce. L’affetto della conoscenza si rivolge, come fantasia di esistenza del mondo, contro il mondo fatto sparire nel buio dal riflesso di una razionale esclusione di quanto ha irritato la vista.

Ne nasce un pensare specificamente umano che è diverso dalla presa d’atto passiva delle cose del mondo come di luce e buio.

Flash/forward è giocare con il bambino nei successivi momenti della sua vita dopo la nascita per capire quanto, alla nascita, è accaduto. Come i personaggi di Van Ghog abitano il grano dei campi, si osservano, nei giorni immediatamente successivi al parto, comportamenti complessi che specchiano sfumature: espressioni mimiche, movimenti parcellari delle dita, guizzi degli occhi, singulti brevi e sommessi in mezzo al ritmo marino del respiro: diverremo certi che non si potrà mai inscrivere il neonato in uno schema cognitivo/comportamentale o di programmazione neuro linguistica: se non si vuole isolarlo da noi, rendendolo comprensibile nel blocco di gelo della nostra fretta, oltre le barriere del nostro asettico manierismo.

Un giorno avremo capito l’ubiquità inquietante di un tempo che subito si fuse alla vita mentale della nascita.

Nel flash forward vedremo che l’istintiva chiusura degli occhi non riuscì a realizzare intera e definitiva la pulsione di annullamento della nuova situazione extrauteeina. Quando vedremo i nostri figli chiudere gli occhi per gioire del sonno o socchiudere le palpebre come per cogliere più precisamente un nostro sorriso vedremo bene il segno di una realtà psichica e come l’affetto della conoscenza alla nascita dovette essersi realmente rivolto, come fantasia di esistenza del mondo, contro il mondo fatto sparire nel buio dal riflesso di una razionale esclusione dalla chiusura degli occhi irritati dalla luce.

Il pensiero del neonato traversa il buio ed è immediata possibilità di agire il pensiero come genesi di sé nello spazio nuovo del mondo pieno d’aria e mai più vuoto di senso.

Flash/forward: mi dirai il nostro nome, mi dirai bene tutto, quello che immaginasti. Sarai segmenti e curva. I segmenti tutti uguali. Le curve una famiglia di cose differenti dai segmenti. Mi dirai la circonferenza e la retta che passa per il centro. E che emozione il punto dove si incontrano! Misureremo la lunghezza del raggio e del cerchio e vedremo che a tenerli insieme è Pigreco che non finisce mai. E ci chiederemo se quel continuare sia quanto si traccia come linea. Ci verrà il dubbio se il punto, la pretesa esistenza dell’inesteso, può somigliare alla natura della pulsione. Se si dovrà trascurare come elemento indispensabile alla ricerca o meno.

Se esiste questo tempo della vita mentale che inizia con la nascita…. allora il disumano dell’uomo, la pazzia, è dentro la durata della nostra vita e la cura della malattia mentale è circoscritta nell’ambito medico perché il pensiero ha origine materiale e il passaggio dalla pazzia alla sanità si verifica nel contesto della biologia cerebrale che ha la natura continua di ogni realtà fisica discreta.

Flash forward: molto dopo, oggi addirittura, nel portare avanti il discorso della ricerca sul disumano, ci è venuto in mente che esso fu identificato con l’irrazionale. Ma ecco che sorge all’orizzonte il semicerchio del sole. E insieme la buona coscienza di aver voluto studiare la matematica che nomina irrazionale il rapporto che non ha fine tra circonferenza e raggio.

Domani, chissà, sorriderò della irresolutezza del paradosso di Zenone che ci avvertiva della inesauribilità delle traiettorie di una freccia. Sappiamo che quel paradosso non è sostenibile poiché le frecce del dio dell’amore colpiscono fulminee il cuore delle persone e in loro, l’amore che ferisce, porta ogni volta la genesi del tempo e la genesi del tempo porta in loro il pensiero nella modalità che ha alla nascita: e l’io della nascita, che è inizio del tempo, è affetto di una conoscenza originaria che si rivolse, come fantasia di esistenza del mondo, contro il mondo fatto sparire nel buio della anaffettività dal riflesso di una razionale esclusione di quella bellezza che ha irritato la vista e colpito il cuore.

La parabola celeste descritta dalla freccia del dio dell’amore che mi ha quasi ucciso riporta il pensiero a Zenone: il paradosso è una aporia che compare alla mente, per bruciare subito. Ho studiato che il paradosso di un moto illusorio fu per uno scontro filosofico per avvalorare le idee di Parmenide. Che pare avesse in mente la realtà di un mondo concluso, misurato, controllabile, ragionevolmente prevedibile.

Adesso mi appare come un pensiero mostruoso: perché sarebbe la fine dove andremmo a fracassarci le ossa nell’improvviso arresto di tutto. Nel buio che si determinerebbe non appena, in una pretesa simultaneità di un mondo già tutto concluso nella creazione senza mutevolezza, le stelle smettessero necessariamente di bruciare al loro stesso accendersi.

Cosicché tu amore mio non avresti mai potuto leggere queste righe…e poi, invece!

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Era previsto che piovesse stamani. Ma solo adesso, a metà giornata, cominciano a sfrecciare le prime gocce: ritardatarie, se ci fossero orologi neutrali in natura ai quali la natura facesse riferimento come certezza similmente al modo come noi ci siamo creati un giudice terzo: dio fuori da noi e dal mondo. La natura ha leggi e si possiede ed ha in sé dunque il proprio giudice, il proprio modo, il proprio scienziato regolatore tanto da poter affermare che la natura è una civiltà con usi e costumi propri.

Per cui fisici e matematici non misurano: semplicemente si adeguano. Si adeguano con grandi eleganza e bellezza, con eleganza e rigore estetico via via crescenti risultando, fisici e matematici, i nuovi unici artisti, i veri creativi: che hanno capito che ciò che la bellezza esprime non è che la visione verosimile di un mondo mai definitivamente riducibile all’eccesso di senso del pensiero umano. Sono formule soavi i risultati delle scoperte. Trascrizioni geniali di alleanze possibili che preludono a tempi di pace futura. Ma fragile resta la nostra felicità.

La natura riserva sorprese, seppure il geometra dell’imperatore abbia un poderoso termometro per misurare l’entità dei terremoti. Secondo il costume dei tempi attuali egli dice di saper inquadrare gli eventi tellurici in un sistema di assi cartesiani su un foglio. Ma a guardare albe e tramonti abbiamo imparato a distinguere la misura degli oggetti fermi dalla conoscenza dei differenti stati delle cose mobili. La testimonianza giurata degli atti consapevoli è differente, di altra natura, dalla ricreazione verbale del senso di quanto resta da dire.

Quando un fisico e un matematico guardano campi sufficientemente estesi di girasoli e papaveri vengono presi da un sentimento di armonica fatalità, parlano come poeti dell’infinito: senza confusione o paura di perdersi. Perché per loro la grazia inconcludente dei versi è una sterminata distesa di cifre decimali. E poiché dunque quell’infinità è una cosa essi non avanzano mai pretese olistiche e furbe scorciatoie.

Se fossero in grado di fondere la loro mente con il ‘tutto’ -d’altra parte- conoscerebbero le cose definitivamente e non tornerebbero più alle loro università a fare lezione, alle loro famiglie a rallegrare la cena, a giocare nei laboratori di fisica con cifre minuscole che sono potenze negative di dieci e all’oculare piccolo del telescopio a misurar l’ universo secondo una potenza positiva di dieci.  Seguono obbedienti lo schift verso il rosso dello spettro delle galassie in fuga le une dalle altre e hanno sguardi trasecolati sul budino alla crema che è questo mondo come a loro ghiottamente si svela.

Nella realtà clinica eccoci: “Ho sognato di essere dio”. E io perplesso domando “Non credo dunque che riuscirà a raccontarmi nient’altro….?!” E lui difatti non risponde e la stanza sussulta e siamo scagliati lungo una punta di terra verticale fino alla vetta pietrosa: non so se di una costa o dell’universo. In casi simili il silenzio è nero e mi viene in aiuto il ricordo che è a causa della ‘pulsione di annullamento’ che è al servizio del pensiero onnipotente che ha fatto il sogno di essere dio. Il controtransfert è, in casi simili, doloroso e rischioso. Perchè per mantenere la presenza si torna con una reazione vitale nuda al silenzio dell’immagine neonatale che senza figura provoca una crisi della ragione: perché il corpo è vivo grazie solo ad una realtà di pensiero non logico non razionale non verbale cui non siamo mai preparati.

Lentamente, semmai solo dopo, l’irrazionale è possibilità di riposare e quiete senza pigrizia. Ma non è un paradigma di semplice attuazione e non ha il sapore e l’eleganza di una legge dei fisici che disegna modi di relazione della natura della materia.

Volo a quando le parole si fermano e i soggetti del rapporto vanno lenti e decisi dentro il silenzio che le circonda. Ma è raro. Piuttosto si fa ricerca.

L’azione di pensare che si può essere lasciati in pace tornando col pensiero alla funzione del pensiero del feto nell’utero è fallimentare perché quello è pensiero che riflette solo equilibri biologici.

Ogni volta bisognerebbe essere capaci di ricreare il pensiero corrispondente alla scoperta della vitalità che è quando il pensiero –che prima del parto rifletteva solo equilibri di omeostasi biochimica– diventa in grado di vivere all’aria e alla luce grazie ad una funzione che chiamiamo Io Della Nascita.

Quando si genera questa condizione essa potrebbe venir circondata dai vampri che vogliono il sangue dei vivi per restare morti il che, quando accade, provoca una ‘emorragia’ alla base di stati depressivi di difficile attribuzione.

La strada bagnata lucida splende di gocce che rimbalzano e schizzano in faccia ai passanti. La pioggia sui dorsi delle montagne ha mandato rigagnoli torrenti e fiumi che hanno scavato, nei decenni, un reticolo di gallerie a cielo aperto nell’alveo del delta. Ora le strade portano, mi giuri, nella città. La città è tuttavia sconosciuta non essendo, nella nostra mente, tra le consolatorie città invisibili delle fantasticherie di veneziani alla corte del Kublay Kan. Non è letteratura fantastica quella di certi sogni.

Camminiamo nei comodi solchi affrescati da giovanissimi artisti rapper: a ben guardare le caverne di Platone si sono rovesciate. E i fiumi freudiani che dovevano fatalmente portare i cadaveri dei nemici si sono asciugati. Il mare cui il fiume conduceva è la città e le strade scavate dalla corrente nel terreno sono percorsi dell’algoritmo degli statistici. C’è una rete e di percorsi possibili che sono molteplici e coesistenti e, ad uno sguardo cubista, tutti simultaneamente plausibili. Ci sono possibili amori compresenti.

Se guardo meglio e più a lungo tutto il delta diventa il reticolo delle linee di una mano aperta. Poi l’impronta bruna del tuo cervello intelligente sulla terra. E questi siamo noi che camminiamo nei tuoi pensieri. La città è la vita. Andiamo preparati a permanere. È difficile pensare una conoscenza ulteriore. Impossibile tra le persone la previsione delle atmosfere sentimentali come e di più dei fenomeni naturali del sole e la pioggia.

Lo scienziato sa di non avere in pugno la propria volontà e così è andata che per simpatia abbiamo fatto anche noi la strada, pensiero dopo pensiero, evitando di sacrificare agli dei.

Per quanto molto sia più chiaro, dicono i logici che si può dire la verità ma non si può dire tutta. E così dunque non è mai finita e pare che siamo sempre sul punto di ricominciare.

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Già tutto è premesso cioè ‘sognato’. Un limite è quel taglio rosso, le due labbra di una fessura che ci traversa le giornate. Sappiamo con certezza che il pensiero -che immagina più di quanto è nel mondo- non riesce a immaginare come possa essersi determinato dalla biologia grossolana proprio lui, il pensiero, con quella sua natura di pulviscolo dorato sottile. Ma d’altra parte, per consolazione, se la fessura è limite essa è anche un ulteriore aggiunta al nostro modo di essere poiché nello spazio della scricchiolante faglia tra l’incapacità a definire la natura data del pensiero e la sua eccedete potenza vive la coscienza indicibile di noi. E dal fondo invisibile di quel crinale che è il taglio, dalla vetta di una montagna rovesciata di silenziosa energia sale su la certezza che tutto il reale è già continuamente sognato, quotidianamente è progettato e ipotizzato il reale ulteriore. Sono, mi dico, generazioni di uomini sul mare che cantano le onde delle migrazioni di sempre. La pre-storia, le invasioni barbariche che popolano e ridefiniscono confini lungo una geografia della fame, della diseguaglianza, del grano, del pane, delle flotte di sardine e pesci azzurri, le strade che si snodano sulle tracce di esodi e girano intorno ai ruderi inceneriti di falò al centro degli insediamenti, dove si costruirono città di cori, i primi grattacieli essendo voci di intere popolazioni scagliate in su: ecco, questo è quanto ci precede. I sogni di tutte quelle generazioni contengono noi come siamo: col volo e con la ferrovia a vapore. E ci legittimano comunque.
Ogni volta accade: che continuamente nascendo recuperiamo il già ‘prima’ e siamo ‘subito’ e siamo irreversibilmente e non è dato tornare indietro. Le generazioni descritte fanno di noi una volta per tutte quello che siamo. Poi, dopo, non resteremo per sempre in quel modo. A causa della capacità di immaginare: il destino fatale, l’avvento irreversibile della mente ideativa.

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