rose di osso


‘This Thing of Tackness I Knowledge Mine’ (W. Shakespeare – “La tempesta” – atto quinto, scena prima).

Si prende una rosa come una cosa che non ci apparteneva. Poi si porta tra i denti come un cane porta un osso e si depone ai tuoi piedi. Il mondo intero sei. Te vuol dire tutto. O vuol solo dire ‘padrone’. Il mio linguaggio poteva essere un deterrente ma non andò così e ho scritto in una maniera imprevista. Scrivo perché scrivere è il lavoro di intellettuale, un lavoro di cui in genere ci si vergogna o si finge di schernirci con ipocrisia snob. Intellettuale viene usato dunque spesso come un appellativo deterrente. Ricordi quando mi chiedevi perché stavo isolato dagli altri. Avevi timore e difficoltà di giustificare che i giochi della sera e i regali di molti giorni potessero essere minacciati da una mia inopportuna diversità.

Si prende una frase come un osso. Ha il profumo dei propri pensieri. La letteratura ha questa qualità odorosa. Il pensiero, nello stesso senso, per il medesimo motivo, affascina. Per questo motivo di specchiare un alito. Questa oscurità o ‘tenebra’ riconosciuta in se stessi può essere resa, dal lavoro intelletuale, come una cosa che c’è ma non determina la paura e può essere affrontata e risolta. Voglio dire che potevo scegliere un linguaggio deterrente cioè sbrigativo. Ma non è andata così.

Non ricordo i tuoi pianti. Solo l’odore della pelle. La convessità delle ossa tenere del cranio sotto le labbra. Dalle labbra la trasmissione ossea dei miei pensieri attraverso il mormorio portava nel tuo mondo di neonato che voleva dormire il suono delle prime canzoni. Il profumo di pino delle asticelle di legno chiaro del tuo letto inondava giorni e notti. Io che da anni non avevo più cantato reimparavo a cantare con una voce non mia: cantavo nonostante una voce per me ‘inaccettabile’.

Si prende un ricordo come una osso di rosa. Non ho la traccia del tuo peso sulle braccia. Non sentivo fatica: il pensiero può essere d’amore e non pesare nulla. Il pensiero può essere pensato come un figlio amato dipanarsi e svolgersi e spiegare le ali, divenendo tutto ‘estensione’. Un sottile guizzante serpentello, o anche un ramo. Essere intellettuale aiuta a trovare le parole giuste. A non temere di sbagliare. Ci sono molte parole ugualmente giuste per una sola cosa. Così una sola cosa può essere confessata onestamente in infiniti modi. È il segreto di amori che durano per sempre.

Il lavoro di intellettuale mi ha avvicinato a te. Negli anni mi sono avvicinato sempre di più, diversamente da come dicono che accada a causa del tempo. Il tempo non mi ha allontanato da nessuno che valesse la pena. Essi si sono rivelati indispensabili proprio nel tempo. Ci sono molte persone che avrebbero saputo rivelarsi indispensabili e tra le infinite io ho saputo sceglierne solo alcune, quelle che adesso stanno vicine, che mi sono indispensabili. Non sono tutte. Le altre non le ho conosciute. Non ancora. Ma questo è causa della mia felicità. Aver fatto qualche scelta. Non ho fatto tutte quelle scelte giuste che vedevo possibilissime. Perché sono infinite le giuste scelte e non si può farne che alcune.

“Questa oscurità io la riconosce come mia”. È la ‘tenebra’ dell’infinita possibilità di essere felici in modi diversi. L’ingiustizia della asimmetria. Il mestiere di intellettuale mi ha avvicinato a molta gente che non conosco. E mi ha allontanato da molti che credevo di conoscere.

Oggi era freddo trentasei anni fa. La notte prima che tu nascessi guardavamo alla televisione un film di fantascienza, di mitologia fantascientifica, con i mostri di cartone, che generano la paura non malata, la paura istruttiva per i bambini. Un viaggio nello spazio abitato da mostri mitologici. Una tragicommedia. Poi ci prese il sonno. Come navigatori solitari dormivamo mezz’ora, tra una doglia e l’altra. Le doglie furono dapprima brevi e distanti. Quando si furono intensificate lasciarono troppo poco tempo per trovare la postura per dormire. Allora abbiamo traversato la strada e ti abbiamo portato a nascere nella clinica di fronte.

Sei venuto traversando il territorio di una scoperta scientifica costituita di una sanità mentale che non temeva nè il fallimento nè il dolore e cercava, nel sonno, la nascita. Spesso è così ancora. Il mio lavoro di intellettuale è una poltrona azzurra sdrucita su cui pensandoti esercito la scelta di alcune parole. Il lavoro intellettuale, con le parole, deve togliere il male dalle parole. Se può essere compiuto avendo a che fare con chi amiamo noi possiamo avere una base di pensieri buoni, una gentilezza di intenzioni latenti. E allora quel lavoro di pensare le parole ci rende la vita migliore. La tenebra della biologia dalla quale nasce il pensiero non sarà avvertita come oscura. L’origine materiale della vita mentale può essere concepita una matrice biologica lucente, lo splendore ombroso da cui nasce il pensiero. Così la scrittura di quel sapere sentimentale riflette, sulla materia dello schermo a LED, la natura fisica della realtà psichica.

Ti abbraccio. Infinitamente. Un istante. Ti prometto idee per gli anni a venire. Riassunti augurali, ti mando.

  1. -Ho trovato nel lavoro intellettuale l’io della nascita.
  2. -Scoperto che l’inconscio non è natura ‘a parte’.
  3. -Che esso somiglia alla concezione di universo di Giordano Bruno: il pensiero in genere ha una costituzione di natura ‘infinita’
  4. – E allora, forse, l’origine non è un ‘punto’.

Seppure dunque poeticamente si faccia un gran dire della ‘seconda nascita’ … ebbene lo si dica pure: ma di certo essa sarebbe impossibile se non ci fosse la meravigliosa perfezione della prima. La clinica medica che conosce la validità dell’io alla conclusione del parto.

I poeti ricordano, anticipano addirittura i tempi che saranno e invece gli scienziati rivelano, ed è l’unica poesia che mi piace davvero. Quanto dista tra le due, tra scienza e poesia, va colmato. La fortuna di esser anche poeti non vuol dire gratuitá. Non se si vuol restare poeti agenti, floridi fioristi e coltivatori di gran classe. Il futuro è un resto, un gesto di restituzione da compiere, l’umanità rispecchiata nella prassi.

Sei nato nel bel mezzo della crisi sitemica delle ortodossie. Secondo un criterio di storia delle idee direi che fu appena un poco ‘presto’. Però già cercavo, per non dire che tu fossi stato proprio abbandonato alla confusione imperante di allora. Oggi -che si è genericamente accettato di partire dal dato che la realtà psichica ha natura fisica- l’attività di intellettuale (disciplina della ricerca dei valori costitutivi dell’essere umani) mi permette di avere un po’ di più da scambiare con te.

Ho maturato espressioni linguistiche di una musica che modula diversamente identiche intuizioni. So dirti che, per l’uomo, il pensiero l’amore e il lavoro risultano naturali necessari e inderogabili. Che, da quando stavo un poco appartato ai margini dei campi da gioco dove tu vincevi e perdevi, ho cercato di non sprecare tempo in questioni diversa dal chiarimento di quanto comprendevo via via.

Depongo questa rosa di sali di calcio e fosforo. Allento la presa dei denti sulle cose trovate, mi tiro su spingendo le mani sul piano bianco della scrivania, mi sollevo stirando le ginocchia e lascio scivolare le une sulle altre le vertebre per cambiare la reciprocità delle loro distribuzione sull’asse dell’identità di un anno ulteriore di ricerca e ti sorrido e vengo verso di te e ti abbraccio….

Buon compleanno.

Read More