politica


Basta con la ‘storia’. Deve esserci un presente cui dedicarci che ripudi gli albori. Che volga le spalle al sole inventandosi l’oriente non geografico con una capriola metafisica.

Il calore alla schiena saranno nuove ali. Ci si farà tatuare l’ombra di un velo di nuvole che ci ammanti dal collo verso i fianchi.

Perché? Perché il ricorso alle vicende passate, la loro esatta interpretazione, la verità storica… non sembrano ormai altro che esercizi di tardiva saggezza.

Una società civile non deve invecchiare con giudizio. Non deve orientarsi ad una ingravescente temperanza.

La storia tramortita dal conformismo sì, essa riflette una congerie di tabelle prescritte, parametri di giustizia che inseguono le attuali diseguaglianze riproposte tutt’ora con cinismo.

La storia, con le sanzioni della verità tardivamente restituita, ci insegue da troppo lontano e le attuali malefatte restano irraggiungibili ed insanabili da coloro che aggiustano soltanto il passato.

Così la cronaca irride la memoria.

Ogni governo democratico ha comitati e commissioni per ripristinare il vero verso degli eventi e sapere di quale stortura siamo figli.  Quali sofismi saranno più adatti alla convivenza con le torture e le prigionie che orientarono le cose verso quest’oggi e che quest’oggi ripete con assillante impegno.

Ma il fatto è un’altro. È questo: qualunque società non può prescindere da una propria antropologia. E questo presente culturale ha evidentemente scelto una propria visione dell’uomo utile a tollerare storia e presente immutabilmente uguali.

La storia, nella teoria dell’uomo che viene fin qui suggerita, è un rituale di peccato inevitabile e lussuosa penitenza.

Non si sa se le cose vadano come vanno perché l’uomo è quel che è. O se vengano indirizzate per certi versi perché alcuni uomini vogliono che si pensi ad un certo modo dell’essere uomini.

Gli storici volteggiano come avvoltoi a pulire le carcasse dei danni che il realismo impone e legittima.

La democrazia cui veniamo indirizzati è POSTUMA.

La storia sembra sapere dove avrebbe dovuto stare la via giusta la parte più umana la decisione non più cinica? Bene, allora ci sia regalato un Ministero della Storia.

Che edifichi la storia già da adesso. Che dica cosa fare perché non ci si debba vergognare. Che i professionisti del passato, tra cent’anni, possano soltanto, annoiati da tanta giustizia, applaudire l’oggi.

Oppure ci vengano evitate la riflessione il ricordo e le lezioni da trarre da testi sgangherati di percosse e invasioni trascorse.

Se non si sa volere un minimo di decenza, non si può neanche fidarsi che gli storici che ora si formano potranno davvero proporre in futuro quando giudicheranno le epoche trascorse, criteri che riconoscano senza dubbi la dignità.

Perché cosa è la dignità quando la cultura del realismo costringe a pensare inevitabile derogare alla dignità medesima con diplomatica furbizia?

Sarà che faccio un mestiere antico che oscilla tra genesi dei pensieri e ambiguità delle parole. Tra certezza del sentire inconscio e incertezza di diverse soluzioni logiche proposte dalla ragione come medicamenti del cuore.

Non so con chi posso cercare di capire se è verosimile che affetto e onestà sono le espressioni ultime dell’intelligenza. E che senza essere intelligenti non si potrà mai essere onesti e affettivi. (*)

(*) (….ed è per questo che incido con tratti più scuri questi miei pensieri che sono -per adesso ma da troppo tempo- domande senza risposta…)

Se non potrò mai avere risposta devo dire ugualmente -pur amareggiato e per adesso innegabilmente sconfitto- che i disonesti sono stupidi.

Devo dire che il potere è ambito da persone banalmente poco intelligenti. E che è gestito da persone che, tra coloro che al potere ambivano, erano e sono restate le più stupide sempre.

Devo dire che le persone che tengono il potere sono le più adeguate alla necessità di imporre a tutti la loro banalità, la loro stupidità, la loro modesta prospettiva antropologica, la loro privazione affettiva.

Voglio aggiungere il peggio: che quelle persone -che ebbero concesso il potere di essere sempre ugualmente anaffettie e stupide- poiché avrebbero dovuto mantenerlo quel potere, furono scelte tra coloro che erano di già in privazione di dignità che ne garantisse l’arroganza permanente.

Si capisce che tutto quello era stato necessario perché quelle persone devono saper rimanere, dopo la loro incoronazione, senza regole: in un tempo buio che con la loro opacità etica e la loro anima nera dovranno continuare a depredare di ogni luce.

Nessuno escluso.

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come hai sempre sognato


Posted By on Dic 15, 2011

il mondo dietro

come hai sempre sognato

come hai sempre sognato per potermelo subito raccontare avremo la grande casa le stanze infinite ognuna infinita in se stessa tutte luminosissime. le pareti quasi inconsistenti anche se sicure. che separeranno bene con chiara definizione il dentro e il fuori. avremo ombra non buio. per il buio aspetteremo la notte. siamo fatti di eventi non accaduti. di carne e pulsazioni mai amate prima. questo essere al mondo ci espone. l’esposizione è il dato iniziale. gli avvenimenti saranno apprezzamenti o esclusioni. le realizzazioni della mente in proposito alla nostra vita saranno comunque soddisfatte -secondo una terminologia procedurale della dimostrazione matematica- prescindendo da noi. la superbia si impadronisce -è vero- della ricostruzione della testimonianza proprio come l’opacità delle mura delle case. noi al contrario per una volta verremo restituiti perché abbiamo il dubbio che la costituzione di sé possa essere avvenuta sotto forma di luminosità. tutto quanto non siamo è – per adesso e tenendo conto della ribellione e lotta dei tupamaros – foresta. studio e speranza si compongono determinando la trama delle molecole di cellulosa che costruiscono i fogli di carta per scrivere. sulla pelle è lucente il sudore e la letteratura è ancora una risorsa di tempo. mi ricordo le grida dei primati di media corporatura come l’incubo del pazzo. se c’è un modo per perdere la divinità è l’indagine su tutti gli sviluppi dell’incompletezza della creazione. abbiamo fatto il sogno delle infinite stanze di case infinite e dunque realizzata la medicina lucente per sterminare i parassiti dalla pelliccia del leone. la parete cellulare non ha segreti per noi e lo sguardo scientifico entra come il sole e la salute attraverso la lamina della conoscenza. non si farà la notte artificiale. il buio sotto il cielo è ancora la favola della rana. l’uguaglianza per tutti di ascoltare le notizie direttamente dalla voce umana. l’editto dei raggi cosmici. dimmi di noi.

(foto di Cristina Brolli)

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il silenzio della parola


Posted By on Apr 6, 2011

il silenzio della parola

Esatte scenografie delle intimità ostinate del pensiero. Programmi di mondi perfetti e differenti. Il risparmio delle parole. Le moltiplicazioni dei volumi muti del mondo di dentro perfetto senza spreco. La fontana di sabbia. La ridefinizione delle identità nella prova vocale della recitazione. Noi. Il senso della preferenza d’amore nella dialettica delle marionette oltre la balaustra. La guancia accostata alla spalla. Il riposo sulla pietra azzurra affacciata sui vulcani. Il pensiero verbale muto che splende. Il crollo sfolgorante di una civiltà intera. Il travagliato operare chirurgico per ricostruire l’esattezza del margine. La pulizia. I calcoli attenti dei metabolismi dell’anima affascinata. I piatti di luna. Le dieta ipercaloriche per l’amore. Il colore indicibile degli astri durante la luna di miele. Tu ed io a camminare sicuri  in mezzo ai campi  coperti dalle ombre degli anni avversi. Certi giorni. Il mutismo del pudore.

‘ ….sei quella che ha scelto di tacere…’

La tua ostinazione programmatica a tacere. La tua ostinazione programmatica a tacere che fa il niente delle parole. Io che al cospetto della tua ostinazione programmatica a tacere divento diverso. Tu che di fronte a me che divento diverso alzi gli occhi al cielo. Tu che alzi gli occhi al cielo e fai cambiare il cielo ai miei occhi. Tu che pronunci il mio nome ed io che cambio se pronunci il mio nome. Tu che guardi il mondo in silenzio con un sorriso misterioso e pieno di commozione. Il mondo intero che cambia sotto il tuo sguardo di tenerezza. Il mondo bambino. Il tuo sguardo silenzioso sul mondo. La tua ostinazione programmatica a tacere che ogni volta fa il niente delle parole. Quel numeroso niente che fa la tua comprensione femminile del mondo. Il mondo coperto dal tuo silenzio. Il silenzio che è progettare mondi.

‘….sono la fontana di sabbia al centro delle città…’

La fontana di sabbia al centro delle città costruita con tenerezza e compassione quando volti gli occhi al cielo di fronte a me che cambio troppo lentamente e preghi dio di darti la capacità di aspettare fino a quando saprò raggiungerti nelle piazze piene di sole. Una costruzione che tiene la mia idea di te al riparo. La Città del Riparo ha acqua che gorgoglia e canta nella piazza al centro della mappa del progetto di noi. La costruzione perfetta del Grande Riparo. L’urbanizzazione della tenerezza che ti prende nel guardarmi mentre cambio al cospetto del tuo silenzio. La Città del Silenzio e le città infinite del mio silenzio. Le mie reazioni alla tua perseverante tenerezza e la proliferazione del tuo silenzio ostinato. La moltiplicazione dei miei progetti di città perfette, di hangar necessari ad ospitare intere flotte di aerei di pace. L’esatta pressione che piega i pennoni d’acciaio e crea le convessità della volta alle cupole dei Magazzini degli Imperatori. Io tutto un progetto di me nei tuoi confronti riparo motori scassati nelle piazzole di sosta.

‘…confidiamo che l’identità possa essere il silenzio delle parole mai pronunciate a proposito delle nostre reciproche intenzioni d’amore…’

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quasi più mondo


Posted By on Mar 13, 2011

quasi più mondo

Non è quasi più mondo né quasi più tempo qui. Semplicemente qui è quasi il non essere. E’ un orrore qui. Un orrore politico. Un orrore estetico. Un orrore linguistico. Un orribile generica approssimazione. E tutti credono di nominare tutti questi tipi diversi di orrore con distacco.

Le rose puntute, i fragili sogni in pasta vegetale, la tua pelle -che potevo ferire- come possono essere dette, qui? Da questa indescrivibile abissale distanza ti parlo. Ma, certo, anche da una inquietante prossimità all’oggetto della mia preoccupazione.

Qui si dice l’orrore con toni casti e spudorati. In notti delicate – nelle loro manifestazioni di temperatura e colore – certe denuncie risultano contraddittorie. Si rischia di legarsi irreparabilmente all’oggetto odiato, se non si riesce a isolarne la caratteristica nella mente.

Ho scelto una canzone.

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onestà e rivoluzione


Posted By on Mar 10, 2011

onestà e rivoluzione

Quando persino gli amici più cari vengono a raccontarmi il loro dolore per un immeritato disavvenire perdo ogni superbia, se ne avevo. Forse dovremmo darci da fare per mettere le cose per il loro verso. Penso all’onestà come ad una favola rivoluzionaria.

Il tendone degli artisti costeggia la biblioteca tra pile di libri come palazzi. Io immagino torrone liquirizia storia e idee alla panna. Vado là a cercare la maturazione dei nomi di ogni cosa, da leccare, poi, sulla punta delle dita di una trapezista.

Indispensabile la sensibilità, perché il tumulto e’ corpo alla crema, e stanotte contiene la sorpresa di un travestimento. La sensibilità è attenzione e cioccolate da scambiare. Uno sfoggio di nobiltà a buon mercato? Ecco qua: “Riconoscere i propri limiti nell’ordine delle cose e’ una benedizione.”

In realtà ero qua già da un pò di tempo. Tu eri l’indubbio pensiero di adesso. Intanto ho lucidato il tendone dalla parte scura della luna. Ora avanzi sul piano della mia emozione. I tuoi fianchi. Io -se provo ad alzare gli occhi- il tuo viso e’ linee. Linee. Di nuovo.

Da una modesta ma dignitosa tempesta, arriva l’aria delle parole mosse dai tuoi passi sul filo. Le parole sono molto meno certe, nel gioco. Eri la’ : alla speranza, all’incrocio, sui tacchi alti da artista di strada. Il tendone? E’ lucido della mia allegria. Tu.

Ho nascosta, eccola qua, una memoria di tulipano per inaugurare il varo. Colpire il fianco alto della caravella in odore di altro e pepe. Per quello che posso pensare l’emozione e’ una generosa garanzia e una pretesa. E allora, adesso, doppio salto mortale, sorriso e alla fine a te gli occhi.

Io seguivo tracce nel mare. Abbi cura della mia deriva, che mi porta sempre un poco a sud del dovuto. Mi affascina lo spettacolo delle tue dita alle prese con lo scorrere delle ore. A volte ti offendo provando ad immaginare. Poi arrivi.

Si nuota sotto la mano di un tempo voluminoso e pieno: scivolando sotto il palmo facciamo muovere il mondo. Io devo scoprire molto più di quanto la mia superbia autorizzi. Il bilanciere è la linea dei tuoi occhi per resistere in equilibrio sul vuoto.

Indietro non si torna non e’ dis-significanza. E’ una licenza impoetica, la scoperta della rana toccata dal destino. L’incantesimo che il principe era un ranocchio e le parole solo pensieri. E parlare è tacere con armoniose alternanze. E tu ed io singhiozzi muti.

Se io sapessi appena un grammo, di questo impegnativo monte di cioccolato che e’ leggere le tue parole, sarei re del Vicolo Principale. Mi esercito: nell’universo prismatico del tempo apprendo le durate. Quella della parola ‘notte’ per adesso.

Sulla sella delle parole eccomi. Senza comando l’equilibrio si acuisce. Se poi tu. Possiamo di certo. “Se Poi Tu” : una buona linea di fondazione per le rimesse degli alianti. Capannoni grandi di legno e sabbia per ricoverare i dispersi. Poco più che ali smisurate.

Il tempo sempre attimi ma ora con meno indecisione. I rimandi diventano un po’ più di niente. Le frasi erano scritte. Tu. Avvenire. Una mattina nel buio dello spettacolo. Il nero dei caratteri è quanto resta dell’imprevidenza. Il bianco e’disporsi a te.

Il tempo e’ una traccia addosso che spinge le dita di panna a percorrere un idea sulla pelle e creare nella mente il profilo di ‘ridere’ e ‘cantare’. Leggo le tue parole e imparo. Puoi non crederci. Confido che mi lascerai rubare.

All’inizio ‘non capivo’. Ho messo in atto frasi brevi della durata di un respiro. ‘La mia misura’ ho pensato. Non voglio capire tutto. Voglio il cappuccino con la nuvola di panna con un ombra di casta ignoranza. E che tu sia il caffè. L’insonnia eccitata.

Non c’eri già più e con un inchino soave ho finto d’averti comandato io di sparire. E’ allora che ho realizzato il pensiero senza corpo della parola ‘onestà’. E’ rivoluzionario non trasformare in odio le vertigini della solitudine quando te ne vai.

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drive-in


Posted By on Feb 18, 2011

drive-in

Il cielo lo tengo alla catena con la coda dell’occhio. Mi tranquillizza che vada avanti ai quattro venti grigio e violetto. Un caffè in centro – un centro così piccolo che un caffè c’entra appena. In alto, sopra le teste di tutti gli avventori, un bastoncino di vapore bianco regge un lecca lecca a forma di aeroplano: allora scopro che il tempo non e’ passato: sembrava.

Si parla tutti insieme. I pensieri restano misteriosi. La polverina bianca dolce piove dai millefoglie sui dorsi delle giacche che tengono disciplinatamente il calore accosto alla pelle. La tecnologia di aristocratici piumini in kevlar diventa dolce di zucchero a velo: commestibile e ipercalorica come un budino di riso e una frittella alla crema. Il rhum allaga le aree frontali. La giornata si annuncia amica e comprensibile.

Non è certo che la maggior parte dei sorrisi di tutti non salgano al cielo dei volti e degli occhi – dalla canna del camino di queste incoscienti visioni – su per questi pensieri. Nelle aree frontali qualcuno ha urbanizzato selvaggiamente mischiando aree inibitrici ed eccitatrici: un bronx pericoloso alle ronde dei bravi cittadini reazionari. Eccoci tutti insieme – agli occhi vetro scuro – il parabrezza delle nostre esistenze così esposte.

La nostra vita stamattina si è incagliata nel porticciolo che è indicato sull’opuscolo della locale Agenzia Turistica: Dalla bella Mattinata -La Vacanza delle Colazioni. E’ tutto uno spingersi al banco della pasticceria, Stabilimento Balneare La Piattaforma Continentale. Le sfere di protezione – protocarrozzerie di plastica lucida – stridono. Si respira una gentilezza di guerra. Le scarpe puntute, fetish, sportive, lottano – se guardi.

Ho la mia colazione al Bar dell’ Università. Mi pago un master post-laurea su L’Incomprensibile Necessità della Tecnologia allo Zucchero Vanigliato. Il profumo del croissant fuso al brusio di frasi incomprensibili, gracchia dagli altoparlanti dell’aula “ …non la metterete più alla porta questa nuova amante erotomane che realizza i sogni proibiti del passato – capace com’è di fondere antichità e fantascienza, ceramica e carbonio…”

Anche stamani la vita, prodotto tecnologico d’avanguardia da decine di migliaia di anni, stava tra le mie mani -che tenevano dolcezza e calore la pasta dolce e il caffè – e lo schermo luminoso degli occhi che dipingevano attorno distrattamente la prateria e il mare di grigio e di violetto. Questa vita che sentivo tutta intera tra la gente che mi stava vicina con noncuranza, ha una sua memoria impalpabile e un suo tocco ‘avvelenato’.

Su per il camino di queste visioni saliva il pensiero che la vita è sesso e passione senza metafore. E’ noncuranza trascuratezza e attaccamento. E’ quello cui resto implacabilmente legato ed è la noncuranza con la quale lascio che nulla sembri importante. E’ aver scelto per sempre che la vita è una compagna che mi si è  stretta accanto nel drive-in di stanotte. Nell’auto d’epoca comoda e forse antieconomica. Ma che fa..!

Stamani in particolare è la necessità di stare accanto a Pam e a Lisa che hanno scritto cose bellissime che non dirò. Ho riposato fino a tardi su quelle parole che erano state pensate con amore ma non pronunciate perchè erano scritte su uno schermo. Quando ho spento lo schermo la commozione era rimasta. Avevo il cielo nella coda dell’occhio. La vita è la riconoscenza legata alla potenza delle immagini d’amore.

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