deserto


Inviti a ricordare. Gli anni che non li credi tanti quanti sono diventati. Dalle camminate sul mare di allora ai voli attuali sopra l’oceano. “Sai non credevo di avere l’ansia per l’altezza” mi scrivi: e pensare che non avevi ripensamenti di sorta!

“Qui è l’estate che si presenta invadente e fa precipitare valanghe di arie marine sulle soglie”: ti rispondo. “Separati e lontani, tu lassù ed io qua, teniamo in mano differenti prospettive geografiche” dico: rivolgendomi a questo tu che ho sempre in testa per consolarci tutti e due della mancanza.

Ho inaugurata una abitudine nuova: il lavoro notturno come traversare il deserto dopo ogni tramonto per non patire la canicola. Un volo al calar del sole. Faccio il pilota di linea: vado e torno dentro il cielo buio e non ho tempo di visitare le città stellari. Più che altro è un esilio. Prerogativa di una storia d’amore che non è stata.

Sbandiero dalle finestre aeree un vessillo di camicie bianche o azzurre. Mi cambio velocemente come un trasformista poi recito. A quell’ora di notte la verità è lieve e non interessa nessuno, francamente. Si parla svagati ascoltando appena. Si impara a camminare senza pensieri.

Il cammello in testa alla fila dalla mia posizione di fondo è sbiadito come la memoria di un sogno ma porta avanti la traversata. Quella coscienza animale è una presenza distratta e rassicurante. Una groppa gobba umida d’acqua è la promessa di nubi piene di pioggia.

Per non appesantire gli animali camminiamo al loro fianco. Non un suono su tutto l’atlante. Il preverbale non è nemmeno una immagine acustica. È una traccia tattile che rivive  alle carezze delle labbra degli animali che succhiano i nostri capelli e al pediluvio di questa sabbia fina: che allagando tiepida le piante dei piedi ci invita ad avanzare.

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