Posts Tagged "desiderio"


noi, domani


Posted By on Set 5, 2017

“la fine del dolore”

In libreria andavamo sempre, ragazze e ragazzi, in cerca di visibilità con la scusa della sensibilità d’animo rabdomante: l’assicella ritorta fremente nelle mani tese in avanti per sentire sul fondo la vena d’acqua. Sentirla si, quando c’era: perché l’antipatia naturale verso ogni metafisica provvidenziale ci dava la costanza di esplorare il caso, e la certezza che, seppure esso aveva la sua parte nella vita, nei casi buoni avremmo sempre saputo scovarla senza errore, l’acqua sognata.

Appostati in fondo all’animo, nella grotta del pensiero illuminato dai suggerimenti delle riviste recensorie (che avrebbero dovuto essere annotate già di per loro come elementi qualificanti il nostro intelletto fine tanto quanto riservato) per questa nostra duplice natura stavamo ritratti a mostrarci in nicchie ombrose.

Quel sussiego fortunatamente un giorno era franato di fronte al seno pronunciato della bella generosa che supplicava di lasciar perdere: che la vita è più sfrontata della letteratura

Oggi che di nuovo innalzo gli occhi al cielo dopo anni di tristezza a guardare il pavimento e incespicare con il viso tra i rami col rischio di accecarmi, oggi il ricordo mi persuade ad un nuovo cedimento e il muro della depressione latente, forma subclinica di malattia, crolla come crollava il riserbo di intelletti giovanili ai battiti del desiderio.

È tristezza che se ne va questo stare bene, è il dolore che finisce, la liberazione dalle dittature: penso.

Ma il suono che sale alle labbra, mentre il pensiero gira in quel suo modo muto, sussurra un ritornello sul futuro

“… noi, domani …..”

E queste parole sono i fondamenti di una proposizione nuova.

Read More

garantire la diseguaglianza


Posted By on Feb 24, 2014

image

“FERMARE IL TEMPO”
copyright: claudiobadii

Aver voluto essere fin troppo presente. Uno per tutti può bastare nel pantheon. Non un esempio. Proprio uno in carne ed ossa: chirurgo, muratore, contrabbandiere, frontaliero, operaio, disegnatore, danzatrice, rivoluzionario, oggetto di pensiero creativo, personaggio di un sogno. Fermare il tempo e il mondo in un’occasione e una figura d’insieme. La democrazia non resta ferma, nel pensare continuo caratteristico della vita mentale che ha origine materiale. La socialità avrà dunque il compito, non di tenere tutto sospeso in attesa delle nostre passeggiate in piazze e strade, ma l’altro compito di garantire la ‘diseguaglianza’ che tiene vivo il desiderio.

Quando la mia casa è invasa da troppe persone che fanno ognuna cosa diverse che non condivido, mi ritraggo in una stanza. A cercare qualcosa che mi calmi e mi tolga l’incomprensione. Mi consolava stanotte la visione televisiva di una scultura di marmo bianco di Picasso. Ampia pesante ‘calda’. Sempre un’operazione ‘plurale’ alla conclusione dei suoi manufatti. I giganti che disegnava accorenti lungo cieli di spiagge sono essi stessi mastodontiche baleniere piene di ambra grigia a esprimere il profumo della originale biologia che ‘fa’ il genere ‘umano’. Le sue statue che ricordo bianche o colorate mi fanno pensare per contrasto ad un arte differente dall’arte che lui ha “còlto’ che ha ‘visto’ lui solo. Quella non sua è arte degli altri, l’arte magra. Quella che ha lasciato come unica possibilità. Lui, all’opposto era febbrile, florido e fertile ma cercava…  che cosa? Fino alla fine -ogni giorno- non ha mai smesso di cercare e teneva lontani tutti. Da ultimo anche i figli. Era solido d’anima e perseguiva -perseguitandola in verità- l’arte: come a quei tempi forse si pensava di dover fare con una femmina. E mi pare proprio, a vedere quelle statue e quei giganti lungo le spiagge celesti, che l’arte fu colpita e che è rimasta offesa nella ‘volontà’ e che dopo di lui abbiamo avuto una generazione di opere in anoressia. L’arte era vinta -forse- più che innamorata, e si arrendeva sotto le montagne di marmo caldo torrido dei disegni dei quadri delle sculture, delle litografie. Quel poco che si ha di lui che lavora mostra che non aveva esitazioni e non sbagliava niente. Unico guidato dal sentimento e mai dal pentimento. Gli occhi di neonato tutta la vita se li è conservati con il lavoro quotidiano. Il ritardo della riflessione esclude il genio. Per divertimento scrivo il suo diario, come un analizzando potrebbe scrivere fogli del giornale di bordo del proprio medico. Gli analizzandi analizzano il contro transfert. A garanzia. Picasso disegna cose impresentabili, trova forme che non c’erano state mai. Scrive:

“Ogni tanto chiedo l’elemosina e non sono i momenti peggiori. Del resto, del tempo senza pietà non vale la pena di accennare. Del lavoro quotidiano sono convinto che è una cura definitiva. Se anche soltanto adesso posso dirlo è da molto tempo prima di oggi che pratico l’esercizio. Nel tempo ne ho viste e chiamo ‘pietà’ la rarità dei momenti quando questo ‘lavorare sempre’ suscita una convinta comprensione, e chiamo ‘elemosina’ il lavoro solitario senza risposta. Non so come sia che nonostante non possa parlare di un successo che mi abbia davvero soddisfatto, che non c’è stato mai, in animo non conservo il sentimento di aver ricevuto né elemosina né pietà. Tutto quello che penso, di fronte alle mie statue di giganti e di uccelli e di marziani e gufi e tori e colombi…. è che ho sviluppato, nonostante tutto, fantasia e conoscenza.”

Già, ecco gli scherzi della solitudine. Mi serve di illudermi di conoscere i pensieri di chi va via dalla stanza illuminata ma non so far altro che disegnare le loro ombre. Si dice che l’artificio di circoscrivere il niente, per non dimenticare chi andava lontano, sia stato alla base della navigazione e dell’attesa. Il contro transfert si piena di colori forti e decisi.

Read More
l'innocenza degli oggetti

immagine tratta da “L’innocenza degli oggetti” – Orhan Pamuk – Einaudi – 2012

La comprensione si accompagna all’espressione. La sovrappopolazione di idee si apre all’esterno e finalmente la chiarezza illumina. Dovevi esagerare con i tuoi amanti e non essere parsimoniosa. Sarebbe stato segno che potevi comprendere la natura intimamente sessuale della relazione. Non so. Non controllo nulla e allora magari l’hai fatto e si saranno realizzati una serie di successi. Resti nella mente come il referente più amato o, credo, l’unica che ho saputo amare senza voler capire.

Comunque bisogna dire quanto un uomo sia sostanzialmente inappropriato al compito di comprendere una donna. E che la necessità di esprimere tale inadeguatezza è intimamente legata alla necessità del linguaggio maschile. Non si fa altro che parlare intorno alla nostra speciale incompetenza riguardo all’immagine femminile.  Il linguaggio maschile è il pensiero maschile una volta che sia distratto (sottratto) al desiderio di una donna. Il desiderio per noi sarebbe una essenza di movimento muto: un volo di angeli una volta che soluzioni leggere e volatili di profumi circondino la nostra fronte maschile quando passa ogni dolore tra le braccia delle donne che decidono un “si”.

Seppure io abbia studiato che nella dinamica della relazione ‘desiderare un contenuto altrui’ sia insieme una realizzazione e indice di una ‘mancanza’… adesso penso che, nello studio della fisiologia del pensiero, si debba dire che il desiderio è idea precisa e muto movimento. L’idea precisa è precisamente idea d’un’altra per cui vale la pena.

Se trascuro le trascrizioni psico-dinamiche e mi vedo sull’isola estiva a discutere con le correnti d’aria in cielo dico: il desiderio è un’ossessione lieve, un vento tiepido che soffia in superficie o una foglia che si è appena posata alla base dell’albero dal quale è caduta appena adesso. Poi ho un soprassalto politico del cuore: te, ed altri, e me dobbiamo guardarci dalla voracità ideologica che confonde il desiderio con la voglia, con il peccato, con l’ingordigia: poiché essi (chi confonde) fanno questa confusione per distruggere l’idea che il desiderare è. L’aggressione qualunquista e approssimativa ci priva della soggettività e ci rende ‘oggettivamente’ complementari, uguali tra noi cioè, nella perdita dei rispettivi margini di differenza, specialisti generici di strategie belliche con la strada dell’amore tutta sobbalzi e buche. Veniamo così strappati al moto uniforme della nostra conoscenza delle ‘prime cose‘ che è iniziale e definitiva.

Voglio ancora studiare i fenomeni delle conquiste che sono fenomeni sanguinari per capire perché un fiume di sangue è stato sempre necessario. Perché il corpo, se si vuole pensare una lotta rivoluzionaria, non debba temere la lesione -dato che nella strage restano anche molti vincitori. Il corpo di per sé non teme nella distrazione del desiderio durante il movimento muto che esprime l’idea che vale finalmente la pena.

Ma poi si deve capire perché nessuno si dilunghi sulle ragioni dell’incolumità che sono di impedimento alla lotta e all’opposizione. Le ragioni a favore della fine della resistenza sono importanti da capire. Solo ritenendole chiarite ed irrisolte in quanto implicite rivelatrici della natura umana ci si vuol rassegnare. Allora il movimento silenzioso delle masse in rivolta trova nell’idea di desiderio consolazione e motivo.

Ma anche il raccapriccio è nostro: i cani e le greggi e le orde di fiere non hanno pentimenti come noi abbiamo. Dunque l’uomo sarebbe dio solo nel dopo? Sarebbe una nostra ‘partecipazione’ della divina natura il tornare nella colpa dopo la spartizione dei prigionieri?

Cito: “Entrano, i fedeli rimangono intrappolati. Alcuni anziani e alcuni infermi vengono uccisi sul posto. I più vengono legati o incatenati, soprattutto le donne: voi sapete, i costumi dei Bizantini  nel quattrocento, contrariamente a quelli occidentali, erano sciolti, non attillati, avevano molti mantelli, molti veli, di tessuti splendidi, preziosi, colorati… Questi veli vengono strappati e vengono intrecciati fra loro perché servano da funi… E con queste funi… bellissime! … e multicolori.. -involontariamente bellissime .. involontariamente multicolori- tutte le più belle fra le aristocratiche, fra le dame presenti e anche fra gli adolescenti, fra i figli dell’aristocrazia- vengono legati fra loro… E c’è una tale rissa nel contendersi gli ostaggi per la loro bellezza – perché poi è questo che ne fa il prezzo e che anche suscita la cupidigia dei soldati – nella rissa muoiono quasi tutti gli ostaggi, perché a forza di fendenti e sciabolate, a forza di strattonarseli… li fanno a pezzi.

E invece credo che forse proprio durante lo ‘spargimento’ si rivela quello che manca, che viene a mancare nell’umanità che diventa dis-umanità ma non animalità. Qualcosa che viene a mancare nella funzione della mente rende gli assalitori della città, a loro volta abitanti di città belle e ricche piene di civiltà scientifica matematica e artistica, rende quegli abitanti di città lontane, assalitori e omicidi di queste città non loro. Nella diffusione pestifera per le strade è la carezza mortale dei giannizzeri sparpagliati nei labirinti dei quartieri urbani perché nella mente la peste è scoppiata prima come perdita di una funzione, come lesione e smarrimento di una immagine precedente, di una fisiologia fino a quel momento presente. Come una nascita che muore. Come una possibilità che viene portata a zero. Un’operazione di divisione con lo zero al denominatore. Che si pensa ma non porta a nulla. Qui porta la corsa e la sciabola e ..

Là devo cercare quale immagine viene a mancare? Quello che chiamo perdita di una funzione. Non sono meno civili di noi. Non sono meno evoluti. Nelle topografie del ragionamento piazze e sagrati e spazi di accoglienza raccolgono la folla silenziosa delle singole parole di preghiera, e di vittoria, e di petizione, e di richieste collettive di giustizia e di vendetta. La loro legge, una volta arrivati a scavalcare le mura per dilagare nella città splendente di terrore e bellezza indifesa, segue la necessità del ricordo delle stragi precedenti e sancisce che è giusto: poi la storia arriva dopo a dire che poiché era accaduto viene consentito e la dice lunga sull’uso della parola divina, sulla storia che niente insegna. La storia è casuale dice la storia medesima. Vuol dire che si ignora se sia proprio necessario rassegnarsi alla lesione della funzione che porta la strage.

E con queste funi… bellissime! … e multicolori.. -involontariamente bellissime .. involontariamente multicolori- tutte le più belle fra le aristocratiche, fra le dame presenti e anche fra gli adolescenti, fra i figli dell’aristocrazia- vengono legati fra loro…

La ferocia non è senza l’estetica. La ferocia è estetica. L’estetica forse è in sé feroce. Il giannizzero coglie la bellezza. La poesia è negli occhi suoi delinquenti oramai agitati indaffarati a ledere ogni limite. Ma gli occhi degli Ottomani sono come i nostri occhi. Non sono diversi. Sapere cosa succede loro di fronte alla bellezza è indispensabile per capire cosa può succederci di fronte alla bellezza una volta che saremo vincitori senza più limiti. La città è conquistata. Le mura cadute. Le rose impassibili tingono tutto di rosso.

Ma le donne e i ragazzi correvano alla chiesa. Credevano. Ma ognuno ha il proprio dio e dei differenti autorizzano la legalità di differenti stragi. Sento il dubbio se la ‘decisione’ a prendersi quanto è autorizzato comunque dal proprio dio decaduto sia sempre, comunque, la bellezza delle donne e dei ragazzi e i colori degli abiti ma insomma in vece dei colori e delle stoffe proprio quello che gli abiti e le forme coprono: l’ineffabile differenza delle donne e degli adolescenti da tutto il resto del genere umano. Quell’essere differenti per sempre dagli uomini ormai adulti? (ormai perché è irreversibile il fenomeno della perdita di capacità di comprendere che sembra legato alla crescita e alla differenziazione). Come se bisognasse ammettere che diventare adulti in un certo modo fosse anche ricevere una perdita. Avere il regalo di una fata invidiosa e poi, si sa…la bella addormentata.

Così allora la bellezza scatena la poesia ma non la conoscenza e allora non nasce il desiderio ma l’autocontrollo, se il proprio dio impedisce. Poi quando il proprio dio consente nasce la bramosia del possesso fisico: e allora il rifiuto e la resistenza alla bramosia fanno la degradazione del movimento muto (che ‘prima’ era mosso dall’idea del desiderio) nella corsa scatenata e fragorosa addosso ai fuggitivi. Movimento rumoroso di aggressione di quella differenza irriducibile.  La bellezza quasi naturale di donne e ragazzini è amplificata dalla differenza dell’animo femminile e infantile e ce ne fosse bisogno queste amplificazioni rendono tutti definitivamente folli di rabbia.

Alla poesia che è impotente si oppone e si allaccia la critica: la strage è sempre conseguenza di una distruttiva competizione economica proto-capitalista che stabilisce che sia più economico e cioè vantaggioso l’abbandono degli alleati al loro destino di conquista e schiavitù. Il criterio economico caccia l’immagine di possibile umanità. Solitudine, isolamento, abbandono e allora, dall’altra parte: ferocia spartizione saccheggio.

Ora leggo calmo in questa ansa di pace civile del mio studio professionale che si è formata ampliando la curva del fiume della vita di sempre in un fianco di fango fertile e palude pescosa di un’età ancora accettabile e piena di soddisfazioni. Ma non mi inganno. Penso al sangue sui petali di rose e vedo il procedere caotico dell’analisi storica come ‘me’ che scivolo, sul mare d’aria profumata da un ramo alto, fino ai piedi della principessa che, al tocco casuale di una foglia che le si posa ai piedi, è appena stata fatta schiava e privata di tutto senza essere neanche sfiorata dal sultano.

E seduto imbarazzato alla scrivania misuro la frammentazione della realtà umana nella distanza tra fenomeni di potere universale assoluto e sentimenti decisamente contingenti -dunque senza potere- dei singoli. So che non sono riuscito a comporre, neanche nell’ottimismo di un programma teorico-pratico, non sono riuscito a rendere possibile di portare il secondo (il sentimento contingente del singolo curato e guarito) al primo (a ridurre o neutralizzare quell’assolutezza del potere). Resto a chiedermi cosa sia successo agli esseri umani da sempre (e poi cosa ancora ogni volta ci succeda) nell’ascesa verso l’universale che sembra progressivamente portare ai margini l’idea del pensiero identitario o, per dire meglio, l’immagine della nascita umana.

Torno a scrivere “il desiderio è precisamente un’idea“. Non so come sia che la riproposizione di questa frase abbia un effetto di aumentare la confidenza con l’argomento alla base della ricerca che mi interessa… e mi riguarda. Quale è la causa della pazzia. Quale sia la causa di una certa pazzia.

La bellezza? E’ quando non riesce a nascere il desiderio di fronte ai tessuti variopinti e bellissimi -che non erano intenzionalmente messi per la strage ma a volte è invece come se uno si vestisse per la definitiva perdita di sé- che nasce l’idea pazza della strage? (Ma allora amore vuoi farmi dubitare, così pensosa e silenziosa che non rispondi, che studiare e sapere bene le cose ed essere bravo era la colpa seppure non intenzionale di provocare con la bellezza non cosciente e appunto non intenzionale la mia propria uccisione)?

E’ la fragilità della complessità del tessuto della beltà e della grazia e del garbo insita in un accenno di movimento che fa scattare l’alterazione della funzione psichica e poi l’annullamento dell’umanità dell’essere umano e poi la distruzione del corpo? E cosa fa scattare la passività della neutralità di fronte agli aggressori che è peggio anche dell’aggressione? Non posso andare così tanto avanti, per adesso.

Il desiderio è prima di tutto un’idea. Idea silenziosa di desiderio e movimento senza parole. Il desiderio non è comprensione: il desiderio non implica espressione verbale, solo il muoversi del corpo. Movimento muto per l’idea del desiderio. Esplosione ottusa della violenza fisica per l’assenza di ogni altra idea.

Le rose del desiderio e la strage sanguinosa. La violenza è il sangue. Il desiderio poteva essere la storia. Sono così vicine le due posizioni da venir date per inseparabili. Ma il desiderio è idea che tu hai cose che non avrò mai e mi costringe a cercarti. Invece la violenza per cui si uccide è per il crollo di una funzione che consentirebbe di muoversi immediatamente, all’idea di te in me, verso di te.

Abbiamo l’idea del desiderio. Poi il movimento muto quando mi avvicino. Poi il linguaggio che descrive, circoscrivendola, l’impareggiabile alterità della tua bellezza resa possibile dalla vicinanza per il movimento muto che si è sviluppato. Poi me e te nella mente, il seno ricco di latte che consentirà trenta anni di solitaria ricerca.

Ma cosa scatenò la crisi ogni volta che non posso dire che non sia andata proprio così? Forse la fioritura di milioni di rose. Cioè forse qualcosa nella mente come la fioritura di milioni di rose. La confusione visiva deve essere stata -e potrebbe sempre tornare a riproporsi se non capirò definitivamente- la sovrapposizione della visione immaginativa della differenza inalterabile della tua natura differente per sempre dalla mia natura, con la visione fisica dei colori delle tue vesti nel campo del chiostro pieno impareggiabilmente di una cornucopia di fiori.

Ho sbagliato quando ho messo insieme l’idea della generosa grandezza di dio con la natura umana dei tessuti sulle donne e sui ragazzi. Ora è almeno chiarissimo che l’umana natura si serve sempre del superfluo di un batter di ciglia dell’attrice maliarda contro l’eccesso di fiori di cui gli amanti circondano le loro amanti appena sentono la propria impotenza sostanziale al confronto della natura femminile. Amiamo i batter di ciglia che propongono l’eternità umana e suscitano inarrestabile il linguaggio d’amore senza secondi fini ma senza speranza di conclusione come una condanna. Ci resta il movimento muto del desiderio e il pensiero verbale di un movimento silenzioso che scrive la bibbia della creatività dei canti e delle narrazioni.

Racconta Tursum Bay che Mehmet II° andando a cavallo a vedere Santa Sofia e avendo visto un suo soldato smantellare con l’ascia l’antico pavimento di marmo gli aveva fermato il braccio e aveva detto “accontentati del denaro dei prigionieri, gli edifici della città lasciali a me..” Così sarebbe stato. Si racconta che il sultano sia poi salito silenzioso in mistica contemplazione sulla cupola della basilica. Racconta Tursum Bey che accanto alle rovine e alle costruzioni ridotte a giardini di pietra -neppure un vestibolo era rimasto in piedi- e dalla cima della cupola scorgendo la città, dissolta in macerie e deserto, il conquistatore abbia meditato che il destino di ogni impero è cadere in rovina e abbia recitato i versi di un famoso poeta persiano. “Il ragno fa da portinaio nel palazzo do Cosroe e il gufo suona la musica di guardia nella fortezza di Afrasiab.

La crisi dello sviluppo per troppe disattenzioni parentali può dare la difficoltà di comprensione dell’immagine di donna e di ragazzino. Allora la percezione di persone di grande bellezza in strada e sotto gli archi non diventa idea di desiderio ma considerazione di certe interessanti quantità di piacere e di acquisizione di potere. E passeggiando come giannizzeri per certe città lunari pensiamo solo alla loro e nostra difesa, ma di conseguenza poi al loro sacrificio insieme alla strage della loro ricchezza che sarebbe l’amore di cui ci siamo appropriati, e così il pensiero è triste perché arriva fino in fondo, fino a temere la distruzione dei corpi di bellissime donne e bambini e impareggiabili adolescenti simili tra loro ugualmente differenti dal resto del mondo. La somiglianza è perché la loro diversità è ugualmente ineffabile, indescrivibile per il resto del mondo. Il resto del mondo è costituito  dalla natura di animali e cose e da tutti gli uomini adulti.

Cui resta il destino del dominio, non senza poesia: ma la poesia non cura la pazzia. Non impedisce le stragi. Che fare? Cercare. Il desiderio è un’idea. La comprensione è espressione immediata. Andiamo amore mio, andiamo.

Read More

rosso Campari


Posted By on Lug 9, 2012

Concitazione. Quiete. I toni infiniti del rosso degli aperitivi. I bar popolati di uomini col profilo greco. I tagli verticali delle cicatrici. Gli incidenti quasi tutti mortali. La deposizione della gioventù al biliardo. L’indolenza dei maschi. Il fumo dei cinematografi. La pietà non compassionevole del dopo-guerra. Il rito di passaggio. I tropici nel retrobottega. Le domeniche gloriose. La conquista di una promessa. Le strade. L’etica lineare. La prospettiva di breve termine. La prima e la seconda parte del giorno. La quasi totale assenza di offese. L’irraggiungibile bellezza. La proibizione del sesso.  L’impiego straripante di velluti nella sartoria femminile. Essere donna. Gli occhi addosso. Il calore. L’amore compromettente. Fare figli. La rara sorte di matrimoni armoniosi. L’accettazione. Il senso erotico. La preminenza dello sguardo. La durata. Gli amici innamorati. I pochi ragazzi davvero belli. La scoperta della felicità. L’importanza del camminare. I treni delle vacanze. La condivisione del dolore. L’ignoranza viene sempre perdonata. La dedizione. Il rossore del ridicolo. La pretesa assoluta di darsi un contegno. Il non sapere quasi niente ancora. La mattina davvero molto presto. La cena. I ragazzini. Le poesie a memoria. Addormentarsi da soli. Voler crescere presto. La densità. L’attesa lunga. Imbucare lettere. Contare i giorni. La sicurezza che mi pensi. I maglioni blu scuro. Sapere le cose. I libri. Non si può. Non si può. Domani, forse. Diventare. La ricchezza delle biciclette. L’orologio al polso. La riparazione delle cose indispensabili. L’eternità del significato delle parole. L’affidamento. La responsabilità personale. L’assenza di scuse. Non sapere mai se pioverà. Chiedere il permesso. L’importanza che tutti danno alla parola crescere. Restare a letto con la febbre. La finestra. La descrizione della luce sul muro. Sapere oramai più di tutti in casa. I libri che loro non hanno mai letto. Raccontare i progressi. Non sciupare. Non tener conto di giorni troppo brevi. Solo l’amore conta poiché traccia fiumi e vallate. Si vive di cartoline. Ti penso. A presto. È vero che mi manchi. Non so che faccio qua senza te. L’adolescenza deposta lungo la strada è una giacca sul muro. Io comincio ad acquisire la mentalità ristretta di un bracciante. Diventare grandi. Volere la cicatrice verticale. Il segno veloce del pensiero. L’incidente quasi sempre mortale della conoscenza inattesa. La ruga sulla fronte. Più d’uno ha in regalo il senso del tempo. La maglia glicine addosso alle ragazze. Il desiderio che straccia la tenerezza. Domani.

Read More