la strada


leonard cohen


Posted By on Mar 30, 2011

leonard cohen

“Dance me to your beauty with a burning violin /Dance me through the panic ‘til I’m gathered safely in/Lift me like an olive branch and be my homeward dove/Dance me to the end of love” (Conducimi fino alla tua bellezza con un violino ardente /Conducimi attraverso il panico finché potrò essere al sicuro /Alzami come un ramo d’ulivo e diventa la colomba che mi riconduce a casa /Conducimi fino alla fine dell’amore) Ho mille libri d’arte -non artistici sono solo raccolte di riproduzioni e i colori e i timbri cromatici voglio dire non saranno abbastanza curati -però se si ha un minimo di fantasia si arriva lontano quasi sulla tela sull’originale – a ricreare l’atmosfera emotiva – si arriva all’arte del pensiero che li ha composti – si arriva fino alla fine dell’amore.

“Oh let me see your beauty when the witnesses are gone /Let me feel you moving like they do in Babylon/Show me slowly what I only know the limits of/Dance me to the end of love” (Oh fammi vedere la tua bellezza quando le prove sono perdute /Fammi sentire il tuo movimento come fanno in Babilonia /Mostrami lentamente ciò di cui solo io conosco i limiti /Conducimi fino alla fine dell’amore) E’ lì al margine alla riva che chiamavamo la fine dell’amore che mi hanno condotto le cose che amo – nell’aria pulita dell’età dell’oro – alle infinite modalità per avvicinarsi ad un essere umano – ai gesti necessari e al comportamento affettivo per il quale è sempre stata necessaria una interiorità sostanziosa e l’aspettare in silenzio – a volte si può restare soli per anni ci vuole il tempo e non c’è quasi nulla per percepire il rispetto per il tempo – così leggevo e studiavo la cerimonia del the come ci volesse un filtro  per il tempo – una disciplinata  pazienza- capire come loro usano due tipi diversi di foglie – foglie giovani di piante vecchie – e foglie giovani di piante giovani – foglie giovani che prendono per mano foglie giovani di piante vecchie per accompagnarle fino alla fine della cerimonia – fino alla fine dell’amore.

“Dance me to the wedding now, dance me on and on/Dance me very tenderly and dance me very long/We’re both of us beneath our love, we’re both of us above/Dance me to the end of love.” (Conducimi alla cerimonia nuziale ora, conducimi senza fermarti /Conducimi molto teneramente e molto a lungo /Siamo entrambi inferiori al nostro amore, siamo entrambi superiori /Conducimi fino alla fine dell’amore) Giovane di giovane – giovane di vecchio così si agisce nella fabbrica del tempo e così si cammina lentamente un passo dopo l’altro come foglie di the pronte per la cerimonia – la vita quotidiana – il tempo costruito fabbricato – e lo si può fare coi gesti con l’articolazione del movimento voglio dire – e anche con le parole si potrebbe tentare togliendo l’inessenziale – ci vogliono ore e secoli quando alla fine nella cerimonia del the si da il nome al cucchiaio – non so se anche alla tazza di ceramica dalla quale alla fine tutti hanno bevuto – tutti alla fine avranno bevuto alla stessa tazza – dico tutti bevono come nella vita si beve tutti alla stessa tazzina alla stessa sottile lastra di ceramica curva le labbra appoggiate – siamo di vetro e corallo – siamo alla fine dell’amore  cristalli di Boemia e ceramiche e siamo di riso e carbone alla fine dell’amore – siamo esseri umani e forse dovremo ricominciare ad intenderci sulla fragranza e sulla delicatezza della ceramica – arrivare lungo tutte le età fino all’età dell’oro alla fine dell’amore seguire il profumo della poesia di un cantautore.

“Dance me to the children who are asking to be born/Dance me through the curtains that our kisses have outworn/Raise a tent of shelter now, though every thread is torn/Dance me to the end of love “(Conducimi ai bambini che chiedono di nascere /Conducimi attraverso i sipari che i nostri baci hanno logorato /Alza una tenda di difesa ora, anche se ogni filo è lacerato /Conducimi fino alla fine dell’amore) Erano anni e si doveva stabilire il perché e il per come che gusto c’era alla fine e alla fine è adesso – adesso è alla fine dell’amore – mentre mi chiedo come sarebbe ritrovare la leggerezza quando si riesce a dire che in fondo era anche possibile – che era possibile soprattutto l’interesse e alla fine che è adesso si potesse ammettere tra l’altro che dare il nome agli utensili con i quali ci siamo resa possibile l’esistenza – non era non sarebbe stata non è in fin dei conti una pazzia – tanto quanto non  lo è dare il nome ad un cucchiaio alla fine della cerimonia del the – che serve a capire la costruzione del tempo la fabbrica della strada principale del paese la costruzione delle macine grandi di pietra che portano addosso con facilità il peso altrimenti impossibile dei libri d’arte come fossero manuali di decifrazione dell’arte di cuocere la terra per la ceramica e lo smalto – di cuocere l’amore fino alla fine dell’amore cui non si arriva mai soli – mai soli perché sarebbe impresentabile arrivarci soli a cuocere la terra nel forno per ottenere il carbonio – sarebbe e se mai lo è stato è stato appunto del tutto ingiusto e dunque impossibile da soli cuocere nel forno anatomico le fibre eleganti dei muscolo del tuo cuore che ti lascia vivere e ridere mentre tenendomi per mano rendi giustizia alle canzoni e ai fiori che arrivano che metto nel samovar che diventano migliori appena reidratati e poi appassiscono e prima che la loro decadenza sia eccessiva io allora le tolgo con un certo pudore  come non si guarda in viso l’amore che se ne va per l’ultima volta – alla fine dell’amore.

“Dance me to your beauty with a burning violin /Dance me through the panic till I’m gathered safely in /Touch me with your naked hand or touch me with your glove/Dance me to the end of love” (Conducimi fino alla tua bellezza con un violino ardente /Conducimi attraverso il panico finché potrò essere al sicuro /Toccami con le tue mani nude o toccami con il tuo guanto /Conducimi fino alla fine dell’amore /Conducimi fino alla fine dell’amore /Conducimi fino alla fine dell’amore.) Adesso il finale transitorio la pretesa di tacere – insieme alla commozione di alcuni e al disappunto di altri che posso solo supporre – seppure per qualche altro verso per vie traverse dico potrei affermare di esserne certo – quando hanno visto che alla fine di un amore c’è soprattutto la realizzazione di una completezza di racconto – quasi come se fosse stata rispettata la creatività che ciò che si può immaginare è perché non esisteva  – che ho capito che ciò che si immagina è ciò che prima non c’era – ciò che si è capaci di immaginare è sempre stato alla fine di un amore che significa la possibilità della realizzazione della vita non indifferente – unica possibilità.

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siamo


Posted By on Mar 19, 2011

siamo

siamo questo/ la felicità non ci spaventa/ sogniamo volti di nuovo

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l’entità del pensiero


Posted By on Mar 17, 2011

l’entità del pensiero

Stanotte leggero’ te per capire bene l’entita’ del pensiero nella profondità delle tue parole ferite. Comunque sei già accanto. Così è. Il guadagno del tacere, e le tue mani che arrivano a trovare. Radioattive perché se no non saresti tu. Perché hai accarezzato volti taglienti

Sei rimasta di sentinella. Il sacrificio ha reso inutile la dignità e il coraggio. Memento non e’ timore ma e’ restare a conoscere tutto. Scavo nella sabbia le parole contese ai rapaci, e trovo le impronte delle tue mani: le cose da dire si addensano nella forma di due labbra.

Ti mando me -la linea del tempo di una illusoria successione. Ti mando quanto accade tutto insieme nel pensiero all’idea della tua insonnia. Si formano cose nella mente prima del concetto, attorcigliate, poi svolte, al tuo nome e dal tuo nome: e’ inesorabile gioia nelle tue vicinanze.

Gioia della tua vicinanza, ed ecco ho trovato quattro tulipani imprevisti. Il lusso immorale di un attimo di noi. Per dirti buongiorno. Perché seppure sai tutto, sempre, improvvisamente sai, del miracolo, il volo: steli come scope, i petali spalliere colorate e, sotto, i resti di fango.

Ad un tratto so che tutto (quasi) ti costa più che ad altri. Che il volo pero’ ti riposa. Leggerezza senza ansia di restituzione. Ho la gioia per la sicurezza che, se io sono i passi, tu sei la pianta potente. Perché hai la commozione e non temi la mia,

Sono stati solo sfioramenti e il soffio d’aria mentre giravamo angoli differenti, eppure è certo: il mantice era volume trai grattacieli. Ti lascerò andare e mi mancherai. Lascerò le parole fino a te. Leggère ti saranno al ritorno se avranno graffi imparati.

Il mio pensare è solo rapido girare dei passi a seguire le mani nelle tasche – che rimuginarno, tra le dita, il filo forte del discorso d’aria dei nomi. Non si scelgono le parole nè dove si deve essere. So che tu mi hai tenuto bene sempre. Così resto dove hai scelto per me. Non posso sbagliare.

Tornerai. Racconterò a te della parte di cose e pensieri fino a lì. Sarai libera di leggere a tua volta. Farò un inchino alla tua fronte assorta alle tue labbra a un’ immagine alle tue parole graffiate di sangue. Fosti la comunione che si celebra nell’allegria.

Nella mente ignorante bellezza. Ho trascurato tutti per il colore saporito delle tue risposte. Tu vali del tutto tutta la loro amorosa pazienza. Eccoti zuppa di cioccolato bianco, gorgonzola, crostatina e banana. E cannella. E frutti di bosco. Tutta per me, in attesa. Nota erotica.

Così se tu fossi -ma sei!- qui, direi che hai saputo distinguere -sapiente- diversi sapori del rosso. Certe componenti di me obbediente al tuo gusto. Che hai presente il processo innocente dei pensieri …e quello che siamo. Aggiungo:

” E’ -quel progredire- i polpastrelli feriti…” – “E’ -questo camminare- il buongiorno dei poveri..” – “E’ -questo dire- la ricreazione di te sconosciuta ma addosso..” – “E’ il silenzio, incrinato dal desiderio, la possibilità di rifarsi, nella vita di ora, figure accese e certezze.”

“E’ dedizione la lotta alla confusione di quanto non sono mai stato.”

Al cartello stradale scelgo il mondo nella tua direzione. Sarà una comprensione ad attenuare l’impatto. E tutto -tutto ciò, proprio tutto questo che non trova il verbo- sarà l’azione di amare. Tutto questo sarò io e attrarrò a me la curva del tempo.

Perché non si tratta. Non c’è commercio all’amore delle parole, al sangue alle dita. Non commercio dire ‘me’ a te. Oh eterno insistere! Ma la notte ha un etica. Il buio è il disegno dell’ignoranza. L’assenza di figura è ‘te’ come parola dissequestrata alla morte. Tu la parola ‘vita’.

Il pensare non ha l’azione, perché e’ affetto consolato in se’ della propria potenza indulgente. Ed io pretendo memoria, non perdono. Il pensare non ha il tempo della pronunzia. Viene superato all’improvviso. Preoccupa, la sua rapidità, alla quale il corpo non potrà opporsi mai più.

Se chiedi come è possibile consolati: ‘come’ ‘modo’ e ‘mondo’ vengono a cercare l’angolo dove mi lasci riposare. E’ ‘da te’ che ti chiamo. L’intelligenza ha suono, contiene la passione. E consente. E consentire e’ un regalo. Ma non si accorda tuttora al suono di Te. Sorridi!

Comunque interrogami e picchierò alle porte della fortezza. Segnerò caratteri sul muro. Ti lascio la dittatura del colore il mondo e le case. Adesso capisco la domanda ‘chiedimi dove sono’ : era dedizione e coraggio. Quasi nessuno chiede più. Tranne te, certo.

E’ una complicata traiettoria, sulla quale siamo disposti non per forza. Per questo dormirò molti anni dopo stanotte: il corpo sulla curva dei tuoi variabili amori. Ecco tutto quanto c’è di bello da dichiarare:  fedeltà, concepire, imparare.

Non e’ dentro di me il sapere. Solo la sintesi della pazienza ricrea la trama dei tappeti di buio, dove dormi, incline al sogno. Con te non ho la fatica di definire azioni. Con te capisco la causa efficiente. “Intelligente Affezione Sii , Tu , Me!”

Sbagli e ti sorrido accanto. Stabilisci il metro. Puoi concepire che non sempre so volere. che  non sempre c’è stata una decisione. C’è la fisica del buio nelle curve. Il corpo sbattuto e disponibile. Per tacere di chi ha per sé la tua generosità infinita.

Per tua dis-ma-anche-grazia io sono facilmente capace di sapere. Ho l’attenzione assorta al tuo aderire da sempre all’eleganza che nascondi. E’ il senza fine che e’ non fine della carezza: dove finisci tu io inizio. Sul confine si attua la reazione nucleare. Voleri e bagliori.

Volere non e’ libero arbitrio ma disobbedienza. Vuoi questo nome? Disobbedienza?  E’ tuo. Vestiti. Io ho rubato il calore e l’equatore mentre lasciavi tracce. Forse un odore era la sapienza che reclamava. Ma so che obbedivo.

Si sta su derive senza disaccordi. Servirmi di te e’ ricchezza senza sottrazione. E non misurerò secondo le convenienze. Tu sei preziosa. I polpastrelli sono architetture del martirio, quando il corpo si fa padrone e sussurra e non agisce e non fa altro che respirare.

Sei tu la politica del gusto, la filosofia dello stendersi accanto e l’arte dell’aspettare senza paura. Il tendere senza fratture. Ustioni. Storia: ho cercato di capirti da subito. Le prepotentze, non eccessi, e insomma quell’essere semplicemente tu.

Non è facile se si sente appieno. Non è facile. Spesso sono caduto e mi sono rialzato senza fiatare. Era tutto vero. Non descrizione o racconto. Ho rubato il coraggio dell’esasperazione e mi sono acquietato sull’unico letto disponibile. Il letto della regina.

Ho rubato le luci variabili del giorno che diventa buio. Ho restituito la luce con il tuo fulgore. Non nego il gusto di te sulle dita. Mi sembrò subito impossibile, perciò inequivocabilmente vero, il fondo che accoglie le tue labbra. Capivo le parole sconfinate.

Nessuno descrive mai il vento per filo e per segno, ma è il vento il narratore. Adesso intorno si è disegnata la notte che più che altro ha un colore e non ha la linea. Ha il suono. Il suono che fa il volume e l’ ascolto e la voce.

Vario l’angolo dell’avambraccio rispetto alle ombre della scrivania ed eccoti distesa sulla linea dei numeri. Ti calcolo: sei. Altro, che abbiamo, si è disegnato. Tu tracci altre rotte dove forse non andrò. Eccomi. Sono linee scure e dolci.

Ti dico che non ce n’è mai abbastanza di primi passi e mani che tengono il braccio forte di chi si fida. “I piedi fanno la curva terrestre con i passi”, ti dico. “Io non so ma non importa, io non prevedo, ma non importa, io assaporo i polpastrelli che offri e l’indecenza è conquista e perdono.”

E’ necessario un legame forte per la vita delle parole. Ma un legame non è forte senza l’intelligenza della provocazione. Se non sbagli niente io mi perdono, mi perdo e mi regalo. Non granché – la notte – al cospetto della presunzione di avere una trasfusione dalle tue vene rosse.

L’assenza di cui dubito è la mia. A volte il pensiero muore nell’abitudine.  Divento vergognoso di deludere le lune orgogliose. Generalomente -addirittura sempre- una donna sente più di un uomo.  Non mi sono perso una parola delle inclinazioni di donne e fiumi di parole.

Se almeno non sapessi la forza che contiene la fiducia. Invece la conosco: fa il cielo e la comprensione di sabbia e rame. Non voglio raccontare, voglio dire la serie delle cose che coesistono dentro di me e fanno i pensieri che diventano segni.

“…dalla mente allo schermo senza nessuna voce…”

Ho cenato con te nel piatto e nel vino. Lussi. Cantavi con la mia voce, perché soprattutto tacevo. la complicità è una buona favola per addormentare: resto con te fino a che restii.  Questo lusso di rubarti il sonno e regalarti il buongiorno.

Poi ho raggiunta la riva -le mani sui numeri della banchina di attracco del molo di ponente.  Ero come un vincitore bagnato della tua acqua.

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è una pittrice di strada


Posted By on Mar 13, 2011

è una pittrice di strada

Dipinge in strada, nel tempo. Su quello che c’è già. Ha un coraggio, dato che su quello che c’è già nessuno scommette mai gli occhi. Come sulla spina invisibile sulla schiena della strega nessuno posò lo sguardo. Ipotesi, rischi a proposito di quanto c’è da sempre ma.

Ha lo snobismo dei lucchetti e in antipatia l’altro snobismo urticante che ha i lucchetti in odio. Non ha motivi. Il tempo è una ‘ragione’.  Ha occhi impenetrabili di chi rischia tutto su quasi nulla. Indossa scarpe rosse da ballerina classica sull’acciaio tagliente del bordo dei marciapiedi.

Lei è sempre stata una faccenda di sguardi e di movimento delle mani in aria. Questo famoso ‘sguardo’ è una strana realtà: particolare perché non è da nessuna parte.  E’ nella mente come parola. Anche il movimento è strano.

Noi e i nomi sono tutte cose nella nostra mente. Ci sono poi molte cose fuori di noi. Certe cose fuori di noi, tuttavia, sono solo il suono della voce che dice le idee che potrebbero anche restare per sempre silenziose.

La mente dà il nome alle proprie idee poi dice la parola e l’idea diventa esterna. Per il tempo che dura il suono della parola, l’idea fluttua nell’aria. Poi muore. Sparisce quando la vibrazione si spegne. La pietra scagliata prepotentemente si perde nella notte.

Le cose della natura sono strumenti. Ben altro è quando le sue mani sono intrecciate alle mie. Io amo: inconsolabile. Il suo profumo, che esiste, non posso prenderlo. Lei la mangerei. Mangiare lei non è retorica: è creatività del pensiero astratto.

Le pietre perdute nella notte è perché c’è una difficoltà degli occhi nel buio. La biologia ha limiti precisi. Le parole – il suono delle idee – quando spariscono nell’aria – non è per il buio. E’ per l’assenza umana. Assolutamente difficile concludere.

“,,, l’assenza – che non sia irreperibilità delle cose della natura,- è violenza a causa di un difetto d’amore…”

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