” i canoni dello sguardo ” – hans belting


Seconda di copertina:

” Esistono vicende, nella storia umana, che hanno una dirompenza più inappariscente dei grandi sconvolgimenti, ma un rilievo e una durata ben maggiori. Per comprenderne le vere dimensioni sono di ostacolo gli specialismi non dialoganti e gli arroccamenti sugli spalti identitari. Ce lo insegna, in modo esemplare, l’invenzione della prospettiva, argomento tra i più studiati di una storia dell’arte che nel rinascimento fiorentino di Ghiberti, Brunelleschi e Alberti ceòebra insieme gli atti costitutivi di una rivoluzionaria tecnica culturale e i propri solitari fasti disciplinari. Con mossa felicissima, Hans Belting spariglia le carte e mette in prospettiva la prospettiva stessa.(….)  All’apice della sua fioritura, l’Occidente definì il canone percettivo, attraverso il quale ci appropriamo del mondo sotto forma di immagine attingendo a una teoria della visione  concepita quattro secoli prima da un matematico arabo nativo di Bassora, Alhazen,i n un contesto religioso islamico che bandiva le immagini perché giudicate blasfeme della creazione di Dio. Lo scarto temporale e i travisamenti dei traduttori propiziarono inopinatamente, sulla questione nevralgica delle consuetudini visive, il cortocircuito tra due civiltà che avrebbero poi acuito la reciproca lontananza. Civiltà dello sguardo, quella occidentale, fondata sul primato dell’occhio e sulla sovranità del soggetto osservatore. Civiltà che privilegia la luce, quella araba, fedele al grafismo non iconico dell’ornamento. (…..) Che cosa indichi vedere, quanto sia necessario che i dissimili si scambino gli sguardi e vengano guardati nelle loro talvolta irriducibili peculiarità, poteva mostrarcelo solo un ingegnoso frontaliero degli studi, l’ideatore di un’antropologia delle immagini.”